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Martedì, 8 Luglio, 2008 - 15:46

La Roma di Alemanno copia Milano

La Roma di Alemanno copia Milano
Sandro Medici
Il Manifesto 6 luglio 2008

Sono stati necessari anni e anni per ribaltare lo storico primato di Milano su Roma. Per scrollarsi il complesso d'inferiorità, quest'ultima aveva dovuto valorizzare al massimo le proprie qualità culturali, con le scuderie del Quirinale, l'auditorium, i concerti al Colosseo e al Circo Massimo, i nuovi teatri, la notte bianca, i tanti musei, la festa del cinema, le mille e mille attività dell'estate romana. Ma non era stato sufficiente. Per ribaltare il confronto, la capitale doveva intensificare il proprio dinamismo anche in ambiti non proprio favorevolissimi, come per esempio l'efficienza dei servizi o lo stesso sviluppo dell'economia locale. Eppure, anche lì, aveva fatto registrare progressi niente male. In alcuni settori dei servizi sociali, per esempio, perfino le città emiliane avevano attinto ispirazione. Per non parlare dei record di crescita del prodotto interno lordo cittadino che, per quanto ingannevole, segnalava in ogni caso una confortante vivacità produttiva.
Di certo l'immagine della capitale, la sua impronta più slanciata, il suo magnetismo hanno finito per prevalere su Milano, che al contrario registrava un generale incupimento, un ristagno, un desolante appassimento. Nel suo piccolo, insomma, il sorpasso di Roma sul capoluogo lombardo era apparso come un fatto storico.
Ora succede che la nuova giunta di Gianni Alemanno, nelle sue prime improvvisazioni amministrative, con il piglio demolitorio di chi sta consumando una vendetta e non ragionando nel merito, pezzo per pezzo sta liquidando le scelte del passato e avviando nuove iniziative. Il problema è che sono tutte estratte dal modello milanese. Un copia-e-incolla pigro e anche un pochino grottesco.
Niente più menù etnici nelle scuole comunali, espulsione scolastica per i figli degli immigrati clandestini, eliminazione della notte bianca e infine pedaggio automobilistico per chi vuole entrare nel centro storico. Tutte misure già attive a Milano.
Non sfugge che queste decisioni derivino da un'impostazione politica, un'omologazione cioè tra la destra romana e quella milanese, entrambe reazionarie, entrambe razziste. Ma è anche il ritorno a un'avvilente subalternità del sud nei confronti del nord. Guai ai vinti, insomma.
Quando i Beatles vennero in Italia, a Milano si riempì il Vigorelli mentre a Roma a stento il teatro Adriano. Allora era indiscutibilmente Milano la capitale dell'innovazione. C'era il rock al Derby e il teatro al Piccolo, la Zanzara e la Comune, il Parco Lambro e Radio popolare, Cuore e Smemoranda, lo Zelig e il Leoncavallo. Poi pian piano quella città regredì, modaiola e affarista, culturalmente desertificata. E molti milanesi, se volevano far qualcosa di interessante e divertente, venivano a trovarci a Roma. Dubitiamo che in futuro succederà ancora: ce ne andremo tutti a Parigi o a Berlino.
Resta quest'amarezza tutta romana di ritrovarsi di nuovo sotto l'egemonia milanese. Che peraltro, scusate l'irriverenza, va ad aggiungersi al fatto che è già da due anni che l'Inter vince lo scudetto e la Roma arriva seconda.