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Mercoledì, 16 Aprile, 2008 - 14:56

Ripartiamo da 3, da Sinistra

 
La sconfitta nostra è ormai dato di fatto ineliminabile e indiscutibile: il “che fare” tanto propugnato da Lenin rimane come sempre e in modo più drammatico un quesito che ci deve fare riflettere, ora, come forze e soggettività diverse che fanno parte della sinistra, della sinistra di alternativa, per un’alternativa.
Innanzitutto grazie a tutte e a tutti noi che abbiamo creduto e crediamo ancora con passione in un progetto di cambiamento: abbiamo fatto una campagna elettorale difficile, forse la più difficile e la meno avvertita e compresa dalla cittadinanza della storia della Repubblica, impiegando risorse umane, idee, progetti, visioni, confronti, esperienze, promuovendo iniziative, dibattiti, confronti, momenti di aggregazione. Questo è un dato incontrovertibile, chiaro, assoluto, da cui occorre ripartire. Perché penso che noi tutte e tutti che abbiamo investito tempo ed energie pensino che di sinistra c’è bisogno in Italia, oggi più che mai, in un terribile momento per il Paese e per il suo futuro, nel momento in cui siamo stati spazzati via, vuoi per una legge elettorale assurda e insensata (forze minime, i Radicali, riescono ad avere deputati e senatori solo perché in coalizione), vuoi per un disegno strategico di un partito, quale il PD, che per assecondare e avvallare le richieste imprenditoriali e del mondo della finanza ha giocato il ruolo dell’annientatore della sinistra, di quella voce che impedisce istituzionalmente derive plebiscitarie e manovre socialmente insostenibili, dettate dalle logiche ciniche e ingiuste di un mercato multitentacolare.
Io credo che non dobbiamo abbandonare gli ormeggi e proseguire con la stessa passione e la stessa volontà, pur mantenendo quello che gramscianamente definiamo “il pessimismo della ragione”, che è opportuno mantenere vivo e riprenderlo con vigore e determinazione nell’analisi di una società complessa e in accelerata trasformazione, dove modernismo spesso è sinonimo di esclusione sociale e di emarginazione. Rossana Rossanda dice, e condivido: “Resta un futuro tutto da costruire: se si partirà dalla lezione subita, ricominciando da zero a praticare il conflitto sociale e capire come dare veste politica a un'ipotesi d'alternativa al quadro liberista, persino una simile sconfitta può diventare un'occasione”.
In queste parole si esplica quello che io asserisco: ossia se siamo fuori dal parlamento, se non siamo riusciti ad avere una rappresentanza del conflitto sociale esistente e che aumenterà all’alba di una terribile e drammatica stagflazione, dobbiamo sapere parlare ai bisogni delle persone, diventando portatori insieme a chi rappresenta la nostra classe di riferimento, che è aumentata, che non sa di essere classe in sé, non solo per sé, se usiamo termini a noi prossimi culturalmente, di un’alternativa possibile perché praticabile, realizzabile, di società rispetto a un modello che impone il pensiero unico del mercato imperante, della logica nefasta e devastante di un liberismo, addolcendolo come “liberismo dal volto umano”, nel momento in cui genera altri morti e altre sofferenze. Perdiamo è vero quasi 3 milioni di voti rispetto alle politiche del 2006, in un aumento dell’astensione che è del 3 %, dato drammatico e preoccupante nel nostro Paese. E’ chiaro che la maggioranza delle astensioni ha penalizzato la nostra formazione, come è anche vero che una buona parte del nostro elettorato si è fatto intimorire e abbagliare dalle sirene del voto utile lanciate a “spron battuto” dal PD, nella propria ottica e finalità di annientare una sinistra sociale e istituzionale, considerando di prendere consensi sia a sinistra, come in parte è avvenuto, sia al centro, cosa che non è avvenuta, ma che ha portato, anzi, al rafforzamento dell’UDC. Un’altra parte, seppure minima, ha riversato le proprie preferenze agli schieramenti altri della sinistra, Sinistra Critica in primis, penalizzandoci di alcune scelte che non sono state comprese, fatte durante il governo e che hanno tradito le nostre proposte, la nostra cultura ideale e valoriale, a partire da una ferma e convinta opposizione al sistema di guerra, ai sostegni drammatici e disastrosi a ogni intervento militare, millantato come “umanitario”. La guerra non è mai azione umanitaria, è distruzione di massa, come dice Zanotelli. E tale rimane. L’esperienza di governo non ha giovato, dobbiamo dirlo: non ha giovato a una sinistra diffusa che attendeva risposte sociali e di contenuto riformatore alle proprie necessità, ai propri bisogni, ai propri diritti. Non abbiamo ricavato nessun tipo di spostamento cospicuo dell’azione politica amministrativa verso progetti di redistribuzione del reddito: siamo stati soggetti a scelte, avvenute in contesti alieni da quelli politici e rappresentativi, spesso eterodirette da pressioni infauste di confindustria e del clero, che hanno visto un’azione di risanamento senza giovamento sociale, senza giustizia sociale, che hanno visto stoppare il riconoscimento dei diritti per coppie di fatto. Nel momento in cui abbiamo migliorato l’accordo sulle welfare, uscito dal confronto con le parti sociali, aumentando i casi di “lavori usuranti”, aumentando garanzie sociali e diritti per i precari, chiedendo il totale superamento della legge 30, la terribile infamia oggi ancora vigente, siamo stati bloccati da un insensato e corporativistico dettato: quello era l’accordo voluto dai sindacati e dagli imprenditori e tale deve rimanere, a prescindere dal confronto in Parlamento.
Abbiamo pagato tutto questo: siamo stati fedeli alla coalizione fino alla fine, chiedendo non per mezzo stampa ma tramite il consiglio dei ministri, i nostri ministri, una verifica di governo dopo che il “tesoretto”, oggi sarà impiegato per favorire i ceti abbienti, era emerso dalle ultime finanziarie come surplus nelle entrate. Il PD ha mantenuto nelle proprie liste una parlamentare che aveva votato contro il proprio governo sui DICO; noi abbiamo allontanato chi aveva votato contro alle missioni “umanitarie” per dare esempio di una lealtà nei confronti della coalizione. Ma il PD ha voluto isolarci, andando da solo ed eliminando nel paese la pregiudiziale antiberlusconiana, sciogliendo, elemento che si ripercuoterà nelle realtà locali e amministrative, una coalizione di governo, minandone la base.
Noi, ora, paradossalmente siamo tornati a essere autonomi: questo è un dato che, pur nel panorama inquietante di un parlamento quasi monocolore, esistevano nella prima repubblica i governi monocolori, ma i parlamenti rappresentavano la complessità sociale del Paese, ci può indurre a sperare nel ricominciare insieme un percorso.
Bertinotti aveva detto: come vadano le elezioni il 15 riprendiamo il cammino verso l’unità. Io credo che questo obiettivo debba essere ancora presente nella nostra agenda politica. Ma dobbiamo ritornare a essere sinistra sociale, lo siamo stati certamente, ma abbiamo teorizzato ottime analisi sul disastro che proviene con il liberismo non comprese da quella “classe in sé” che non riconosce neppure di essere “classe per sé”, e che si è riversata su voti di protesta plebiscitaria, poujadista, populista, che parla alle “pance” promettendo soluzioni immediate a problemi che hanno radici economica e sociologiche profonde, dando il proprio consenso al più bieco e pericoloso movimento xenofobo esistente in Europa, la lega, e in derive antipolitiche e superficiali, giustizialiste di stampo dipietrista. Parlato dice giustamente che le tute blu si sono tradite, proclamando una lotta tra poveri. Ecco noi dobbiamo incominciare a tornare nelle piazze, davanti ai cancelli delle fabbriche, come dice giustamente Bertinotti, e parlare con questa nostra classe, che esiste, a differenza di chi millanta il superamento della conflittualità di classe nella società attuale, e costruire con la partecipazione un progetto altro e alto di società, di cambiamento, di trasformazione del reale, senza abbandonarsi all’apologia del dato di fatto, come fatto dal PD. Oggi più che mai il monito poeticamente definito e romanticamente espresso nei bellissimi versi della poesia di Majakowsky "partito esci dalle tue stanze e vai a prendere i ragazzi in strada..." devono essere un impegno politico che dobbiamo assumerci. Non si tratta di eliminare nessuna cultura, nessuna differenza, nessun pluralismo, che è ricchezza nella sinistra, che è stimolo a un continuo confronto costruttivo: non si tratta di eliminare storie ed esperienze, si tratta di saperle finalmente, in una permanente convenzione, in un laboratorio continuativo, aperto, dinamico, presente nel tessuto sociale, presente nella realtà, visibile, raggiungibile, metterle a confronto partendo da valori forti che ci uniscono e che rimangono inalterati. I valori della giustizia, della libertà, concetto che non è sinonimo del ricettario dell’individualistico motto “man self made”, ma è sinonimo di autodeterminazione ed emanicipazione sociale collettiva, di eguaglianza, di solidarietà. La crisi economica in agguato ha portato a una virata tragica del Paese a destra: una destra irresponsabile, irrazionale, antieuropea, disgustosamente aziendalista, affarista, individualista, cinica, xenofoba, totalizzante, confessionale, protezionista e autarchica: la paura del futuro è sfociata in una paura del diverso, di chi non è causa di un malessere generalizzato, ma che viene individuato come fonte di ogni disagio per deviare l’attenzione sulle vere radici di una società iniqua e divisa. E’ avvenuto nel 1933 in Germania, nel 1921 in Italia. Solo nel 1929 con Roosevelt e il suo New Deal, pur in presenza di una crisi devastante, si è voluti dare fiducia a un progetto di rigenerazione sociale. Dobbiamo, oggi, ritornare a essere liberi interlocutori con la classe in sé e farle comprendere della sua esistenza sociale, diventando classe per sé: le contraddizioni della modernità sono molteplici e condannano i molti a vivere all’inferno, mentre i pochi dettano le condizioni di un avvenire di una propria ed egoistica prosperità e opulenza, partendo dal conflitto lavoro e capitale finanziario, arrivando al conflitto ambiente e capitale, eguaglianza tra generi e orientamenti sessuali e visione patrimoniale maschilista di conduzione del potere. Aprire le nostre stanze, come suggeriva il grande poeta russo, significa aprire le nostre case, le case della sinistra, e renderle realtà presenti sui territori, presso i luoghi di lavoro e di studio, diceva Togliatti, dinanimici dove il confronto sia orizzontale e di pari grado tra soggettività diverse, dai partiti alle associazioni, dai comitati di quartiere in difesa del territorio pubblico, ai collettivi, dai singoli studenti, lavoratori, precari, donne e uomini, giovani e anziani, ricostruendo quello che abbiamo bisogno di ricostruire: la connessione sentimentale e un progetto di riforma culturale, oltre che di rigenerazione organizzativa e politica della sinistra, senza buttare al macero niente, ma riprendendo il tutto e conducendolo verso quella strada che abbiamo saputo intraprendere fino a oggi, con difficoltà e non compresa per assenza di ponderazione e di tempo di analisi.
Alessandro Rizzo

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