.: Discussione: Il giovane clandestino di Porta Vittoria

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Carlotta Bassano

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Inserito da Carlotta Bassano il 20 Feb 2008 - 10:53
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...ogni tanto sarebbe utile e necessario raccontare certe storie, come quella del giovane senegalese di 17 anni che ha aiutato i feriti nell'incidente di Porta Vittoria.

Riporto l'articolo comparso sul Corriere della Sera il 20 Febbraio.
 
«Non sono un eroe, ho aiutato i feriti» Il ragazzo senegalese di 17 anni: mi dicevano «scappa o ti prenderanno» ma io non potevo vedere quelle persone soffrire

Moustapha ha smesso di scappare, è tornato al solito angolo davanti a Palazzo di giustizia, vende a due euro un giornale di strada e sa già che lo verranno a cercare. La sua storia è una riga di cronaca nel racconto di una grande paura, tra il Suv, il bus, il tram, lo schianto e la tragedia, in mezzo a feriti che urlano e a una donna che muore: lui è «l'extracomunitario di colore » dei primi soccorsi, segnalato insieme ai carabinieri in borghese che rompono i vetri del bus. Era sparito senza un grazie all'arrivo di vigili e polizia: non voleva farsi trovare, perché Moustapha, 17 anni, senegalese, è un clandestino. «Ciao eroe», lo saluta un posteggiatore ucraino col distintivo del Comune, uno di quelli che giovedì l'hanno visto sventrare con le mani la gomma che teneva chiusa la portiera del bus, aprire un varco per quei poveri passeggeri. Moustapha dopo lo schianto è corso lì senza pensare, mentre altri immigrati gli dicevano «attento, non farti beccare»: ha alzato le sue manone da cestista verso le cerniere e ha tirato con forza, poi è entrato e non sapeva cosa fare, ha visto una donna insanguinata, una bambina ferita che abbracciava la madre, si è avvicinato all'autista del bus, «era incastrato, chiedeva di essere liberato, gli ho detto che stavano arrivando i soccorsi» ma alla fine è uscito, si è defilato; quando le sirene erano vicine lui stava già lontano. Sul bus per i soccorsi c'erano altri, il maresciallo in borghese che rincuorava l'autista, il collega che urlava ai feriti di resistere, di non mollare. Moustapha non ci teneva a farsi trovare, però in corso di Porta Vittoria è diventato popolare. Sventola un giornale che pochi comprano, si chiama «Solidarietà, come », parla di Africa, di migrazioni, di sogni che poi sono una vita normale, la famiglia, lavoro, integrazione; la sua religione è islamica, ma nello zainetto tiene una piccola Bibbia, vuole conoscere, studiare. Gli vogliono bene nel bar dove il vento freddo di febbraio non gela le mani, la sua faccia che sorride sfida il rischio di una denuncia, e questa contraddizione non gli pesa quando dice che vuole fare «il vigile del fuoco, il poliziotto, l'autista di ambu-lanze, tutto quello che può essere di aiuto agli altri». Sembra incredibile che il posto più vigilato di Milano, davanti al Tribunale, a due passi dalla Camera del lavoro, possa essere il luogo migliore per un clandestino, ma è qui che Moustapha porta ogni mattina la sua illegalità, come altri connazionali, nella speranza inutile di trovare qualcuno che lo aiuti ad ottenere un permesso di soggiorno, un lavoro e magari un futuro. Ed è qui che la sua generosità si è spinta fino a uscire allo scoperto. «Non ho paura, non ho fatto del male», dice. «Solo chi fa del male nasconde qualcosa che lo farà sempre piangere». Una casa ce l'ha, in via Padova, ma non gli piace la zona, il quartiere, («Ho imparato in Senegal che se uno cresce in un luogo brutto diventa brutto anche da grande»). La divide con altri cinque immigrati più vecchi di lui che gli fanno da tutor, deve arrivare entro le sette di sera «perchè in giro ci sono spacciatori e delinquenti». Lo proteggono perchè è buono e forse anche ingenuo. Corre appena può a giocare a basket in largo Marinai d'Italia, si sta dando da fare per mettere su una squadretta. Ma uno così, clandestino a diciassette anni, corre il rischio di finire allo sbando. Moustapha, perchè non sei rimasto in Senegal? «Sono venuto in Italia nel settembre 2006 con un visto turistico. Sono stato a Bergamo, dove c'è uno zio con un lavoro regolare. Lì ho frequentato una scuola serale e ho imparato l'italiano: adesso ho tanti amici, e sto bene qui». Non ci sono scorciatoie senza il permesso di soggiorno. Se lo trovano deve andarsene «Lo so, ma io spero che mi facciano ritornare. Voglio un lavoro per fare del bene». Marco Tullio Giordana ha raccontato in un film una storia come questa. Si intitolava: «Quando sei nato non puoi più nasconderti». Anche Moustapha, il clandestino che ha aiutato i feriti del bus, non si nasconde più.

Mi domando: se il Dott. De Corato, semmai incontrasse Moustapha, gli darebbe una medaglia per quello che ha fatto?