.: Discussione: Lettera aperta all'Assessore Moioli e a Mercadante: quando comincia l'integrazione?

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Valeria Maronati

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Inserito da Valeria Maronati il 25 Maggio 2010 - 22:13
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Gentili Signori,

sono la mamma di un bambino che l'anno prossimo inizierà a frequentare la scuola di infanzia.
Abitiamo a Milano, zona 8, tra Monte Ceneri e via Mac Mahon, un quartiere popolare e fortemente multietnico.
Da pochi giorni sono uscite le graduatorie definitive per la scuola di infanzia e, scorrendo quelle delle cinque scuole a noi più vicine, scopro che le percentuali di bambini di origine extracomunitaria sono così ripartite: 6%, 12,5% (nella prestigiosa “Rinnovata”), 47%, 56%, 64%.
Casualmente, mi imbatto anche nel seguente dato: nel 2007 sono nati a Milano 4.043 piccoli "stranieri" che entreranno nella scuola dell’infanzia a settembre e che rappresentano il 32,6% dei nati in quell’anno.
Se da una parte è vero che le cifre si commentano da sole, dall'altra vorrei mettere per iscritto alcune riflessioni.

Con una valutazione approssimativa, posso pensare che nel nostro quartiere la percentuale sia leggermente più alta di quel 32.6% - mettiamo anche che i piccoli di origine extracomunitaria arrivino a rappresentare il 40%.
Perché le scuole di quartiere non mantengono questa proporzione? Perché non riflettono il tessuto sociale in cui sono immerse?
Non viviamo in un quartiere in cui i bambini stranieri sono 6 su 100, ma nemmeno in un quartiere in cui sono 64 su 100. Viviamo tutti qui, “italiani” e “stranieri”, 60 e 40, e ci incrociamo di continuo, al parco, dal medico, in posta e al mercato rionale - perché i nostri bambini non dovrebbero incrociarsi a scuola? Mi domando come faranno a cominciare a capire la realtà che li circonda, e che tipo di rappresentazione e di percezione della vita nel quartiere in cui abitano potranno avere, se la maggior parte di loro verrà relegata, per otto ore al giorno, in ghetti, più o meno dorati a seconda del punto di vista.
A noi è toccata la scuola con il 64%, ma vi garantisco che scriverei questa stessa lettera anche se ci fosse toccata quella con il 6%, perché l'ultima cosa che vorrei per mio figlio è che vivesse in una finta rappresentazione della società fino alle quattro del pomeriggio, per poi ritrovarsi catapultato nel mondo vero, sfumato e affascinante, pur con tutte le fatiche che comporta.

Un altro pensiero si affaccia: in questo periodo alcuni genitori si stanno interessando alla questione dei nidi comunali accreditati, ossia dati in gestione alle cooperative. Alle loro obiezioni l'Amministrazione Comunale risponde più o meno così: "Siete un piccolo gruppo di facinorosi, la maggior parte non si lamenta". Da quel che vedo tutti i giorni, nel nostro nido (accreditato), per moltissimi genitori “stranieri” avere un posto in cui lasciare i propri figli è già un privilegio talmente enorme, e forse sconosciuto nei paesi di origine, da non lasciare spazio a nessuna critica o perplessità. E' ovvio, la strada verso una maggiore consapevolezza è lunghissima e soprattutto molto lenta, però da qualche giorno, vista la reazione di chi ci amministra, continuo a pensare che se in una scuola si mettono più "italiani" e nell'altra più "stranieri", si avrà la quasi matematica certezza che almeno in una scuola su due i genitori non avanzeranno troppe pretese.

So che in passato, proprio in questo quartiere, la signora Moioli è intervenuta sui bacini di utenza, a livello della scuola primaria, per riequilibrare le percentuali - la scuola Rinnovata (famosa per il metodo, ma anche per la presenza di piscina, orti e animali) aveva pochissimi “stranieri”, mentre la Dante Alighieri, nella via parallela, troppi (http://milano.repubblica.it/...tetto-agli-stranieri-in-classe...).
Lasciando da parte il motivo dell'intervento - il cosiddetto "tetto Gelmini", che si limita a fissare un generico 30% totalmente slegato dal contesto sociale - non si potrebbe fare leva proprio sui bacini di utenza, per intervenire anche a livello dei nidi e delle scuole di infanzia? Quando comincia l'integrazione, e, con essa, la costruzione di una società civile più consapevole? Ha davvero senso iniziare a pensarci solo dai sei anni in poi?

Valeria Maronati