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.: Francesco "Franz" Purpura
Inserito da Francesco Purpura il Gio, 18/05/2006 - 17:31
La mia lista:
Rifondazione Comunista - Sinistra Europea (indipendente)
Simbolo lista:
Francesco "Franz" Purpura
Dove mi candido:
Consiglio Comunale
Foto Candidato:
Francesco "Franz" Purpura
Io in breve:

Mi chiamo Francesco Purpura, ho 33 anni, lavoro come collaboratore a progetto con l’Assessorato alle Politiche Giovanili della Provincia di Milano.
Ho sempre lavorato come educatore con giovani, minori, tossicodipendenti e disoccupati per enti, cooperative e associazioni come il Comune di Milano, Comunità Nuova, Ala, Diapason, Anni Duemila.
Da quasi vent’anni svolgo attività politica nei movimenti sociali autorganizzati di Milano e non solo, passando attraverso esperienze collettive come il Leoncavallo, il Deposito Bulk, la Rasc, Metropolix, il Movimento di massa antiprobizionista, Garigliano, la May Day, Makaya, Genova 2001 e tante altre ancora.
Mi piace leggere e scrivere, ballare e suonare la musica “trash”, il buon vino di Critical Wine, la Fossa dei Leoni, gli Assalti Frontali, la “Fame Chimica”, amo i fratelli e le sorelle che si fanno un mazzo tanto, chi vive in equilibrio tra il legale e l’illegale, chi insegue la giustizia ed alimenta resistenza, chi agita il suo genio e si esibisce da folletto.

Cosa ho fatto finora nella vita:
Sono nato a Verona il 17 ottobre 1972, ho quindi trentatre anni. Quando avevo sei mesi i miei genitori si sono trasferiti a Milano e non ci siamo più mossi. Mio padre (Giuseppe, 1932) non c’è più da qualche anno, era ragioniere in una piccola ditta alle porte della città, mia madre (Marilena, 1938) è in pensione, collabora part time con un’associazione di aiuto alle famiglie di persone audiolese ed è sempre stata impiegata in uffici vari. Non mi hanno mai fatto mancare nulla di essenziale, a cominciare dal loro affetto. Non siamo mai stati una famiglia ricca ma non abbiamo mai dovuto patire stenti di alcun tipo. Quello che guadagnavano i miei genitori lo sudavano lavorando e hanno cercato di trasmettere a me e mio fratello (Attilio, 1971) il rispetto per le persone, a cominciare dal rispetto di se.

Ho fatto le scuole elementari in Via S. Erlembardo, a Gorla, in una scuola a tempo pieno, per i figli di genitori che lavorano, sperimentale nel piano e nella concezione didattica. Ad inizio anno i maestri compravano il materiale didattico con i soldi delle famiglie, uguale per tutti, e nel corso dell’anno veniva gestito tutti assieme. C’è stato insegnato a sparecchiare e apparecchiare la tavola, facendo i turni tra tutti senza aspettare che qualcuno ci servisse. Facevamo un sacco d’attività aggiuntive a quelle tradizionali e mio padre diceva sempre che si vedeva che m’aveva rovinato quella scuola, ma sotto sotto era orgoglioso degli insegnamenti con cui crescevo.
Le scuole medie le ho completate in Via Frigia, vicino a casa, senza infamia e senza lode, uscendo con un prestigioso “Distinto” all’esame finale conquistato senza troppo impegno. In terza media ritagliavo gli articoli di giornale sul movimento dell’85 degli studenti, sul caso Moro periodicamente riaperto e sull’arresto di Sofri. La carta stampata m’è sempre piaciuta e negli anni ho speso un sacco di soldi per libri e riviste.

Nel frattempo avevo cominciato ad andare agli Scout, gruppo Milano 18 dell’Agesci, quelli cattolici. Un esperienza importantissima, che m’ha trasmesso valori importanti come la solidarietà e l’accettazione delle diversità d’ognuno e che ho portato avanti per dieci anni, quando ho dovuto scegliere tra i troppi impegni e ho deciso che l’attività politica era ciò che più mi interessava.

Mi sono iscritto all’ITSOS di Via Pace, bellissima scuola in cui mi sono diplomato in comunicazioni visive e in cui ho cominciato tante delle cose che poi ho fatto negli anni successivi.
Collettivi, autogestioni, occupazioni, i primi cortei. Ho imparato a parlare nelle assemblee, a scrivere i volantini, a fare i comunicati stampa, i preavvisi in questura. Soprattutto ho imparato a fare politica intesa come costruzione collettiva di un desiderio comune e di una progettualità condivisa, e in epoca di individualismi non è davvero poco. Una palestra di vita e politica che m’ha dato tantissimo e che mi porto dietro con gioia e orgoglio. A scuola noi “autonomi” (così ci chiamavano e…ci piaceva essere chiamati) eravamo una potenza: egemoni culturalmente e politicamente. Ma non ci siamo mai dimenticati le basi: farsi votare il consenso nelle assemblee di istituto per i picchetti, le occupazioni, per le azioni più radicali. Eravamo estremi nelle posizioni ma mai prevaricatori. Eravamo in tanti e facevamo mille cose. Fascisti a scuola non ce n’erano e non si potevano nemmeno avvicinare!
Venne spontaneo dopo poco iniziare a mettere insieme anche altre scuole… mi sono destreggiato per anni in coordinamenti cittadini e nazionali degli studenti e in questi percorsi ho conosciuto tanti di quelli che ancora oggi, in mille forme e modi diversi, tengono in vita Milano culturalmente e politicamente.

Poi vennero i centri sociali, quando ancora andavo a scuola… il Leoncavallo, quello della resistenza dai tetti del 16 agosto ’89, quello sotto attacco di Formentini e della Lega, quello che occupò via Watteau e che resistette per ore il 10 Settembre del 1994 agli attacchi della polizia in uno degli scontri più duri e al tempo steso gioiosi e liberatori della fine del secolo scorso!

Nel frattempo, giusto per non essere troppo “comodi”, con gli studenti che avevano finito le scuole superiori siamo andati a Sesto S. Giovanni ad occupare una ex-trattoria/Milan Club in disuso e ad aprire un centro sociale, La Corte del Diavolo, che non durò tantissimo ma che ci insegnò a confrontarci con i miti ormai residuali che ancora ci affascinavano. I figli degli operai della Stalingrado d’Italia smazzavano le prime ecstasy in circolazione, rubavano macchine per andare in riviera a ballare la prima techno e dei nostri linguaggi e modi da rivoluzionari d’operetta non ne volevano giustamente sapere… La “botta” alle nostre convinzioni fù dura ma ci servi a essere meno ideologici e più attenti alla realtà.

Poi che dire… gli anni novanta, dove è successo veramente di tutto, tanto, tantissimo… I centri sociali che occupavano ovunque, l’opposizione alla guerra nel Golfo e le battaglie per l’amnistia per i detenuti politici, i primi assalti dei nazi a colpi di coltello e gli scontri alla Fiera di Sinigallia e in Ticinese per cacciarli dalla città, le lotte con i migranti, l’apertura di Radio Onda Diretta, le posse che nascevano come funghi e i linguaggi che cominciavano a cambiare, la Pantera che si aggirava per le università e… In una Milano e in un paese che cambiava alla velocità della luce mi sono sentito tante volte dentro i cambiamenti in corso, le esperienze che facevamo con le assemblee nazionali dei centri sociali, con i campeggi di lotta, le riviste, i primi assalti al web… tutto era vorticosamente arricchente. Gli anni novanta sono quelli in cui abbiamo dovuto imparare, noi ventenni all’epoca, a reinventare tutto. Non era più come ci raccontavano i vecchi compagni e non era ancora come avremmo visto da Seattle/Genova in poi. Abbiamo dovuto traghettare un movimento, una generazione, da un epoca ad un'altra, cercando di non perdere radicalità e radicamento e al contempo di non trascinarsi dietro scorie e retaggi inutili, ammuffiti, fuori tempo massimo. Non è stato facile farlo e credo che tutti quelli che hanno preso parte a quest’impresa sanno quanto peso ha avuto per i movimenti che sono venuti dopo.

Ma a qualcuno sarà nel frattempo venuta la domanda: ma non lavoravi mai? Lavoravo, eccome. Dopo un po’ di esperienze varie e saltuarie, tra volantinaggi, traslochi, inventari, venditore porta a porta e altro ancora, venni preso in co.co.co. presso un Centro Giovani del Comune di Milano quando non avevo ancora vent’anni, il più giovane educatore (non diplomato) con “utenti” spesso più grandi di me. Da quel giorno ho sempre lavorato nel sociale, come educatore, tutor, animatore, in progetti di educativa di strada, nella prevenzione e informazione sulle sostanze stupefacenti, nei corsi FSE per disoccupati, nelle comunità alloggio, nei centri per tossicodipendenti. Sono passato dal Comune di Milano a cooperative e associazioni quali Anni Duemila, Diapason, La Cordata, Comunità Nuova, Ala Milano. Da tutte queste esperienze ho imparato tantissimo e ho scoperto quel versante della politica che interviene prioritariamente sulla materialità dei problemi e del disagio e ho cominciato più che mai ad apprezzare la capacità di tenere assieme un “fare politica” che sapesse affrontare cause remote ed effetti concreti in maniera congiunta.
Oggi lavoro in Provincia di Milano, all’Assessorato alle Politiche Giovanili. Cerco, con un contratto di collaborazione rinnovato di anno in anno, di spingere progettualità ed esperienze che sappiano valorizzare le risorse di creatività e fantasia dei giovani e di chi lavora con loro, promuovendo una cultura del protagonismo, dell’autogestione, della consapevolezza contro la logica dell’emergenza.

Nel frattempo venne il mio personalissimo giro di boa, la mia svolta per non restare indietro.
Con alcuni studenti universitari e tanti studenti medi avevamo creato gli Studenti Autorganizzati prima e la RASC (Rete Autogestita Studenti e Collettivi) poi, dando vita a quella fantastica storia che creò il Deposito Bulk, Metropolix, che passò attraverso Sant’Antonio Rock Squott, Aus, Mi Casa, Hata, che alzò in alto le mani sotto le cariche della polizia davanti al Collegio S. Carlo, che occupò il Parco Sempione, che diede vita con Chainworkers e la Cub alla Mayday quando ancora nessuno ci credeva… fù’ quel vento che soffiò su Milano per alcuni anni e fece da apripista nella nostra città a quel rinnovamento che ci portò poi a Genova a contrastare gli otto grandi della terra con Operazione Makaya e a piangere Carlo Giuliani, che ci spinse sotto le mura del carcere per migranti di via Corelli e in mille e nuove lotte ancora.
Altre battaglie, altre storie in cui per anni ho sicuramente più imparato che dato a ragazzi molto più giovani di me, grazie ai quali mi sono rimesso in discussione e che ancora oggi sono il riferimento principale grazie a cui mi oriento nelle cose che faccio. Storie ancora aperte, in corso, che tanto hanno dato e ancora stanno dando a migliaia di ragazzi (e non) in questa città.

Elencare tutto senza dimenticare nulla sarebbe impossibile e non credo che ne sarò capace. Ho già rubato troppo del vostro tempo e quindi finisco qui. Chi mi conosce sa che non avrei potuto essere breve perché troppa è la preoccupazione di fare una storia che non rendesse giustizia ai tanti compagni e fratelli che ho incontrato in questo percorso.
In conclusione che dire… La mia non è una storia individuale, non lo è mai stata e mai lo potrà essere. Sono sempre stato un pezzo, a volte piccolissimo e irrilevante, a volte un po’ più significativo, di una molteplicità di storie sociali collettive. Decine, centinaia, migliaia di persone con cui ho fatto tratti di strada significativi e che non smetterò mai di ringraziare per tutto ciò che m’hanno saputo dare. Anche attraverso i mille errori che abbiamo commesso, perché è solo mettendo le mani nei livelli bassi della società che ci si può anche sporcare, che si fanno gli errori che servono a crescere e ripartire. Per questo non saprei scrivere una mia biografia “separata” da queste storie collettive: non avrebbe senso. Però, come avrete capito, raccontare mi piace, soprattutto se serve a sognare e desiderare nuove battaglie da combattere, nuove lotte da fare, reti da tessere, progetti da realizzare, futuri Conflitti da mettere e portare in Comune…

Francesco “franz” Purpura

p.s.
in tutto ciò ho avuto la sventura di accumulare anche un discreto curriculum giudiziario, fatto di denunce (tantissime), processi (molti), condanne (alcune)… sicuramente materia ghiotta per il giornalismo ad effetto e gli attacchi delle destre di ogni ordine e grado. Non ho mai considerato tutto ciò né medaglie di cui vantarsi né macchie e colpe di cui pentirsi. Come dice una bellissima canzone “… la ribellione è l’unica dignità dello schiavo”. E a ribellarsi bisogna anche mettere in conto che ci si può sporcare la fedina penale. Capita. Senza enfatizzare nulla o rinnegare, la mia storia è fatta anche di questo.

Vi spiego perchè mi candido:

Perchè solo il conflitto tra i modi di vita indica la via

Per portare i conflitti sociali, le lotte dal basso al governo della città

E-Mail Candidato:
info@conflittincomune.org