.: Eventi

« Marzo 2024
Lun Mar Mer Gio Ven Sab Dom
1 2 3
4 5 6 7 8 9 10
11 12 13 14 15 16 17
18 19 20 21 22 23 24
25 26 27 28 29 30 31

.: Candidati

.: Link

Pagina Personale

.: Ultimi 5 commenti

.: Il Blog di Alessandro Rizzo
Lunedì, 12 Febbraio, 2007 - 16:02

Qualcuno è più uguale degli altri?

In questo thread di discussione nei forum presenti nel nostro sito di partecipami.it voglio proporre alla vostra riflessione e analisi questo tema, rigurdante una parte cospicua della cittadinanza multietnica che vive, risiede a pieno titolo, lavora, studia, si diverte e si muove, usufruisce degli spazi, in questa grande città, quale è Milano: solo un particolare, però, riguarda questa fascia di cittadine e di cittadini, ossia non possono partecipare nè attivamente nè indirettamente alle scelte di governo della città, dove sono inseriti. Sto parlando del 12%, 150000 in termini assoluti, cittadine e cittadini stranieri, residenti a Milano, ma esclusi dal diritto di votare propri rappresentanti nel consiglio comunale e nei consigli di zona, quelli circoscrizionali. Roma docet, possiamo dire: nella Capitale queste persone che sono l'8% circa della popolazione, ossia 160000 abitanti, hanno potuto, lo scorso 10 dicembre votare dellle proprie rappresentanti e dei propri rappresentanti in seno ai Municipi e al Consiglio Comunale, partecipando attivamente e in modo ponderato alle consultazioni. A Milano non si parla, nè si accenna minimamente alla costituzione di "consulte", ossia di meri organi che possano anche solamente avere la potestà di esprimersi in merito alle questioni che riguardano la vita comune di questa città, della propria zona. A Roma queste persone elette potranno incidere nelle scelte, presentando propri ordini del giorno, interrogazioni, interpellanze, mozioni: a Milano neppure lontanamente si discute circa una possibile integrazione reale e democratica di questa fascia, oggi esclusa dalla partecipazione civile e civica, elemento preponderante e propedeutico alla costruzione di una società e comunità realmente multietnica, dei diritti universali e del riconoscimento del valore della differenza come motore di progresso civico. Tutto è fermo e immobile, a Milano. Niente si propende a determinare come mera volontà di garantire alle nostre immigrate e ai nostri immigrati un titolo di eguaglianza effettiva e sostanziale rispetto alle proprie concittadine e ai propri concittadini. Lavorano, pagano i tributi, i più giovani frequentano le scuole, alcuni usufruiscono dei servizi delle public utility, altri frequentano gli spazi pubblici, altri sono in cerca di abitazione, altri fanno la fila alla posta per pagare la luce, il GAS, l'acqua: ma a loro non si può permettere di votare per partecipare e per avere una voce rappresentativa tale da portare nei consessi democratici le proprie istanze, che sono anche nostre, che immigrate e immigrati non siamo, ma che certamente viviamo a stretto contatto con loro, e che per il nostro benessere certamente dobbiamo pensare anche al loro benessere. I diritti di cittadinanza sono intercomunicabili, non scindibili, non parcellizzabili: non possono essere scomposti l'uno dall'altro, ma devono essere integrati in un disegno comune, che è il disegno di un futuro sociale di convivenza pacifica e di giustizia solidale. La legge è uguale per tutte e per tutti: quindi, come un sillogismo kantiano, deduco che anche i diritti sono uguali per tutte e per tutti, non solo i doveri, Anche le opportunità di diventare attori protagonisti di questa nostra società sono equipollenti. A Roma esiste tutto questo. A Milano rimane il fatto che alcune cittadine e alcuni cittadini sono sì uguali ad altre categorie di residenti, ma i primi sono più uguali di alcuni di questi ultimi, come scriveva Orwell in "La fattoria degli animali". Questa situazione non è più tollerabile in una città che vuole e ambisce a diventare europea: occorre proporre qualcosa che possa garantire anche alle cittadine e ai cittadini immigrati il diritto di partecipare attivamente alla vita democratica della propria comunità, delle proprie comunità, accettando e accogliendo una visione istituzionale di un mondo di dirittti pluriversali, ossia di pari trattamento e di pari opportunità per tutte e per tutti. Basta proporre un ordine del giorno, una mozione, per poi renderla ersecutiva. Non importa, qui, un discorso di appartenenza ideologica, ma di senso di civismo e di giustizia sociale, nell'accezione, tutta occidentale, del valore indefettibile della persona umana, della sua dignità di cittadina e di cittadino, di soggetto attivo e di diritto, non subordinabile a nessun tipo di presupposto discriminatorio o di esclusione. Lo stato sociale è un bisogno a cui lo stato deve rispondere adeguatamente; ma lo stato di diritto, ed è questo il caso specifico, è naturale, ossia è determinato dalla sola esistenza di una persona come soggetto giuridico di opportunità e di doveri. Negare questo ultimo elemento singifica negare l'eguaglianza. E in una comunità come la nostra l'eguaglianza è prodromica alla costruzione di un futuro di pace e di unità. Non è tollerabile che qualcuno in questa comunità sia escluso da alcuni diritti che altri hanno: il vulnus è troppo elevato nel suo aspetto, tanto da rendere il futuro ipotecato da possibili atti di esclusione e di emarginazione, con la giustificante di alcuni precedenti, come questo caso, di grave portata. L'opposizione de L'Unione, la scorsa consiliatura, aveva proposto che almeno nei 9 consigli circoscrizionali, con poteri limitati rispetto alle municipalità romane, veri e propri comuni con poteri vincolanti. La proposta cadde come un sasso nello stagno, ma rimane aperta: l'attendismo non è più giustificabile nè tollerabile, semmai prima lo fosse stato da parte di qualcuno, con responsabilità di governo e di amministrazione della città.
Ai posteri l'ardua sentenza? Spererei di non proferire queste parole, ma di dire: Eureka!

Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano