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.: Il Blog di Donatella Elvira Camatta
Lunedì, 7 Agosto, 2006 - 10:39

Lettera di Lele Fiano a "Liberazione"

Caro direttore,
morti, distruzioni, missili, guerra e pace in Medio Oriente, da dove
comincio?
Quale parte di me devo prima coinvolgere per offrire ai lettori
di "Liberazione"
un punto di vista che sicuramente risultera' avverso o provocatorio
per la
maggior parte di loro?
Comincio dalla testa, dalla razionalita', perche' non voglio che i
miei
sentimenti di ebreo comunque vicino a Israele e alla difesa della
sua esistenza,
e per di piu' parlamentare di sinistra e quindi esposto a possibili
critiche di
incoerenza con altri atteggiamenti nel mio schieramento, possano in
qualche modo
farmi scudo se pronuncio idee non condivise: vorrei che il confronto
fosse
razionale e non emotivo.
1) Israele, nella guerra in Libano, difende se stesso, i suoi
abitanti e il suo
territorio dall'aggressione di un nemico spietato, votato alla sua
distruzione,
emissario politico-militare del pan-sciismo iraniano di Ahmadinejad,
unico
leader mondiale vivente sinceramente antisemita, negazionista della
Shoah e
profeta della distruzione di Israele;
2) la mia opinione e' che Israele combatta una guerra anche per
l'Occidente che
- consapevole o no - incontra nel rischio-Iran, con la sua corsa
alle armi non
convenzionali, nel suo proporsi come leader di un movimento sciita
anti-occidentale, un rischio mortale di cui le milizie armate di
Hezbollah sono
l'avanguardia;
3) la questione "sproporzionale": la linea di politica estera del
governo Prodi,
si e' configurata in queste settimane, con coraggio e coerenza,
seguendo quattro
principi:
a) l'inizio della crisi Libano/Israele e' dovuta all'aggressione
Hezbollah;
b) Israele ha diritto di reagire e di difendere la sua sopravvivenza;
c) la reazione di Israele e' sproporzionata in rapporto alla
quantita' di vita
umane innocenti perse e alla distruzione di infrastrutture civili;
d) la reazione di Israele e i missili di Hezbollah devono ora
fermarsi per
permettere poi l'interposizione di una forza di pace internazionale.
Condivido i primi due punti. Sul terzo punto condivido lo sgomento
per i morti
civili di qualsiasi nazionalita' e per il peso distruttivo che la
struttura
civile del Libano ha dovuto sopportare. Il mio dolore per quei morti
e' sincero,
il mio cordoglio totale.
Resta tuttavia inevasa la domanda che ho rivolto da tempo: come si
combatte una
guerriglia armata fino ai denti, capace di colpire obiettivi civili
da grande
distanza, che non ha nessuna legittima rivendicazione territoriale
da avanzare?
Come si combatte chi spara missili mortali dall'interno di un
complesso
residenziale civile? Come si contrasta chi nasconde gli armamenti in
gallerie
situate sotto villaggi i cui accessi sono all'interno delle
abitazioni?
Certo, nessuno togliera' mai dai nostri occhi le immagini dei
bambini innocenti
morti a Cana, uccisi dal bombardamento israeliano, nessuno potra'
mai scusarsi
abbastanza, nessuno potra' giustificare, cosi' come nessuno dovrebbe
mai
sostenere inutilmente che esistono guerre chirurgiche, bombe
intelligenti o
tecnologie belliche non-invasive.
*
Qualche anno fa, nei bombardamenti della Nato sul Kosovo i morti
civili furono
centinaia e centinaia, come ben sanno i lettori di "Liberazione". Il
governo
italiano considero' quell'intervento legittimato da uno scopo
umanitario, che
anch'io condivisi: il che dimostra che vi sono casi in cui l'uso
della forza,
ancorche' devastante, puo' esser legittimato anche da governi di
centrosinistra.
Se si condivide quindi il diritto di Israele a reagire, rimane
aperta - non
retoricamente e con tutta la consapevolezza del dramma della perdita
di vite
umane innocenti - la domanda sul come si combatta la guerriglia che
si nasconde
tra i civili, o addirittura si fa scudo di essi.
Tuttavia questa domanda senza risposta non ridara' la vita a coloro
che muoiono
senza colpa in Libano, in Israele, in Palestina. Ma questa scia di
morte deve
finire.
A questo serve la politica.
*
Ma mentre mi e' chiaro perfettamente il finale che vorrei fosse
scritto quanto
prima per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, e cioe'
la nascita
di uno stato palestinese in pace, accanto allo stato di Israele, con
confini
coincidenti con quelli precedenti all'occupazione del 1967, e quindi
con la
liberazione di quei territori da parte di Israele, non mi e' affatto
chiaro di
quale sia il quadro finale dell'eventuale processo politico che
dovesse prendere
il posto del conflitto tra Israele e
Hezbollah.
Vi sono domande su questo punto che non possono essere taciute:
l'Iran e la
Siria vogliono veramente un Medio Oriente pacificato? Non credo, ma
cio' non mi
impedisce di ritenere che vada perseguita comunque la strada di un
cessate il
fuoco con interposizione internazionale. L'unica soluzione che
riesco a
immaginare per il confine nord di Israele e' quella di una
separazione forzata,
con disarmo di Hezbollah. Detto questo pero' nessuno puo'
dimenticare l'altro
conflitto.
I palestinesi, le cui condizioni umanitarie, sociali, economiche,
nei Territori
sono drammatiche e non piu' sopportabili, sono disponibili una volta
per tutte,
con il governo di Hamas, a rifiutare il terrorismo e a riconoscere
Israele?
Israele e' disponibile a trattare con Hamas e Abu Mazen sulla base
di un mutuo
riconoscimento, sulla base di un percorso interrotto che prevedeva
territori in
cambio di pace, e oggi eventualmente di interposizione di forze
internazionali?
Tra Israele e palestinesi serve la riapertura di un tavolo politico
di
trattativa, tra Israele e Hezbollah serve il disarmo di Hezbollah e
poi la
separazione forzata.
*
Ho lasciato per ultimo il mio cuore: ma non lo dimentico, anche se
non pretendo
di esprimere opinioni dimostrabili. Il cuore mi dice che Israele fa
la guerra
perche' vuole la pace, Israele non ama la guerra, non ci sono feste
in Israele
per i 350.000 sfollati, per i 30.000 soldati al fronte, non ci sono
feste per i
bambini uccisi a Cana, a Tiro, a Beirut o a Gaza: e ovviamente non
ci sono feste
per i morti e i feriti di Haifa, Zfat o Kiriat Shmona. Gli
israeliani, quelli
con cui parlo io ogni giorno, che vivono al nord, che da settimane
vivono nei
rifugi, bombardati dai katiusha ogni giorno e non solo da quando e'
scoppiata la
guerra, che piangono la notte per i loro ragazzi al fronte, i miei
amici che
furono in piazza per fermare la guerra del 1982, che appoggiavano la
pace di
Rabin e Arafat, costoro che insieme a Amos Oz, a Avraham B.
Yehoshua, David
Grossmann, furono la frusta morale di quell'Israele che non capiva la
necessita', allora, di una trattativa con i palestinesi. Anche
quell'Israele e'
oggi con il governo dalla parte di una guerra per la sopravvivenza,
guerra
devastante per il Libano e per i libanesi, e' vero, guerra con
troppi morti
innocenti, morti per i quali il nostro cordoglio non va mai fatto
mancare, ma
guerra di sopravvivenza.
Io credo che israeliani e palestinesi vogliano in maggioranza la
pace e che ne
abbiano diritto. A questo diritto va data una risposta il piu'
rapidamente
possibile perche' il diritto non salvaguardato diventa rabbia, odio
e guerra.
Ma l'Occidente - anche quando legittimamente critichi certe scelte
del governo
israeliano - non deve isolare Israele e gli ebrei che nel mondo ne
difendono i
diritti. Gli ebrei non controbattano qualsiasi critica al governo di
Israele con
la controaccusa di antisemitismo.
Israele non dimentichi mai le parole di Rabin: "Continueremo il
processo di pace
come se i terroristi non esistessero; combatteremo i terroristi con
tutte le
nostre forze come se non esistesse il processo di pace".