E' ovvio che non è mia intenzione prendere in giro nessuno. Ho solo voluto fornire dei dati di fatto, sconosciuti ai più, per rendersi meglio conto della situazione e poter riflettere su di essa. E' chiaro che quella del Ceas è solo un'infinitesima parte della questione "rom a Milano"; e tuttavia essa ha una sua specificità proprio in funzione delle sue modalità e dei positivi risultati raggiunti e dimostra che regole (il patto di legalità) e opportunità (i percorsi di inserimento lavorativo, abitativo e scolastico) possono dare una risposta diversa rispetto alla paura ed al rifiuto che istintivamente tutti siamo portati ad abbracciare. Ma chi amministra più che seguire e rinfocolare gli istinti deve offrire risposte razionali e  concrete ai problemi. Ribadisco quanto ho già detto in altre occasioni: dovremmo chiedereci se è più pericoloso un rom collocato in una struttura assisitita come quella del Ceas o un rom lasciato a se stesso o che vive in un campo abusivo. Questo non toglie che chi commette reati deve essere perseguito secondo i termini di legge, ma la risposta repressiva non può non essere accompagnata da una logica di integrazione sociale che darà frutti sul medio - lungo periodo.
Da ultimo segnalo che fra i rom vi è una fortissima tendenza alla sedentarizzazione: si calcola che oramai solo il 30% dei rom siano effettivamente itineranti e questo rende ancora più urgente una loro positiva integrazione civica.

Alberto Farina - Consigliere di Zona 3 - L'Ulivo