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.: Il Blog di Alessandro Rizzo
Mercoledì, 6 Febbraio, 2008 - 00:19

Perchè sostengo Barack Obama

I asked you to believe in yours. Il "Super tuesday" è iniziato, ha dato i suoi albori e credo che qualcosa stia accadendo non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo, come scrive Zucconi su Repubblica, dove l'acclamazione dei candidati alla Casa Bianca dei rispettivi partiti, Democratici e Repubblicani, è seguita con forte attenzione da tutto il mondo. Un nuovo Presidente della Repubblica statunitense significherebbe un cambiamento di rotta nella politica fallimentare del "secolo delle acquile", sia a livello sociale, sia a livello economico, ricordandoci che esiste un depauperimento totale della classe lavoratrice negli USA e che i famosi mutui sull'acquisto delle case ha determinato un forte impoverimento nelle classi meno abbienti e in quelle appartenenti alla "middle class". Perchè sostengo Barack Obama? Da subito mi sono avvicinato a questa figura di candidato, linkando al mio blog il suo sito personale, quello anche del comitato elettorale, dei coucus, i comitati dei parlanti che lo sostengono dall'Illinois, sua terra, stato dove è statto eletto tre anni fa Senatore Democratico, al South Carolina. Ma il mio sostegno non si è fermato a questa superficiale unità virtuale. Io sostengo Barack, pur concependo i limiti che il sistema statunitense porta con sè, limiti di natura strutturale, sociale, economica, limiti di natura finanziaria, la prevalenza delle alte banche, dei prevalenti istituti bancari e assicurativi, delle multinazionali, delle holding, quelle che finanziano rispettivamente i democrats e i republicans e, alla fine, si contendono con l'acquisto dei comitati elettorali, un appoggio sicuro alle proprie politiche inerenti la promozione di interessi privati. Sì è vero: questo è il sistema americano. Questo è il sistema che viene giustamente presentato nel documentario di Michael Moore, Psycho, dove l'assicurazione privata rimane l'unica modalità con la quale contrarre un minimo di accordo e convenzione per beneficiare di esigue, insufficienti, drammaticamente minime, prestazioni sanitarie. Tutte sottoposte a un prezzo, a un costo: la salute, il benessere, a discapito di quella "felicità" da gaarantire a tutte le persone umane, è mercantilizzato, mercificato. Ma forse qualcosa può essere cambiato, magari in modo esiguo, sicuramente parziale: ma qualcosa si può muovere, eppure si muove diceva il grande Galileo. Io penso che Barack possa essere una speranza audace, calibrando questo termine, che a nostro avviso può sembare esagerato, assoluto, alla situazione contingente in cui si dimensiona la situazione socio-culturale statunitense, ancora molto arretrata in termini di diritto sociale e interventismo economico dello stato. Riprendo alcune sue frasi, che hanno scandito come un big bang londinese, queste tappe lunghe della maratona delle primarie, sfociate nel "Big tuesday", con cui si concludono, oggi, in molti stati degli USA, dal "far west" all' "Est Coast", quella dove il trionfo liberal è sempre più assicurato.
Usa ancora parole e definizioni che rieccheggiano il grande discorso di Martin Luther King, la grande frase "I have a dream, I still have a dream". Forse si può parlare di retorica, ma in Barack la retorica, che è arte oratoriale, non si discosta dalla realtà dei fatti compiuti. Obama ha sempre palesato una condanna, una denuncia della guerra in Iraq.
L'audacia della speranza, rimane da sempre il concetto fondamentale di ogni espressione di Barack, oltre al motivo continuo, come in una musica rap, del "Yes we can", a fine di ogni discorso. Io penso a questa espressione come a un nuovo conio della sempre storica frase "ottimismo della ragione". Barack parla ai suo* concittadin* con definizioni del tipo: non dovete crede in me, in quanto persona, ma in voi tutt* che state proseguendo nelle vostre scelte verso un cambiamento possibile, per voi, per le generazioni future, e necessario, opportuno. Prosegue Barack dicendo:"oltre al nostro proverbiale individualismo, c'è un altro ingrediente nella lunga storia americana: una convinzione che siamo tutti uniti come popolo". Ed è in questo il senso del riscatto di un'intera popolazione, senza scadere in frazionismo e in strumentalizzazioni faziose, che deve essere universale in un momento in cui la cosidetta civile America è scaduta in un esempio tragico e irrazionale di un'esportazione forzata e violenta di una democrazia che, a detta di Gore Vidal, è in crisi, in quanto è in crisi ogni modello assoluto e ogni principio fondante la stessa. Ricordiamo Guantanamo? Ricordiamo i bombardamenti al fosoforo su città civili dell'Iraq occupato? Ricordiamo le nefandezze di una guerra che ha ribalitato la tortura? Ricordiamo la volontà dell'attuale presidenza Bush di erigere un muro per evitare che i clandestini, da sempre considerati come risorse per gli USA, per il sistema americano, da sempre visti come elementi umani che potessero mettere in azione quel senso di cosmpolitisimo, di cuis empre la tradizione storica e civica statunitense si è forgiata, potessero valicare le frontiere del sud texano e introdursi nella vasta landa statunitense. Barack parla di diritti umani come di principi universali, parla a quelli che sono ultimi per dire che i primi devono non essere mossi dalla compassione di un conservatorismo bushista che prevede il lascito di misere briciole, se avanzano, del copioso pranzo, ma per dire che i primi dovranno assumere su di sè i problemi degli altri perchè ci sia convivenza sociale e civile unitaria, perchè ci sia coesione, perchè ci sia progresso umano. Sto parlando di accountability, si quel senso di responsabilità che fa di noi portatori di una politica, di scelte responsabili, pensate, ragionate, per il futuro nostro e delle prossime generazioni, per il benestare di noi tutt* e, quindi, anche dei nostri prossimi: se il mio prossimo sta male perchè leso in alcuni propri diritti, anche io sto male in quanto sono convinto che il suo stare male, in quanto offeso e leso, implica un venire meno di quelle certezze, i diritti sociali e civili, di cui anche io beneficio. Io penso che Barack possa apportare un minimo di speranza di cambiare un'America offesa: un'America oltraggiata da un apresidenza irresponsabile, integralista, oscurantista, antitetica alla sua storica cultura giuridica costituzionale, alla visione della tolleranza e dell'universalità dei diritti. Importante è contornare questi diritti civili di una visione pubblica: quella visione che vuole fare la politica come vocazione alta da noi tutt* perseguibile e da noi tutt* richiedibile, esigibile. "La politica è un'altra cosa", dice Obama: è la più grande cosa, è la dedizione, la responsabilità, l'accountability. Avanti Obama, forse con te un minimo di riscatto etico è possibile, un auspicio che riporti gli USA a sperare, a sognare, a immaginare come sulle onde emozionanti di un lungo progetto che da Martin Luther King continua a proseguire. Le grandi battaglie, seppure portate avanti da un candidato criticato per la breve esperienza senatoriale, tre anni di carica, possono essere le uniche che garantiranno un cambiamento per gli USA e per il mondo, verso la multilateralità e la promozione dei diritti umani e sociali. Barack sarà un politico "politicante" con giovanissima esperienza, ma tale era anche Lincoln e non possiamo nascondere che, come dice lo stesso Obama, se i grandi esperti tattici sono Cheeney e Rumsfeld, con quello che hanno apportato al mondo tutto, forse è meglio essere candidati con una breve carriera politica.
Avanti Barack: hai tutto il mio sostegno.

ALESSANDRO Rizzo