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Mercoledì, 11 Giugno, 2008 - 15:39

Recensioni e visioni del XXII Festival MIX

Dai nostri corrispondenti "nero rosa" ... alcune recensioni interessanti dei film della XXII edizione del Festival Gay Lesbico e Culture Queer

Buona lettura

fonte: http://noirpink.blogspot.com

Cinema - Otto; or Up with Dead People

Ora non so voi come vi immaginiate una recensione cinematografica. Io questa me la immagino così, come un esperimento. Allora, iniziamo. Su, dico su serio.
Fase numero uno. Mano sul petto. In alto a sinistra. Sì, la vostra sinistra, non la mia. Sentite battere qualcosa? Ok, ok... Aspettate ancora un attimo.
Fase numero due. Inspirate bene. Allora, percepite qualche odore penetrante, rancido, sgradevole, nauseabondo? Come di un topo morto? No, eh?
E allora passiamo alla fase numero tre. Specchio. Osservatevi attentamente. Vedete nulla di strano? No, quella nuova ruga al lato dell'occhio non conta. Tesoro, è la vecchiaia e il botulino mica te lo puoi permettere. Quello che volevo dire è: non vedete nessun grumo di sangue o qualche interiora schizzata fuori da chissà dove? Neppure un angolino di carne in putrefazione?
Carissim*, la diagnosi non è buona. Eccessivo adattamento a questa società consumistica, che tutto produce e tutto trasforma in rifiuto, in spazzatura: la carta, la plastica, la carne dei polli e delle persone, i sentimenti. Avete fatto talmente tanta abitudine alla puzza della decomposizione di questa società da non sentirvela più addosso, da percepirla come un odore cosmico di sottofondo. E la putrefazione di questo mondo malato è penetrata così profondamente in voi che non riuscite più a leggervela in faccia.
E allora resuscitate dal mondo dei vivi, entrate nel regno dei non-vivi (e non-morti)! Seguite il cammino che vi indica Bruce LaBruce, lo scandaloso, geniale, sgradevole e sorprendente regista, attore, scrittore, fotografo e guru della pornografia gay indipendente e underground!
Dopo “Super 8 1/2” (1993), dopo “Hustler White” (1996) e dopo il pluripremiato “The Raspberry Reich” (2004), ecco a voi “Otto; or Up with Dead People”, la storia di Otto (interpretato da un giovane attore, Crisfar Jeremy, scelto tramite un provino su MySpace), zombie diciottenne e gay in crisi di identità reclutato dalla regista lesbica dark Medea (Katharina Klewinghaus) per realizzare il suo capolavoro: un film porno-politico in cui una banda di non-morti omosessuali ribelli scopa, uccide e assolda (“non necessariamente in questo ordine”) altri uomini in opposizione alla società eterofascista.
Lo zombie diventa simbolo di tutti gli oppressi del mondo, ma anche di chi ha “venduto l'anima” alla società dei consumi. È proprio il capitalismo consumistico a svuotare la vita delle persone, a rendere tutti omologati e conformisti, a imporre silenziosamente nuovi limiti alla fantasia e alla sessualità. Insomma, siamo diventati tutti un po' dei morti viventi. Vaghiamo senza meta e senza consapevolezza per gran parte della nostra vita: nei supermercati, alla ricerca di merci; nelle discoteche e nelle chat, alla ricerca di corpi ridotti a merce; in manifestazioni politiche svuotate di senso, alla ricerca di ideali mercificati. In questa realtà vischiosa, non offre salvezza né la cultura né la contro-cultura. Il disadattamento è l'unica via di fuga.
Insomma, un film che ha molto da dire, sebbene sia stato creato con pochi mezzi (si vede, e va benissimo così), ma con tanta fantasia (come dimostrano anche gli inserti di animazione, di danza, di cinema muto inseriti qua e là). “Otto” rappresenta una tappa perfetta di quel percorso delirante intrapreso con “The Raspberry Reich”, anche se, rispetto a quest'ultimo, pare più una tappa precedente che una successiva. La “intifada omosessuale” (perché "non esiste rivoluzione senza la rivoluzione sessuale, e non esiste rivoluzione sessuale senza la rivoluzione omosessuale") annunciata nel 2004 raggiungeva incisività, linearità e potenza rivoluzionarie e sovversive qui purtroppo non eguagliate.

Cinema - Gay... et aprés?

Identità post: post gay? O postmoderno? Anche postcapitalista. Oltre che postesistenziale. Una serie di post, lunghi lunghissimi. Scene di vita come post it, lungo la linea del globo, che si intrecciano attraverso un'unica domanda: qual è l'identità gay che si affaccia alla finestra del nuovo Millennio?
Il documentario "Gay... et aprés?" di Jean-Baptiste Erreca (Francia 2007) è tecnicamente molto affascinante, con una inquietante predilezione per le scene notturne, capaci di fondersi: dalle luci al neon di una New York festaiola, al fascio illuminato roteante sopra una Parigi stanca, oltre che i lampioni di una Pechino troppo impegnata a parificarsi con l'Occidente ma incapace di risolvere i conflitti con i propri fantasmi. Ma non solo queste città: anche Madrid, Berlino e L'Havana hanno qualcosa da offrire e da far scoprire. Forse troppo: una nudità che spinge verso la ricerca di un pudore, o di una risoluzione attraverso la concettualizzazione della propria identità.
Perchè, alla fine, quello che emerge non è altro che la contraddizione esistente all'interno del fantomatico (e reale?) movimento gay, lesbico transgender. Tante voci, tante opinioni, una sola realtà: l'identità nominata diventa l'unico mezzo per evitare di perdersi nella miriade di vite ed esistenze che l'epoca postmoderna ha prodotto. Nella paura di perdersi, e nell'angoscia della solitudine, l'unica possibilità risulta quindi l'immedesimazione totale in quel modello che, nato come rivoluzione alla costrizione sociale, diventa anch'esso norma. Risulta quindi emblematica la posizione di Emmanuel Blanc: fondatore di Gaylib in Francia, strenuo sostenitore di Sarkozy e, nello stesso tempo, incapace di rendersi conto che il suo appoggio viene totalmente ignorato. O forse non lo vuole ammettere, specie se la sua vita non diventa altro che quella posizione.
Ma l'accento globale del documentario non viene posto, o interpretato, solo su un piano esistenziale, ma, soprattutto, su un piano economico. Il mondo cambia, cambia in fretta: il mercato e le sue regole si impongono come centro d'attrazione per le generazioni e, nel contempo, nelle identità. Il postgay non può che intrecciarsi nel postcapitalismo: il consumismo dei beni come consumismo delle rivendicazioni. La discriminazione come strumento tecnocratico per sfuggire, ancora una volta, alla paura della solitudine, provocata anch'essa dal new marketing. La discriminazione come oggetto per sentirsi se stessi. Una svendita: e nelle parole di Amanda Lepore, storica trans vip-festaiola nella scena newyorkese (nella foto in alto con il rapper Cazwell), si ritrova il senso stesso di un pensiero ora troppo perseguito. Ossia la generazione di una lobby economica, non solo sociale. I soldi che comprano tutto: la vita, i corpi, la libertà. Venghino signori venghino.
Stessi pensieri, città diversa: Madrid. Epoca zapateriana, la conclamata era della libertà. Una coppia. Trans. Entrambi. Lui scappato dal suo paese. Lei non si capisce nulla di cosa vuole dalla sua vita. Prosegue a vivere cucinando per il suo boy. Lavoricchia qua e là. Non si sa se è felice oppure no. Sa solo che è donna. Con i documenti a posto. Evviva la libertà... se questo è il massimo che il transgender ci offre. A quando il post transgender?
Per questi motivi, gli emblemi del documentario si ergono su due personaggi. Il primo, Cui Zi'en, insegnante di cinema a Pechino esonerato dalla sua attività, fa emergere la sua solitudine senza colpe o senza inganni. Nudo: attorno il mondo. L'altro, Philip Tanzer, il leather man di Berlino (vedi foto a lato), corazzato dai suoi tatuaggi, uno scudo contro la rivendicazione e un processo di postnormalizzazione. Una solitudine suadente, affascinante e tremendamente sexy. Un giorno, dice, ci sarà sulla scena un nuovo movimento gay, ma anche quello non mi piacerà.
Chissà a chi piacerà?

Cinema - Vivere

No tranqui boyz & gals, non è la recensione della soap. Anche se, forse, ci si potrebe divertire di più.
Antonietta, Francesca e Gerlinde sono tre donne. Sole. Sperdute nei meandri della vita in cerca di chissà cosa: l'amore, una ragione per esistere o un modo per sentirsi meno in colpa? Chissà.
Angelina Maccarone prepara un film in cui le storie delle tre protagoniste si intreccano e si modificano. Quest'ultimo aspetto, la modifica delle storie a mano a mano che l'intreccio viene raccontato da diversi punti di vista, è stato poco sfruttato, preferendo comunque una situazione più realistica rispetto a una totalmente surreale. Ed è proprio questo a rendere il film piatto.
La storia di tre persone che non sanno più come vivere è qualcosa di già visto e sentito, specie in ambito lesbico, come se ci fosse una gara a fare il film più deprimente possibile. Forse, una visione più surreale avrebbe reso di più, soprattutto considerando le location, Rotterdam una città in continuo sviluppo e inviluppo, e la preferenza ad usare scene notturne.
Insomma, non un film da buttare. Ma da poter sviluppare.

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