.: Discussione: Campo ROM di via Bonfadini: siamo alle solite

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Alessandro Rizzo

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Inserito da Alessandro Rizzo il 22 Set 2007 - 14:30
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Caro Antonio,
il tema è piuttosto complesso e credo debba essere affrontato con un intervento che possa commisurare il rispetto delal legalità con l'urgenza di attivare percorsi di integrazione seri e completi.
Due riflessioni abbastanza chiare, che prendono spunto da un'indagine che Opera Nomadi a Milano ha attivato prendendo e raffrontando situazioni europee in cui si presenta la questione sociale dell'immigrazione nomade, in primis l'esempio della Provenza, in Francia.
Credo che la maggioranza dei nomadi confermi il dato di fatto che la loro intenzione è cercare un posto di lavoro sicuro e stabile, una casa, un'istruzione adeguata, che sono elementi imprescindibili e inalienabili come "diritti di cittadinanza" e che non possono essere arbitrariamente accolti per alcune categorie e non riconosciuti per altre. Nessuna differenza di sesso, religione, ideologie, confessioni, e tanto meno etniche possono dettare un discrimine in materia. Ma è anche chiara la dichiarazione del Parlamento Europeo che invita le amministrazioni locali a provvedere ad attuare piani di integrazione sociale dove la comunità nomade, rom e sinti, possa essere riconosciuta come minoranza etno lnguistica con le proprie specificità, come avviene per le comunità ladine in Alto Adige, quelle francofone in Valle d'Aosta, quelle labanesi in Calabria e Puglia. Quindi occorre anche inserire un discorso che provveda a qualificare le comunità stanziali rom e sinti a Milano, come in Italia, come soggetti di diritto di rappresentatività e di partecipazione alla vita politica della comunità.
Quello che tu denunci è assolutamente insindacabile e direi chiaro, e rappresenta giustamente uno stato di disagio collettivo per certi fenomeni penali che devono essere adeguatamente perseguiti con coerenza e all'insegna dello stato di diritto. Ma penso che la politica debba prevedere forme di prevenzione che possano evitare l'acuirsi di uno stadio di emarginazione e di disagio che scatena, poi, inevitabilmente atti di intolleranza generalizzata dai contorni piuttosto preoccupanti per la veemenza e la violenza: vediamo campi bruciati, fenomeni di discriminazione e di razzismo di non indifferente portata, atti di dileggio e di grave attacco verso le inclumità di tutti. Io vorrei vedere un'amministrazione attenta non solo ad intervenire a "buoi scappati dalla stalla", ma un programma adeguato e soprattutto partecipato di condivisione di percorsi integrativi sociali e culturali che sono necessari nell'ottica dell'invito che l'Unione Europea ha espresso, ossia del riconoscimento di una comunità, che non deve chiudersi in sè stessa, ma deve essere riconosciuta come tale, soggetta di diritti. Io penso che se la risposta è lo sgombero questa risposta sia assolutamente inadeguata, nel momento in cui sposta il problema, lo acutizza, lo acuisce, e ne determina uno stato continuativo di indifferenza verso delle esigenze sociali e culturali che devono essere registrate, pena un isolamento di una comunità che rischia di protrarre fenomeni di devianza e di emarginazione, con tutte le casistiche che tu giustamente hai riportato, e che sono di grave portata, come le percosse a cui gli agenti sono stati soggetti.
Ma io penso che la prevenzione di questa stadio veramente irriversebile debba essere compito e responsabilità dell'amministrazione: non è il patto della legalità, cosa già da me denunciata, a dover essere visto come soluzione unica alla questione, in quanto è un patto scritto solo dall'amministrazione e "ottriato" dall'alto, calato da Palazzo Marino, senza prevedere un coinvolgimento delle rappresentanze sociali che affrontano da anni la questione, con un continuo prosieguo del dialogo con le comunità dei Rom e dei Sinti, cito Opera Nomadi, cito Aven Amentia, cito le tante organizzazioni sociali, come la Caritas, la Casa della Carità di Don Colmegna, il Nocetum, comunità di religiose fortemente attiva in materia nella nostra zona, in Via San Dionigi, e senza considerare la comunità stessa come soggetto con cui confrontarsi e decidere insieme le regole.
Io credo che sulla questione dei nomadi il Comune sia molto latente e latitante, fortemente privo di un progetto di integrazione adeguato, che possa realmente divenire deterrente rispetto a un precipitare degli eventi che assumono forme di disagio diffuso e di difficoltà al mantenimento della convivenza civile e pacifica. Sembra quasi che la politica del "lasseiz faire" sia diventata propedeutica e direi causa di quanto sta accadendo: da una parte fenomeni di reati penali di diversa entità, dall'altra un aumento dell'intolleranza e dell'insofferenza. Quello a cui stiamo pervenendo è una guerra civile che sicuramente non potrà più essere controllata: ma la responsabilità, ripeto, è chi ha permesso che questo stadio fosse raggiunto, e non vorrei che certe forze politiche lo avessero permesso a fini di strumentalizzazione politica, vediamo alcune manifestazioni organizzate e che trovano indicibili messaggi di stampo dichiaratamente xenofobo e di istigazione all'odio razziale, che non possono essere tollerati e che definirei pericolosi per la stabilità della convivenza civile e sociale.

Bisogna ripartire, ma non con i metodi finora esperiti, che sono insufficienti e realmente inadeguati. Penso a San Dionigi dove un campo che era stato riconosciuto come legale e legittimo, perchè composto da persone che avevano già avviato un percorso di integrazione sociale, proposto e attuato dalle associazioni che operano nell'ambito del nomadismo, Opera Nomadi, Casa della Carità, in primis il Nocetum, è stato sgomberato dall'assessorato alla sicurezza senza avvertire, preavvertire le autorità locali istituzionali, il Consiglio di Zona 4 per prima, ma, soprattutto, cancellando una situazione che poteva diventare esempio di un'integrazione sociale consapevole e armoniosa, collettiva, partecipata. I ragazzi andavano a scuola, frequentavano le medie inferirori di Via Martinengo, di Via Mincio, ma anche le superiori, in Via San Dionigi; i padri lavoravano, avevano posti di lavoro fissi; le madri seguivano corsi che il Nocetum promuove sull'educazione e la conoscenza della lingua. Tutto questo è stato demolito dalle ruspe, senza neppure prevedere quale destino questi programmi avessero, mettendo in difficoltà le associazioni che avevano costruito un percorso condiviso e veramente importante, e senza sapere che cosa il Comune, l'assessorato alle politiche sociali avessero intenzione di proporre in merito: l'azione dell'amministrazione, finora assente in materia, ed è solo grazie alle associazioni di volontariato sociale se si è riusciti ad arrivare a un punto direi ottimale di integrazione, parlo di San Dionigi, si è risolta solamente in un intervento d'imperio, unilateralmente determinato, grossolanamente predisposto, cacellando ciò che  fino a oggi si era raggiunto come risultato di buona convivenza.

Vedi Antonio, la tua lettera è esempio comprensibile di una sofferenza, che tu, ma anche io, mi pongo: ma io penso che questo stato di cose sia causato da un fallimento delle politiche di integrazione dell'amministrazione, assenti, totalmente assenti e fortemente inadatte. Occorre cambiare politica sociale di integrazione per cercare di non rendere il flusso del disagio dirompente gli argini della convivenza civile. Rischieremmo di avere scenari piuttosto preoccupanti per il futuro prossimo della nostra città, della nostra zona, dei nostri quartieri.

Un caro saluto
Alessandro Rizzo
In risposta al messaggio di Antonio Marino inserito il 21 Set 2007 - 15:57
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