.: Discussione: Nomadi a Milano: che fare?

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Germana Pisa

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Inserito da Germana Pisa il 1 Giu 2008 - 08:57
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In questo articolo, tratto da The Guardian e tradotto da Fabrizio Bottini si parla di nomadi, soprattutto di bimbi e ragazzi nomadi, ma non solo. Si parla di una esperienza non italiana, (anche se di italiane ne esistono, anche vicinissimi a noi, frutto della buona volontà e della fede nell'uomo di singoli eroi civili, alcuni conosciuti altri certamente misconosciuti)... una esperienza questa dell'articolo che suggerisce riflessioni e paragoni di varia natura. Che, per quanto mi riguarda,mi suscita un'ombra di sollievo, dopo gli avvenimenti di questi ultimi tempi in Italia, per il clima di paura che in Italia è stato creato o che si tende a creare. Dal quale spero non saremo sommersi del tutto, dal quale spero la nostra ragione, singola e collettiva, non sarà travolta.
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“Abitare in roulotte? Fantastico!”

di Rowenna Davis - da The Guardian. Scelto e tradotto per Megachip da Fabrizio Bottini

 La scuola dell'obbligo St Joseph nel Nottinghamshire non ha una normale casa di bambola. Ha invece un modello di rimorchio abitabile con cucina estraibile e tre bambole di zingari. Quel rimorchio è il simbolo dell'atteggiamento della scuola verso il suo dieci per cento di alunni nomadi di etnia Rom. Alla St Joseph eguaglianza significa riconoscere la differenza, anziché ignorarla.


“Vogliamo che i bambini possano essere fieri di dire “Sono un nomade, questa è la mia cultura" spiega l'insegnante responsabile Anita Blake con entusiasmo. "Dobbiamo far loro capire che aggiungono valore alla scuola, come tutti gli altri bambini".

Far sentire inseriti alunni Rom non è una cosa semplice. Il Department for Children, Schools and Families stima che a livello di scuola media solo il 15%-20% dei ragazzi nomadi frequenti. Fra loro, soltanto il 15% dei nomadi irlandesi e il 13% dei Rom arriva al titolo con qualificazioni medio-alte, contro una media nazionale del 60%. Questo giugno è il primo mese della comunità nomade Rom, a sottolineare queste sfide e evidenziare il profilo degli studenti della comunità.
Si tratta di una popolazione che comprende un caleidoscopio di gruppi, tra cui Rom, nomadi di origine irlandese e inglese. Anche se vengono classificato come un solo gruppo etnico, il legame più forte per la popolazione nomade sembra essere quella di una condivisa esperienza di discriminazione. In una indagine su oltre 200 bambini della comunità da parte della Children's Society l'anno scorso, il 63% rispondeva di aver subito aggressioni fisiche, l'86% attacchi verbali, per la propria origine. Il rapporto indicava come la scarsa frequenza e risultati scolastici potessero derivare da questi elevati livelli di discriminazione, anziché da problemi culturali.

Dragica Felja è mediatrice per il Roma Support Group, e la sua esperienza rafforza la tesi del rapporto. “La gran maggioranza della popolazione nomade vorrebbe fortemente appartenere alla mainstream sociale” spiega. “C'è un pericolo nell'affermare che non si vogliono integrare: scarica il problema sulle vittime”.

Un rapporto di fiducia

L'esperienza della scuola dell'obbligo St Joseph indica come con un po' di sostegno i bambini nomadi possano andare benissimo in classe. Alison Welsch, di origine Rom, ha deciso di mandare a scuola il figlio di cinque anni, Alfie. Esibisce sorridendo un attestato arancione che ha cavato dalla borsa: “95% di frequenza. Quando Alfie non va a scuola chiede: ma perché? mentre la maggior parte dei ragazzini troverebbe qualunque scusa per non entrare in classe. Lui adora la scuola, che l'ha cambiato in modo incredibile”.

Il successo alla St Joseph non si basa su grandi progetti, ma sull'atmosfera di accessibilità. Per usare le parole della signora Blake: “Siamo molto impegnati a verificare che i genitori Rom sappiano quanto badiamo ai loro figli, alla loro cultura. Li aiutiamo a compilare le domande scolastiche, li lasciamo venire a visitare la scuola se hanno qualche perplessità: si tratta di costruire rapporti di relazione e fiducia”.

Molti genitori nomadi hanno avuto brutte esperienze con le scuole, e si stima che l'80% degli adulti sia analfabeta. Molti decidono di non iscrivere i figli e non dargli una normale istruzione per il timore che possano ripetere le proprie esperienze. La mamma di Alfie, che ricorda come la sua insegnante la chiamava “sporca zingara”, spiega: “Sono andata in un sacco di scuole diverse mentre ci spostavamo. Era tremendo: tutti sapevano che venivamo dai campi, e ci si sentiva estranei in classe. Adesso invece ai miei figli dicono, 'Abiti davvero in una roulotte? Fantastico, e com'è?' Tutte le mamme concordano che adesso le cose sono diverse a scuola, i bambini non hanno paura di imparare, vanno benissimo”.

Alla St Joseph si è lavorato molto per costruire questo rapporto di fiducia coi genitori della comunità. La scuola cerca di adattarsi ai loro modi di vita, e prepara dei compiti a casa per quando si spostano, fra aprile e ottobre. La visibilità della comunità nomade aiuta gli alunni a sentirsi inseriti quando tornano, e ci sono libri come Wilma's Wagon o Zippo's Circus mescolati sugli scaffali insieme ad altre storie.

Un altro segreto nel successo della scuola sono gli stretti rapporti con l'amministrazione locale. Ci sono rappresentanti del comune che spesso visitano i campi nomadi prima che i bambini abbiano l'età per iscriversi a scuola, e che contribuiscono a introdurli al sistema educativo “sul loro terreno”.

Nonostante questo sostegno dell'amministrazione locale col suo servizio nomadi, non esistono finanziamenti diretti per una scuola che vuole sviluppare questi programmi. Felja racconta che parecchie delle scuole con cui collabora hanno difficoltà a organizzarsi. “I bambini svantaggiati vengono trascurati dalle scuole semplicemente perché non ci sono risorse a sufficienza per il loro sostegno. Si tratta di una evidente contraddizione col programma Every Child Matters ”. Incapaci di comprendere ciò che gli si sta insegnando, molti alunni sviluppano problemi di comportamento: “Iniziano a litigare, a diventare distruttivi, perché non vogliono che gli altri si accorgano che non riescono a seguire i programmi”.

Un circolo vizioso

Le scuole che offrono un sostegno alla comunità nomade spesso pagano un pegno per farlo. La decisione della St Joseph di mantenere iscritti anche gli alunni che sono in viaggio certo assicura una continuità per loro, ma devasta le statistiche della frequenza.
E le cose non cambieranno finché la comunità nomade non avrà fiducia a sufficienza per registrarsi come etnia nei sondaggi e rapporti. Felja sostiene che molti giovani sono ancora troppo spaventati per ammettere la propria identità. Senza identificazione, non ci sono finanziamenti. Inizia un circolo vizioso perché senza sostegni mirati è piuttosto improbabile che aumenti la fiducia della comunità. E i problemi sono destinati ad aumentare con l'ampliamento dell'Unione Europea e della sua popolazione nomade.

Come avviene nella maggior parte dei casi di esclusione sociale, le cose si fanno più evidenti man mano si amplia la prospettiva di osservazione. Nonostante siano molti i bambini della comunità nomade che ora entrano nella scuola dell'obbligo, sono pochi quelli che proseguono. Fra quelli studiati per il rapporto Children's Society, un terzo aveva abbandonato prima dei dieci anni, te quarti prima dei tredici.
Forse ci saranno altre scuole a seguire questo piccolo esempio del Nottinghamshire. Le iniziative alla St Joseph stanno costruendo un'atmosfera di reciproca comprensione, e offrono a tutti I bambini un'occasione per imparare, indipendentemente dai confini culturali.

Nota: su un piano completamente diverso, ma certo complementare, si veda il recentissimo documento del ministero delle Aree Urbane britannico per le linee guida di progettazione degli insediamenti destinati ai nomadi, che li considera assimilati agli altri interventi abitativi, comprese le forme di partecipazione e decisione urbanistica. Il documento è scaricabile a questa pagina del sito ministeriale.
 
http://www.communities.gov.uk/publications/housing/designinggypsysites

testo originale dell'articolo dal Guardian anche sul mio sito Mall_int sezione Society

http://eddyburg.it/article/archive/239/   
 

(f.b.) 
 
 
 

In risposta al messaggio di Enrico Vigo inserito il 30 Dic 2006 - 10:59
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