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Oliverio Gentile

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Inserito da Oliverio Gentile il 16 Mar 2009 - 22:18
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Da milano.corriere.it:

http://milano.corriere.it/milano/notizie/cronaca/09_marzo_16/manifesto_virginio_colmegna-1501091600311.shtml

«Nella Casa della Carità un'accademia per unire conoscenze ed esperienze diverse»

Don Colmegna: immigrati, sfide e paure Ma l'accoglienza produce cultura


Il sacerdote: gli stranieri? Risorsa straordinaria per raccontare l'arte della vita


Dice che ha ripreso a scrivere poesie. Don Virginio Colmegna lo dice alla fine di questo colloquio e con, pare di avvertire, un certo pudore. Nella Casa della Carità della quale è presidente finora sono passate 81 nazionalità. Ossia il mondo, o buona parte di esso, o quantomeno tutta la sua parte più dolente, sfruttata, in fuga. «Dietro a ogni persona che arriva da lontano attraverso percorsi tortuosi c'è un racconto. E in noi viene naturale una spinta a reinventarsi, a guardare più in là. C'è uno scambio, tra noi e loro. E queste cose, secondo me, fanno cultura».

Noi e loro, don Virginio Colmegna. I milanesi e gli immigrati. Monsignor Gianfranco Ravasi ha detto che in città il senso di umanità ha ormai ceduto il passo alla paura.

«Le confesso che sono preoccupato. Molto preoccupato. Perché, vero, c'è paura. E perché non c'è fiducia».

Fiducia in che cosa?
«Fiducia nella capacità di Milano di tornare a dialogare. Di essere ospitale».

Eh, l'ospitalità. Ma sa benissimo che è un sostantivo portatore di dilemmi, dubbi e anche di rabbia, una rabbia pericolosa. Domanda qualcuno: come si fa a essere ospitali con chi non se lo merita? Le domandiamo noi: ma l'ospitalità deve rispondere a criteri meritocratici?
«Dobbiamo stare in mezzo. Stare in mezzo ai problemi, ai conflitti. Alla gente. Ci sono tanti non-luoghi, in città. Cosa facciamo, li evitiamo? Li lasciamo in un angolo? Certo, così poi esplodono come le banlieue parigine... La solidarietà deve essere accompagnata dalle regole. Dobbiamo pretendere, e lo dico con massima convinzione, un intransigente rispetto della legalità. Ciò premesso, Milano è una metropoli piccola. Non ha 20 milioni di abitanti. Ne ha poco più di un milione».

Piccola vuol dire che è più e meglio «gestibile»?
«Siamo una città che ragiona per emergenze. Che da un giorno all'altro si agita, si lascia trasportare dalle ondate emozionali, che demonizza, che per forza di cose o è bianco o è nero. Calma un attimo. Abbiamo strumenti e mezzi per governare i problemi. Bisogna, però, saperli affrontare bene e puntualmente».

Nel governare un ruolo prioritario l'ha la politica.
«Noi della Casa della carità, da un po' di tempo abbiamo smesso di fare polemiche. Basta. A volte c'è chi, ho come l'impressione, gode di certi drammi per costruirci sopra del consenso elettorale, per guadagnarci...».

Torniamo all'inizio. All'accoglienza e alla cultura. Per lei è un binomio possibile. «Possibile e con grandi potenzialità. Davide Rampello ha parlato dell'importanza del fare e del raccontare. Chi si occupa di volontariato incontra in pieno il senso dell'esistenza con i suoi affetti, le sue parabole, i suoi drammi, le sue brutali sofferenze, e queste vite prova ad ascoltarle e appunto raccontarle».

Don Virginio, in sincerità: non le capita mai di sentirsi un inseguitore di utopie?
«A volte io e chi lavora con me ci chiediamo chi ce lo faccia fare, perché lo facciamo».

Qual è la risposta?
«Carlo Maria Martini, nella Casa della Carità, volle un'Accademia. Uno spazio per il dialogo. La cultura non si fa urlando. Ma spesso stando in silenzio, ascoltando chi per caso incroci sulla tua strada».

Andrea Galli
16 marzo 2009

In risposta al messaggio di Virginio Colmegna inserito il 11 Giu 2008 - 15:36
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