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Venerdì, 21 Marzo, 2008 - 21:16

rapporto AI: Iraq cinque anni di carneficina e disperazione

Rapporto di Amnesty International sull’Iraq: cinque anni di carneficina e disperazione

Cinque anni dopo l’intervento militare guidato dagli Usa che spodestò Saddam Hussein, l’Iraq rimane uno dei paesi più pericolosi al mondo dal punto di vista dei diritti umani.

È quanto ha affermato oggi Amnesty International, pubblicando il rapporto “Carneficina e disperazione”. Secondo l’organizzazione per i diritti umani, gli attacchi e gli omicidi settari da parte dei gruppi armati, le torture e i maltrattamenti da parte delle forze governative e la continua detenzione di migliaia di persone sospette (molte delle quali da lungo tempo, senza accusa né processo) da parte delle forze statunitensi e irachene hanno avuto un impatto devastante, costringendo oltre quattro milioni di iracheni a lasciare le proprie case.

Milioni di dollari sono stati spesi per la sicurezza, ma oggi due iracheni su tre non hanno ancora accesso all’acqua potabile e almeno uno su tre (otto milioni di persone) sopravvive grazie agli aiuti d’emergenza.

“L’amministrazione di Saddam Hussein fu proverbiale per le violazioni dei diritti umani” – ha affermato Malcolm Smart, direttore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International – “ma la sua destituzione non ha portato alcun sollievo alla popolazione irachena”.

Migliaia di persone sono state uccise o gravemente ferite e comunità che in precedenza vivevano in uno stato di relativa quiete sono state trascinate in aperto conflitto. La popolazione civile ha pagato il prezzo più alto. Per molte donne, che ora sono minacciate dai militanti religiosi, le condizioni sono peggiori rispetto ai tempi di Saddam Hussein.

Secondo il rapporto di Amnesty International, anche nella relativamente calma regione settentrionale curda, i passi avanti economici non sono stati accompagnati da un maggiore rispetto dei diritti umani.

“Continuano a giungere segnalazioni di arresti arbitrari, detenzioni e torture anche dalle province curde” – ha sottolineato Smart – “e il dissenso politico è scarsamente tollerato. Oppositori politici sono stati imprigionati senza processo mentre i cosiddetti delitti d’onore, in cui le donne sono assassinate dai propri familiari, restano un problema profondamente radicato che le autorità criticano ma non affrontano in maniera adeguata”.

Nessuno è in grado di stabilire esattamente quante persone siano state uccise in Iraq a partire dall’invasione diretta dagli Usa del marzo 2003. Secondo la ricerca più estesa, condotta congiuntamente dall’Organizzazione mondiale della sanità e dal governo iracheno e pubblicata nel gennaio di quest’anno, dal marzo 2003 al giugno 2006 sono state uccise più di 150.000 persone. Le Nazioni Unite hanno affermato che nel 2006, ultimo anno su cui sono disponibili dati, sono state uccise almeno 35.000 persone.

Il costante problema dell’insicurezza ha pregiudicato i tentativi di restaurare l’ordine, ma anche quando le autorità irachene sono state messe in grado di far rispettare i diritti umani, hanno ampiamente fallito. I processi sono regolarmente iniqui, con condanne emesse su prove estorte con la tortura. Centinaia di persone sono state condannate a morte.

“Questo è uno degli aspetti peggiori per il futuro. Anche di fronte a evidenti prove della tortura commessa sotto i loro occhi, le autorità irachene non hanno portato i responsabili di fronte alla giustizia, né gli Usa e i loro alleati li hanno stimolati a farlo” – ha concluso Smart.

FINE DEL COMUNICATO                                                                                     Roma, 17 marzo 2008

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

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