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Lunedì, 2 Giugno, 2008 - 16:12

«Basta leggi speciali e razziste»

«Basta leggi speciali e razziste»
A 10 anni dalla Turco-Napolitano e dall'apertura dei Cpt, tutti hanno accettato l'idea spaventosa di una detenzione separata per gli stranieri Intervista a Pietro Massarotto, avvocato e presidente del Naga. Il pacchetto sicurezza, la follia dei Cpt, l'ideologia sicuritaria sedimentata nel sentire comune, l'urgenza di ricominciare a «razionalizzare» da sinistra
Luca Fazio
Milano
Il Manifesto 31 maggio 2008

A Pietro Massarotto, avvocato e presidente del Naga, storica associazione che a Milano si occupa della salute e dei diritti dei migranti, è tornata la voglia di fare politica, fuori dai partiti, cercando sponde non istituzionali per tornare a far circolare un po' di razionalità.
Un tribunale per la prima volta ha applicato l'aggravante di clandestinità. Che ne pensi?
L'aggravante specifica è del tutto estranea alla forma reato. E' oggettiva, cioé senza colpa né dolo: non indica la volontà di delinquere. Quindi presenta rilevanti profili di incostituzionalità, insomma è una ulteriore discriminazione, l'ennesimo tassello della costruzione di un diritto separato e dedicato agli stranieri. In parte è già così: la normativa sui trattenimenti nei Cpt è già speciale, perché questo tipo di limitazione della libertà non si applica agli italiani.
Tanto più che oggi si prefigurano 18 mesi di detenzione, un'autentica follia.
La Corte costituzionale non considera il Cpt un carcere poiché il tempo di trattenimento è stato definito limitato, mentre portarlo a 18 mesi significa di fatto imprigionare un soggetto per una sanzione di tipo amministrativo. E' un tempo spaventoso e ingiustificato: se non si riesce ad eseguire un'espulsione in 2 mesi, a cosa serve detenere una persona un anno e mezzo? Oggi, il Viminale stesso dice che si riesce ad eseguire solo il 45% delle espulsioni. Inoltre, non capisco come si combini il reato di immigrazione clandestina con il Cpt: se viene istituito un nuovo reato, il colpevole deve andare in carcere. Ho letto i disegni di legge e fatico a capire, allora dicano che vogliono trasformare i Cpt in vere e proprie carceri; in più, per mantenere lo stesso numero di «trattenuti» per 18 mesi bisognerebbe costruirne nove volte tanti.
Non sento proteste.
La valanga è cominciata nel 1998 ai tempi della legge Turco-Napolitano, dopo dieci anni la detenzione separata è stata metabolizzata da tutti. Ricordiamoci che in Italia il reato di clandestinità c'è già, perché la seconda espulsione è già reato: ora si vuole solo sdoganare una misura che in seconda battuta era già prevista. E' inaudito perché l'Italia non ha una normativa che permette un accesso regolare, e infatti il 93% di incremento degli stranieri sul territorio è dovuto a sanatorie, per cui l'irregolarità è strutturale, è come dire che tutti gli stranieri sono criminali. Detto questo, ormai gli italiani se la prendono anche con i regolari, basta guardare cosa sta accadendo ai rom, che sono quasi tutti comunitari (e negli ultimi 5 anni, a Milano, non sono aumentari: sono sempre 5.000!)
La caccia è anche sui tram...
Particolarmente odioso, perché è un'azione che non tende a colpire i potenziali delinquenti ma tutti coloro che usano i mezzi pubblici, e tendenzialmente sono lavoratori e lavoratrici, badanti, muratori, magari in nero. I vigili di Milano, comunque, da anni svolgono ruoli di polizia, più o meno da quando i sindaci sono stati eletti direttamente. Da quel momento si sono sentiti tutori in prima persona dell'ordine pubblico, e oggi assistiamo a un'escalation.
Come si può ripartire, di questi tempi, con una mobilitazione antirazzista?
Credo che una risposta immediata sul territorio oggi sia molto difficile, in altre parole si rischia il flop, anche se in questi casi sarebbe doveroso. Penso a un'azione di lunga durata di tipo più strutturale, andare nei quartieri, rimettere in connessione soggetti e associazioni che non si parlano più. Il problema sono gli italiani, che in larga parte condividono le misure repressive. Bisogna riportare la razionalità nelle strade, anche a costo di prendersi qualche insulto, prevedo tempi lunghi ma ormai non possiamo fare altro. Un presidio di protesta, con dieci o venti persone, lo si può anche organizzare, ma servirebbe più che altro per farsi vedere da giornali e televisioni.
Facciamo finta che da oggi il pacchetto sicurezza di Maroni è legge per come lo conosciamo attraverso le indiscrezioni. Cosa accadrebbe nella realtà?
Ho l'impressione che ancora una volta si tratti di un intervento simbolico per sfruttare il miglior capro espiatorio che ci sia, l'immigrato. Non sarà molto effiace, sarebbe come cercare di colpire uno sciame di api impugnando il bazooka, le poche che prendi le sfracelli, ma il «problema» rimane. Diverso è l'impatto culturale di questa deriva sicuritaria, la quale, se ancora fosse necessario, fomenta ancora di più i peggiori istinti razzisti. Ma, concretamente, facciamo due conti. Negli ultimi cinque anni, tra respingimenti alla frontiera e espulsioni, in Italia abbiamo cacciato più o meno 100 mila persone all'anno, quindi per rendere applicabile la pena per il reato di clandestinità bisognerebbe raddoppiare in un anno la popolazione carceraria. Diventerebbe il maggiore di tutti i reati commessi, per non parlare dei costi...
Gli stranieri che contatti sono preoccupati più del solito?
Le persone che telefonano al Naga hanno paura, sono semi-clandestini, con alloggio e lavoro. Per i colloqui, abbiamo cominciato a dare i numerini.

Di fronte ai pogrom siamo tutti coinvolti
Filippo Miraglia

da Il Manifesto del 31 maggio 2008

La parola pogrom viene dal russo e significa «sollevazione popolare contro una minoranza con massacri e saccheggi, spesso incoraggiata dal potere centrale» (dizionario della lingua italiana De Mauro). Se un ministro o un sindaco dicono che bisogna sgomberare i campi rom e mandano le ruspe a noi pare si tratti di «incoraggiamento». A Ponticelli hanno saccheggiato e bruciato e il fatto che non ci siano state vittime è solo un caso. Ci sono tutte le condizioni per parlare di pogrom. Nella Russia zarista il termine veniva usato in particolare per gli ebrei, sui quali il potere centrale faceva circolare informazioni diffamanti e criminalizzanti.
Oggi i potenti e tanti autorevoli giornalisti fanno la stessa operazione con rom e rumeni. Una sorta di follia collettiva, di psicosi pubblica, sembra essere piombata sul nostro paese. Leggiamo continuamente sui giornali sondaggi che dimostrerebbero quanto gli italiani siano molto d'accordo con gli sgomberi dei campi e la persecuzione dei rom, cioè coi pogrom, e questo, per alcuni, dovrebbe farci riflettere sul fatto che siamo dalla parte sbagliata. Anzi, secondo alcuni commentatori, insistendo nel difendere gli indifendibili, contribuiremmo a esasperare gli animi. Quindi, insieme a rom e rumeni, i cattivi saremmo noi, gli antirazzisti.
Noi, come diceva John Lennon, pensiamo che anche loro che stanno dall'altra parte della barricata, la maggioranza, un giorno potranno unirsi a noi e stare dalla parte sbagliata. La cultura di questo paese è scivolata in un baratro ma noi non intendiamo accusare nessuno di razzismo (se non chi ha responsabilità pubbliche), tanto meno quella maggioranza di cittadine e cittadini italiani che sono stati convinti che i loro problemi sociali si possono risolvere cacciando o mettendo in galera un po' di rom e rumeni. Pensiamo sia importante invece non lasciare sole queste minoranze perseguitate, di contrastare la cultura del capro espiatorio, ma dobbiamo parlare anche a quei giovani, a quelle famiglie, a quegli anziani che soffrono una condizione di vita precaria, senza nessuna certezza di futuro e che ricostruiscono un senso di comunità attorno all'individuazione di un nemico, in carne ed ossa, facilmente contrastabile. Ciò che oggi possiamo fare è promuovere e consolidare spazi di partecipazione, costruire reti di solidarietà anche in questa difficile fase. Siamo consapevoli della necessità di costruire opportunità di incontro e conoscenza per tutti, italiani, migranti e rom, perché solo la conoscenza reciproca, la contiguità con le persone e i loro problemi può far superare paure e diffidenza. In un momento di estrema frammentazione sociale bisogna impegnarsi per ricostruire coesione, non fossati. C'è bisogno di segnali forti, di essere presenti, proprio lì dove il senso di solitudine o il conflitto sono più acuti. Per evitare che le nostre città diventino fortezze chiuse e insicure. C'è bisogno di lanciare una grande campagna culturale contro razzismo e xenofobia, ognuno deve fare la sua parte perché nella barbarie che si è scatenata siamo tutti coinvolti.
*Responsabile immigrazione Arci

Commento di Alessandro Rizzo inserito Lun, 02/06/2008 16:14