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.: Il Blog di Antonella Fachin
Lunedì, 27 Settembre, 2010 - 12:07

chi ha paura di politiche sociali di integrazione dei Rom e Sinti?

Il 13 maggio scorso ho presentato una mozione in consiglio di zona 3, qui allegata, dal titolo “politica efficace di integrazione delle minoranze etniche dei Rom e dei Sinti”: dopo 3 anni di sgomberi costosi  e inutili che hanno solo spostato persone da una periferia all’altra senza alcuna prospettiva di soluzione, ho voluto stimolare la maggioranza di centro destra in consiglio di zona a riflettere e confrontarsi sulle possibili soluzioni al problema, soluzioni che non sono nuove e originali, ma sono prassi di buon senso in numerosi comuni d’Italia e in altri paesi europei da anni.
La mozione, come molte altre, è ancora in attesa di essere esaminata in consiglio di zona, ma dal 9 settembre u.s. è avvenuto un fatto grave: la mozione è stata “saltata” e sono state poste all’ordine del giorno mozioni presentate successivamente.
Il fatto è grave, perché il Presidente del Consiglio di Zona, Pietro Viola, in circostanze analoghe aveva sempre assicurato che le mozioni giacenti sarebbero state esaminate secondo l’ordine cronologico di presentazione, onde non fare né favoritismi né discriminazioni.
Il fatto è grave, perché nella Conferenza dei Capigruppo di luglio il Presidente del Consiglio di Zona, d’intesa con tutti i Capigruppo presenti, aveva nuovamente assicurato che le mozioni in sospeso sarebbero state esaminate secondo l’ordine cronologico di presentazione.
Invece, la mozione non è stata posta all’ordine del giorno né del 9 settembre, né del 16 settembre, né del 23 settembre; altre mozioni di data successiva sono state poste all’ordine del giorno delle predette sedute di consiglio.
Personalmente sono convinta che il Consiglio di Zona 3 dovrebbe dare un diverso e nuovo segnale al Comune in tema di “emergenza Rom”: la società civile in zona 3, costituita da maestre, genitori, volontari e cittadini, ha saputo dare un esempio concreto, non solo di solidarietà nell’emergenza degli sgomberi, ma soprattutto di rete di socialità permanente in favore di un percorso di integrazione attraverso un fattivo accompagnamento delle famiglie Rom nei processi di scolarizzazione e di avviamento lavorativo e abitativo: ha realizzato borse di studio e borse lavoro e molto altro.
Il Consiglio di Zona 3 non deve essere da meno e, per il ruolo istituzionale di ente territoriale, deve dare una risposta politica: la “politica” è l’arte del governo della città e questo è il segnale che il Consiglio di zona, se vuole, può dare alla città di Milano.
Tuttavia la maggioranza di centro destra, cui ho anche trasmesso il documento qui allegato dal titolo “Rom e Sinti: POLITICHE POSSIBILI NELL’AREA METROPOLITANA DI MILANO. MODELLI E PROPOSTE”, rifiuta pavidamente il confronto su questo argomento, pare sotto la pressione della Lega Nord che vuole parlare solo alla pancia delle persone, ma non alla loro intelligenza e al loro buon senso.
Come consigliera di zona non ho molti strumenti per protestare contro questo sopruso ai principi democratici e alle regole che il Presidente di Zona e la conferenza dei capigruppo si  sono dati.
Ad ogni consiglio di zona mi presento puntale, come sempre del resto, al primo appello delle 18.30 e dichiaro, come ho già fatto nei consigli del 16 e del 23 settembre, di non rispondere al secondo appello delle 19.00 per protesta contro questa azione subdola che elude il confronto sul tema e impedisce ai 41 consiglieri di zona di assumersi le proprie responsabilità nell’accogliere o nel rifiutare proposte ragionevoli ed efficaci –perché già sperimentate con successo altrove- per risolvere una situazione volutamente cronicizzata a Milano.
Il Comune di Milano, infatti, si rifiuta di svolgere quel ruolo di "regia pubblica", di coordinamento degli interventi  sul territorio che avrebbe potuto attivare da anni utilizzando efficacemente i 13 milioni di euro assegnati dal Ministro degli interni (ma dei quali sono già stati sperperati oltre 10 milioni di euro in sgomberi inutili e disumani) tramite politiche sociali in grado di prevenire/ridurre/eliminare il disagio e la conflittualità sociale: il comune di Milano preferisce perseguire approcci meramente ideologici ma non vuole risolvere concretamente il problema (per il definitivo benessere loro e nostro).
Il Comune di Milano, in questo campo come in molti altri settori di rilevanza sociale, "scarica" sui privati cittadini umanamente volenterosi e sui volontari di associazioni no profit, il peso dell'integrazione, che invece deve essere un obiettivo dell'intera comunità, della famigerata "società civile" attraverso l’egida del Comune.
A queste dinamiche mi rifiuto di farvi parte e continuerò a non rispondere al secondo appello, in attesa che la mozione venga sottoposta all’esame del consiglio di zona e nella speranza che poi i consiglieri di maggioranza non si defilino, uno alla volta (“quatti quatti, zitti zitti”) per far cadere il numero legale e non esaminare nel merito la mozione.
Il gettone di presenza, a prescindere che il Consiglio di Zona raggiunga o non raggiunga il numero legale di 21 (su 41 consiglieri!!), l’ho già devoluto e lo devolverò anche in futuro, all’associazione di volontari che da anni si occupa –in assenza di alcuna regia pubblica, ma solo per “buona volontà” e spirito di comunità- di progetti di lavoro e studio per le famiglie Rom del Rubattino:
Comunità di Sant’Egidio Milano ONLUS
Unicredit Banca, via Carducci 10, Milano
IT 73J02 008 01739 000 10090 9828
Causale: Borse per Rom
Cordiali saluti a tutti/e
Antonella Fachin

Sono stato, per anni, Presidente e Membro della Commissione Nomadi del Consiglio di Zona 2 ed ho potuto conoscere ed analizzare bene la situazione, la storia, la mentalità della eterogenea comunità zingara. Il vero problema è che la stragrande maggioranza degli zingari non vuole rinunciare alle proprie abitudini e non intende affatto integrarsi nella nostra società, accettando le nostre leggi, le nostre tradizioni e consuetudini. Questo è il nocciolo della questione: per fare integrazione bisogna essere in due, entrambi convinti e sinceri. Dopo inutili, quanto costosi tentativi, durati vent'anni, possiamo dire che si tratta di un sogno irrealizzabile, di pura utopia cattocomunista, le cui vittime sono i ceti popolari della nostra periferia urbana che hanno dovuto convivere forzatamente con disagi, sporcizia ed insicurezza sociale. Ora basta! Bene fanno Berlusconi, Maroni, De Corato, Viola, come Sarcozy in Francia, ad essere chiari, determinati e risolutivi: basta farci prendere in giro, è giusto punire e cacciare chi non rispetta le regole!

Roberto Jonghi Lavarini
Presidente del Comitato Destra per Milano
LiberaMente nel Popolo della Libertà
già Presidente di Zona 3

Commento di Roberto Jonghi Lavarini inserito Gio, 30/09/2010 12:04

Giovane e già mentalmente "vecchio" perchè rivolto SOLO al passato! ... con un ragionamento logicamente sbagliato "se io non riesco... la colpa è dei Rom"! ahahahah!

Persino THE ECONOMIST affronta il tema e arriva alle medesime conclusioni di coloro che sono stati apostrofati con il solito luogocomune: "cattocomunisti"! ahahah!
http://www.economist.com/node/16943841
Le considerazioni coincidono con quelle delle associazioni Rom e Sinti, delle associazioni no profit che da anni conoscono la realtà di tante famiglie rom italiane e straniere a Milano, dei sociologi che studiano da anni non solo le dinamiche sociali, ma anche le iniziative messe in campo dalle varie amministrazioni pubbliche confrontandone i risultati in termini di efficacia.

Le stesse soluzioni che le famiglie milanesi della zona 3 (quartiere Feltre e zona rubattino) da oltre due anni FANNO COI FATTI E NON CON LE CHIACCHIERE E LO SPERPERO DI 10 MILIONI DI EURO SULLA PELLE DEI ROM E DEI MILANESI.

La conclusione è sostanzialmente la stessa, confermata anche da un recente studio della Banca Mondiale: "a recent World Bank study estimates the annual cost of the failure to integrate Roma in Bulgaria, Romania, Serbia and the Czech Republic at €5.7 billion ($7.3 billion). As the report notes: “Bridging the education gap is the economically smart choice.” If humanitarian arguments fail to carry the day, perhaps economics and demographics might."

In sintesi:  la questione va affrontata senza pre-giudizi, né discriminazioni (di cui i rom sono vittime da secoli e alle quali gli stessi Rom spesso aggiungono altri problemi per i propri comportamenti): superare il gap educativo/scolastico è la soluzione economicamente più rapida e intelligente, onde favorire integrazione e lavoro.

 .. per l'Economist se l’integrazione delle minoranze Rom e Sinti non è importante per mere ragioni umanitarie, deve essere perseguita almeno per ragioni economiche e demografiche!!!

Qualunque possano essere le ragioni/motivazioni, quindi, le soluzioni sono le stesse: politiche sociali di integrazione attraverso scolarizzazione per i giovani e accompagnamento lavorativo per gli adulti, in modo da consentire/promuovere l'autonomia abitativa.

MA LA MALAFEDE PORTA PARECCHIE PERSONE A MANTENERE VIVO IL FAMIGERATO "PROBLEMA EOM" PER CONTINUARE A PARLARE ALLA PANCIA DELLE PERSONE E NON ALLA LORO INTELLIGENZA E BUON SENSO, PER CONTINUARE A DISTOGLIERE LE MENTI PIU' SEMPLICI E INGENUE DALLE CAUSE DEI PROBLEMI E SPINGERLE A PRENDERSELA CON PERSONE CHE SONO PIU' ULTIME DI LORO!!

Cordiali saluti a tutti/e 
Antonella Fachin

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Europe's Roma
Hard travelling

Scapegoated abroad and the victims of prejudice at home, eastern Europe’s Roma are the problem no politician wants to solve

Sep 2nd 2010 | Budapest

SLOVAKIA is in shock; France in uproar. The cause of both nations’ turmoil is the Roma (gypsies), or, rather, what is being done to them. This week a gunman in the Slovak capital, Bratislava, killed seven people and injured 14, before shooting himself dead. Six of the victims were a Roma family, killed inside their apartment; they appear to have been deliberately targeted.
In France the expulsion of hundreds of Roma immigrants, whom Nicolas Sarkozy’s government says were in the country illegally, has galvanised opposition from the pope, French churches, a UN committee and even several ministers in Mr Sarkozy’s own government. Yet further tough legislation is promised.
Between them the Slovakian shootings and the expulsions from France highlight the difficulties faced by Europe’s largest stateless minority. An ingrained underclass, Roma are the victims of prejudice, often violent, at home in eastern Europe. Thousands have migrated westward to seek a better life, particularly as the expansion of the European Union has allowed them to take advantage of freedom-of-movement rules. Yet although conditions may be better in the west, the reception has rarely been friendly and politicians like President Sarkozy have ruthlessly exploited hostility towards the newcomers.
But the demagogic instincts of western leaders pale in comparison to the negligence of their eastern counterparts. Roma don’t vote much. No government in eastern Europe with a substantial Roma minority has done much to deal with the discrimination they face or the hopeless poverty that keeps them excluded from the mainstream, says Rob Kushen of the Budapest-based European Roma Rights Centre.
One of the biggest problems is schooling: Roma children are routinely placed in institutions for the mentally handicapped. A new survey by Amnesty International says that in Slovakia, Roma make up less than 10% of the school-age population but 60% of pupils in special schools. Unsurprisingly, many leave school early, without the skills they need to compete in the job market. Instead they drift into collecting scrap metal, begging or petty crime.
Straightforward prejudice plays its part. This week an MEP from Jobbik, a far-right Hungarian party, called for the mass internment of Roma. Last year Hungarian police sought help from the FBI after a series of attacks on Roma settlements in which six people were killed, including a five-year-old boy, Robika Csorba, and his father, Robert. Gunmen firebombed their house and lay in wait as they fled, before opening fire. A few weeks later, six Roma teenagers arrested in the Slovak town of Kosice for allegedly stealing a purse were forced to strip naked, kiss and hit each other, as police filmed their humiliation. In western Europe Roma migrants have faced firebomb attacks in Italy, pogroms in Belfast and forcible evictions in Greece.
This year marks the halfway point of Europe’s “Decade of Roma Inclusion”, launched in 2005 at a riverside hotel in Budapest. Five years on, say activists, most Roma are still worse off than under communism, which, for all its faults, at least guaranteed work, housing and welfare, and stamped down on hate crimes. Today conditions in Roma settlements on the edges of town and villages rival Africa or India for their deprivation.

Yet the Roma also suffer from problems of their own making. Ambitious youngsters are often held back by their intensely patriarchal and conservative societies. Girls are married off in their teens and boys put to work at an early age rather than study. Weary of the hostility they face from the outside world, Roma communities are prone to cut themselves off from society and its laws. Four years ago in Olaszliszka, northern Hungary, a driver who clipped a Romany girl with his car (she was unhurt) was dragged from the vehicle by a mob, many of them related to the girl, and beaten to death in front of his daughters.
In recent years, under the EU’s rules on freedom of movement, a torrent of cheap workers from the east have found work in the west. But most Roma leave their homelands in search not of work but of freedom from destitution and persecution. Little wonder that France, egged on by Italy and others, has been keen to “Europeanise” the issue, urging Brussels to go to greater efforts to get the eastern countries to integrate their Roma. Yet now that those countries are safely inside the EU it is far harder than in the pre-accession years for Eurocrats to tell their governments what to do.
Europeans would be swift to condemn the plight of the Roma were they in any other part of the world. However, eastern European governments are unlikely suddenly to tackle a problem that dates back centuries just because Brussels tells them to. Perhaps self-interest may prove a more powerful motivator. Roma families are far larger than those of the mainstream population: the pool of deprivation is only going to grow. In addition, a recent World Bank study estimates the annual cost of the failure to integrate Roma in Bulgaria, Romania, Serbia and the Czech Republic at €5.7 billion ($7.3 billion). As the report notes: “Bridging the education gap is the economically smart choice.” If humanitarian arguments fail to carry the day, perhaps economics and demographics might.
Europe

Commento di Antonella Fachin inserito Sab, 02/10/2010 14:29
Per completezza di informazione riporto il comunicato stampa della Chiesa di Milano che chiede il rispetto degli impegni assunti e rileva che “Promuovere la legalità – specie per le Istituzioni – significa anche rispettare gli impegni sottoscritti. Venir meno a questi patti – mentre avvia conseguenze legali ed economiche – compromette la credibilità e il senso delle stesse Istituzioni”.

Poiché siamo tutti sensibili al RISPETTO DELLE REGOLE e degli impegni contrattuali, “senza se e senza ma”, segnalo in particolare quanto segue:
GLI ACCORDI FIRMATI - «Due punti possono dunque essere subito chiariti», secondo la Casa della carità. Primo: ciò che ora fa scandalo (dare le case ai rom) è esattamente ciò che era previsto fin dall’inizio dal Piano Maroni. Secondo. le case in questione dovevano essere ristrutturate, e senza i soldi del piano Maroni (cioè senza i soldi destinati ai rom) sarebbero rimaste ad ingrossare il patrimonio sfitto dell’Aler e non sarebbero mai state assegnate. Il agosto 2010, presso l’Aler, Casa della carità e Ceas hanno firmato 20 contratti di affitto della durata di 4 anni rinnovabili per altri 4 anni. Sono state subito pagate le spese di apertura del contratto e si sono pagate le mensilità di affitto fino al 31 ottobre. «Una volta definito e concordato il progetto, ogni nucleo famigliare è stato convocato in prefettura dove il prefetto, il Comune, la Casa della carità e la stessa famiglia hanno lo hanno firmato. Finora - si legge nel documento - sono stati firmati 21 progetti nominativi, di cui: 11 progetti per l’assegnazione delle case Aler escluse dall’erp; 6 progetti per il rientro in Romania (queste 6 famiglie hanno già lasciato il campo e si trovano in Romania); 1 progetto per una famiglia che ha fatto il rogito e ha acquistato casa; 3 progetti per famiglie che hanno trovato casa in affitto. Quindi il rappresentante del Ministro e quello del Comune hanno sottoscritto un atto formale ben consapevoli di chi erano le persone destinatarie nell’intervento».
Cordiali saluti a tutti/e
Antonella Fachin

Consigliera di Zona 3
Lista civica "Uniti con Dario Fo per Milano"
Facebook: Antonella Fachin
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Milano,  Rom, comunità cristiana e pubbliche amministrazioni
Una ampia e articolata riflessione che diviene espressione della linea pastorale della Chiesa ambrosiana su questo argomento
07.10.2010

Monsignor Erminio De Scalzi, delegato dall’Arcivescovo di Milano Cardinale Dionigi Tettamanzi come Vicario Episcopale di Milano, ha promosso, insieme con la Caritas Ambrosiana, un confronto tra gli enti gestori dei campi rom autorizzati della città (Cooperativa Farsi Prossimo, Casa della Carità, Centro ambrosiano di solidarietà).
Questa ampia e articolata riflessione, condivisa anche dai decani della città di Milano in rappresentanza dei parroci, diviene espressione della linea pastorale - su questo argomento - della Chiesa ambrosiana.
Frutto di questo lavoro è il documento che alleghiamo.

From Corriere della Sera, 7 ottobre 2010

a dieci giorni dal vertice con Maroni, documenti della fondazione e della diocesi

Case Aler ai rom, la Casa della Carità: «Tutto bloccato, pronti a denuncia»

L'associazione di don Colmegna: «Le istituzioni onorino gli accordi già presi con le famiglie di Triboniano»

MILANO - A dieci giorni dal vertice in Prefettura con il ministro dell'Interno Roberto Maroni, che ha deciso di fermare le assegnazioni a Milano di case popolari ai rom, la Casa della Carità ha denunciato che tutto il piano per il superamento dei campi nomadi è bloccato, e non ha escluso di ricorrere alle vie legali per tutelare contratti e convenzioni già sottoscritti con alcune famiglie. L'associazione, guidata da don Virginio Colmegna e coinvolta nei programmi per l'accompagnamento sociale delle famiglie ospitate nel campo di via Triboniano, prossimo alla chiusura, ha rivelato che non solo sono state congelate le assegnazioni degli 11 alloggi popolari per i quali erano già stati sottoscritti regolari contratti (solo una famiglia ha ottenuto le chiavi), ma si sono anche arenati i programmi per il rientro in Romania di 5 famiglie e per la sistemazione di 6 nuclei in alloggi trovati sul mercato. «Ora almeno 30-40 famiglie - si legge nella nota - ci telefonano quotidianamente per capire come devono muoversi e noi non sappiamo cosa rispondere perché al momento il Comune non è disponibile a sedersi al tavolo per chiudere i progetti realizzati tramite il piano Maroni». Nello stigmatizzare lo stralcio di accordi già sottoscritti, la Casa della Carità ha annunciato di essere pronta alle vie legali, sia per l'inadempienza contrattuale sia per opporsi alla violazione del divieto di discriminazione etnica. «Se la nuova linea dell'amministrazione - si legge ancora - è davvero "nessuna casa ai rom", chiediamo alle istituzioni di convocarci e di motivarci formalmente tale divieto. In questo caso non potremmo che tutelare anche per le vie legali degli interessi di chi ha sottoscritto gli accordi».

LA DIOCESI: LE ISTITUZIONI RISPETTINO I PATTI - Sulla vicenda delle case ai rom interviene anche ufficialmente la Diocesi di Milano, con un documento firmato dal vicario episcopale Monsignor Erminio De Scalzi e dai decani milanesi, insieme con Caritas Ambrosiana, Cooperativa Farsi Prossimo, Casa della Carità e Centro ambrosiano di solidarietà. «Con lo slogan più volte urlato “nessuna casa Aler ai rom” si è rivestito di ideologia e discriminazione la ricerca di soluzioni per una questione che meriterebbe ben altra intelligenza», si legge nel documento. «Siamo preoccupati per il futuro e la sicurezza di questi rom e di tutti i cittadini: gli smantellamenti dei campi di via Triboniano, via Novara e via Idro annunciati per le prossime settimane costringeranno alla strada decine di famiglie rom se non interverranno quelle soluzioni abitative alternative proposte, concordate e sottoscritte da Comune e Prefettura. Lo sgombero dei campi senza alternative costruttive espone al grave rischio di interrompere i percorsi virtuosi fin qui attivati, creando un problema di sicurezza per tutti i cittadini. Auspichiamo un sussulto di responsabilità per le Istituzioni civili interessate affinché i processi avviati possano continuare: per il bene delle famiglie rom e dei cittadini tutti. Promuovere la legalità – specie per le Istituzioni – significa anche rispettare gli impegni sottoscritti. Venir meno a questi patti – mentre avvia conseguenze legali ed economiche – compromette la credibilità e il senso delle stesse Istituzioni».

IL PROBLEMA TRIBONIANO - Tornando alla nota, riportata integralmente sul sito www.casadellacarita.org, l'associazione parla di «momento di estrema confusione» e di «incredibile serie di dichiarazioni riguardo il futuro di 104 famiglie che abitano al Triboniano in container e roulotte assegnati a suo tempo dal Comune di Milano», e ripercorre le tappe del cammino compiuto esprimendo la preoccupazione che «si interrompa un percorso positivo che dovrebbe portare al superamento del campo, scelta condivisa da quanti vi abitano e anche dai cittadini che risiedono lì vicino e che non possono più convivere con un degrado così intollerabile». «E’ chiaro a tutti che il campo è regolare e non può essere sgomberato come si afferma, ma va superato proponendo percorsi positivi per chi evidentemente accetta di condividere un percorso di legalità e ha diritto di rimanere sul nostro territorio», scrive l'associazione.
IL PIANO MARONI - Gli operatori della Fondazione casa della Carità sono presenti al Triboniano con un presidio sociale di 130 ore settimanali: per i primi sei mesi lo lo hanno fatto gratis, nel 2007, poi con varie convenzioni del Comune e infine vincendo un apposito appalto valido fino al 31 dicembre 2010. L'importo è stato usato esclusivamente per pagare il personale impiegato. Il 5 maggio 2010 la Casa della carità ha firmato la Convenzione sottoscritta dal prefetto (commissario straordinario per l’emergenza nomadi in Lombardia) e dal Comune di Milano per «l’attuazione degli interventi sociali previsti dal progetto di riqualificazione, messa in sicurezza e alleggerimento delle aree adibite a campi nomadi, integrazione sociale della relativa popolazione ed eliminazione di alcune aree». Questa convenzione è l'applicazione del cosiddetto «Piano Maroni». La Casa della carità, per una propria scelta, ha chiesto di non essere pagata per questo lavoro in convenzione e che le risorse siano invece destinate esclusivamente «per incrementare i finanziamenti all’autonomia abitativa delle famiglie rom».
GLI INCONTRI CON LE FAMIGLIE - Il 3 e 4 maggio scorso la Casa della carità ha invitato nella propria sede tutte le famiglie del campo di Triboniano, in via di smantellamento. Nelle assemblee, cui hanno partecipato quasi tutte le famiglie, sono state spiegate, a grandi linee, le proposte del «Piano Maroni»: possibilità di rientro in Romania con alcune sovvenzioni, possibilità di borse lavoro tramite l’ufficio comunale del Celav, possibilità di sostegno economico in caso di affitto o di acquisto di una casa. Al termine delle assemblee, 87 famiglie (alle quali se ne sono aggiunte poi altre 13) hanno chiesto un colloquio per poter iniziare ad abbozzare un progetto con la previsione dell’uscita da Triboniano. Sono cominciati così i colloqui personalizzati. Intanto il Comune ha chiesto all’Aler 25 appartamenti da destinare ai casi connotati da una maggiore fragilità sociale. L’Aler, come previsto dall’art. 26 del Regolamento Regionale, si è rivolta alla Giunta Regionale, la quale il 5 agosto con voto unanime ha autorizzato l'assegnazione delle 25 case. Le spese per la ristrutturazione devono essere finanziate dal Comune, perché nel Piano Maroni sono previsti finanziamenti al Comune di Milano per 300.000 euro da utilizzare per «la ristrutturazione di case di proprietà di enti pubblici, Fondazioni e Associazioni con finalità sociali da destinare come abitazioni temporanee e non gratuite a nuclei familiari coinvolti nel progetto».
GLI ACCORDI FIRMATI - «Due punti possono dunque essere subito chiariti», secondo la Casa della carità. Primo: ciò che ora fa scandalo (dare le case ai rom) è esattamente ciò che era previsto fin dall’inizio dal Piano Maroni. Secondo. le case in questione dovevano essere ristrutturate, e senza i soldi del piano Maroni (cioè senza i soldi destinati ai rom) sarebbero rimaste ad ingrossare il patrimonio sfitto dell’Aler e non sarebbero mai state assegnate. Il agosto 2010, presso l’Aler, Casa della carità e Ceas hanno firmato 20 contratti di affitto della durata di 4 anni rinnovabili per altri 4 anni. Sono state subito pagate le spese di apertura del contratto e si sono pagate le mensilità di affitto fino al 31 ottobre. «Una volta definito e concordato il progetto, ogni nucleo famigliare è stato convocato in prefettura dove il prefetto, il Comune, la Casa della carità e la stessa famiglia hanno lo hanno firmato. Finora - si legge nel documento - sono stati firmati 21 progetti nominativi, di cui: 11 progetti per l’assegnazione delle case Aler escluse dall’erp; 6 progetti per il rientro in Romania (queste 6 famiglie hanno già lasciato il campo e si trovano in Romania); 1 progetto per una famiglia che ha fatto il rogito e ha acquistato casa; 3 progetti per famiglie che hanno trovato casa in affitto. Quindi il rappresentante del Ministro e quello del Comune hanno sottoscritto un atto formale ben consapevoli di chi erano le persone destinatarie nell’intervento».
LO STALLO - Infine la denuncia: «Negli ultimi giorni tutto si è fermato. Nonostante le firme ufficiali, per ora una sola famiglia, delle 11 che avevano ottenuto l’assegnazione della casa Aler esclusa dall’erp, è entrata nell’appartamento. Le altre non lo hanno ancora fatto, eppure sul progetto che hanno firmato, loro si sono impegnate a lasciare il campo del Triboniano entro il 15 ottobre. Inoltre si sono fermati, cioè non più firmati, altri 11 progetti avviati e definiti: 5 famiglie che vogliono tornare in Romania; 5 famiglie che hanno trovato un affitto; 1 famiglia che vuole fare un mutuo. Nessuna istituzione ha più convocato queste famiglie per poter arrivare a concludere il progetto famigliare. Ribadiamo, tutto è bloccato e, dalle dichiarazioni a mezzo stampa e televisione, l’unica data certa è quella dell’annunciata chiusura del Triboniano». Da qui la dichiarazione di esser pronti ad adire le vie legali, se il Comune, il prefetto e il Ministero degli Interni non daranno «piena ed esatta esecuzione agli accordi intervenuti», confermando la destinazione dei 25 alloggi, i contributi per ristrutturarli e gli incontri in Prefettura con le altre famiglie.
Redazione online
07 ottobre 2010

Commento di Antonella Fachin inserito Ven, 08/10/2010 20:50