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Sabato, 9 Settembre, 2006 - 08:19

chiesa e gay, un'altra occasione perduta

 
Due ragazzi gay vengono aggrediti e picchiati selvaggiamente da un gruppo di teppisti. La scorsa settimana, una ragazza lesbica è stata violentata “per punizione” a Torre del Lago da altri teppisti. Da diversi mesi un buon numero di omosessuali, dell’uno e dell’altro sesso, subiscono agguati e violenze.Queste violenze hanno un unico denominatore: sono rivolte verso omosessuali notori o dichiarati, e si verificano quasi sempre in luoghi d’aggregazione gay o comunque tolleranti con questi ultimi.
È il caso dei ragazzi bolognesi. Pare che la loro colpa fosse quella di passeggiare abbracciati. Non avevano, cioè, occultato la loro omosessualità. E ciò ha scatenato l’ira degli assalitori.
Non sappiamo ancora se si trattasse di italiani o – come qualcuno dice – di stranieri, forse slavi. Per chi proviene da Paesi in cui “diritti umani” è un’espressione senza senso e le donne sono disprezzate simili atti non sono crimini. Sembrano normali, in qualche caso persino lodevoli. Due maschi osano scambiarsi tenerezze in pubblico? Una donna cammina sola per strada, magari con un vestito un po’ attillato? Agli occhi di costoro sono già colpevoli; sono dei sacrileghi, che con la loro semplice esistenza sovvertono un intero mondo imperniato su valori ferrei di gerarchia, morale, possesso e dominio. Si sono posti fuori della comunità, della famiglia, del clan. Meritano, come minimo, una punizione esemplare.
Per questo in Olanda è stato avviato un progetto di accoglienza degli stranieri che preveda, fra l’altro, un’educazione al rispetto verso quelle minoranze o gruppi di persone che, nei luoghi d’origine, sono condannati addirittura per legge. Ma a questo punto sorge spontanea una domanda: gli autori di questi atti sono sempre e solo stranieri?
Non erano stranieri gli stupratori della ragazza lesbica, come non lo sono gli innumerevoli che quasi quotidianamente seviziano tante, troppe donne eterosessuali. Non erano stranieri gli assassini di Paolo Seganti.
Non sono stranieri molti nostri politici di primo piano, addirittura al governo fino a pochi mesi fa. Eppure non passava giorno, o quasi, che non indirizzassero agli omosessuali apprezzamenti pesanti, quando non veri e propri insulti e maledizioni; pensiamo ai “culattoni” di Tremaglia”, ai “froci” di Calderoli, ai “peccatori” di Buttiglione per finire con l’ineguagliabile “meglio fascista che frocio” di Alessandra Mussolini.
La Lega Nord ha incentrato la sua campagna elettorale sullo slogan [I]“No ai matrimoni omosessuali”[/I]. Dalle pagine della “Padania” si leggeva che con la sinistra al governo la società naturale e occidentale sarebbe scomparsa a causa dell’approvazione dei matrimoni gay; profezia che [I]“ognun può vedere come si sia avverata”[/I].
Sempre in quel periodo Comunione e Liberazione diffondeva volantini sullo stesso tenore, esortando “per questo” a votare Berlusconi. Ancora al Meeting di Rimini hanno fischiato sonoramente la senatrice Binetti, che pure ce l’aveva messa tutta per ingiuriare i gay (definendoli sterili, senza diritti all’amore ecc.) e hanno osannato l’ex-presidente del Consiglio quando si profondeva in lodi sperticate del cristianesimo e della famiglia. Ma il caso dei ciellini non deve stupire. Chi obiettasse che Berlusconi per tanti, troppi versi è tutto tranne che cristiano  dovrebbe tener presente che, per Cl, basta non essere di sinistra e non amare gli omosessuali. Rispettate queste due irrinunciabili condizioni sono disposti a dare il loro placet a chiunque, da sempre.
Come si vede, il pretesto del “barbaro” straniero (o meglio, extracomunitario) non regge più.Si deve riconoscere che neppure in Italia il rispetto verso le minoranze e i soggetti deboli è poi così sviluppato.
Avevamo accennato a un progetto educativo. Progetto – si badi bene – che non può interessare solo gli adulti provenienti da Paesi lontani, ma deve iniziare dall’infanzia, dai banchi di scuola. È quanto accade in Nord Europa. E da noi?
Da noi non c’è nulla di simile. Ancor oggi, dai programmi scolastici la storia delle donne è del tutto ignorata. I musulmani – spesso ancora chiamati maomettani e, non di rado, confusi con gli arabi – non vengono più menzionati da Lepanto in poi. Si riaffacciano timidamente, quando i tempi didattici lo permettono (vale a dire, quasi mai), in qualche paragrafo letto in fretta e furia nel mese di maggio, al quinto anno delle superiori. Il risultato è ovviamente nullo.
Sugli altri soggetti sociali, specialmente omosessuali, non varrebbe nemmeno la pena soffermarsi. Parlarne è un’iniziativa del tutto individuale, dell’insegnante o degli studenti che ogni tanto, stufi di essere lasciati nell’ignoranza, chiedono di incontrare quel tal rappresentante dell’Arcigay per chiarirsi un po’ le idee. Se il professore non è troppo timorato è probabile che accetti.
Con gli esempi appena citati come aspettarsi un atteggiamento più maturo e tollerante da parte di cittadini italiani? Ma non è finita. L’episodio di Bologna è stato commentato, su “Repubblica”, dal vescovo ausiliario della città, mons. Vecchi. E il presule, dopo aver puntualizzato che “i problemi non si risolvono con le violenze e le aggressioni”, ha chiarito il suo pensiero con le seguenti parole: “La nostra società… da un lato spinge alla trasgressione, dall´altro non offre gli strumenti per raggiungere la padronanza e il dominio di sé. Per affrontare questi ambiti occorre un supplemento di riflessione”. Ma al giornalista che voleva sapere se per lui l’omosessualità è una trasgressione, ha risposto in modo sibillino:
“L´omosessualità è un argomento complesso che sarebbe sbagliato discutere qui. Dico che la violenza e la trasgressione sono cugine”.
Di là da certi toni gesuitici e ambigui, la posizione di mons. Vecchi è dunque chiarissima: egli sta dalla parte degli aggressori. E quand’anche (ma non è così) li ponesse sullo stesso piano degli aggrediti, il suo sarebbe uno spaventoso errore di valutazione. Tra due ragazzi che si scambiano tenerezze in pubblico e un gruppuscolo di balordi sempre pronti a menar le mani la differenza dovrebbe balzare all’occhio, ma i ragazzi in questione erano due maschi, pertanto, secondo mons. Vecchi, non stavano manifestando reciproco affetto, ma volevano solo scandalizzare e trasgredire. Nella sua ottica, perfettamente in linea con
la Chiesa gerarchica, due omosessuali sono incapaci di amarsi, fanno solo sesso e in ogni caso dovrebbero tener nascosta - tale il vero senso di “padronanza e dominio di sé” - questa loro “ignominia”. Non facendolo, provocano fatalmente reazioni a catena. Violenza genera violenza. Ma la violenza prima è partita da quell’abbraccio. I veri fedifraghi sono loro, i due ragazzi omosessuali.
Gli apologhi dell’omofobia cattolica non si stancano di reiterare, con la sorda monotonia di un disco rotto, che la Chiesa coi suoi anatemi combatte l’omosessualità, non i singoli omosessuali. Come se esistesse l’omosessualità indipendentemente dalle persone. C’è altro, però. Di solito, per avvalorare le loro tesi menzognere, essi sono soliti citare il passo n° 10 della lettera sulla Cura pastorale delle persone omosessuali compilata nel 1986 dall’allora card. Ratzinger. E sentiamo cosa dice: “Va deplorato con fermezza che le persone omosessuali siano state e siano ancora oggetto di espressioni malevole e di azioni violente. Simili comportamenti meritano la condanna dei pastori della Chiesa, ovunque si verifichino. Essi rivelano una mancanza di rispetto per gli altri, lesiva dei principi elementari su cui si basa una sana convivenza civile. La dignità propria di ogni persona dev’essere sempre rispettata nelle parole, nelle azioni e nelle legislazioni”. Tutto bene, naturalmente; verrebbe allora da chiedersi perché la Chiesa, sempre molto solerte quando si tratta di stigmatizzare le “parate gay”, non sia mai (ripetiamo: mai) intervenuta a loro difesa nei casi sopra accennati. La risposta la fornisce lo stesso Ratzinger, nella seconda parte dello stesso passo 10 che, chissà come, tutti si scordano di citare. Lo faremo allora noi. Prosegue Ratzinger: “Tuttavia, la doverosa reazione alle ingiustizie commesse contro le persone omosessuali non può portare in nessun modo all’affermazione che la condizione omosessuale non sia disordinata. Quando tale affermazione viene accolta e di conseguenza l’attività omosessuale è accettata come buona, oppure quando viene introdotta una legislazione civile per proteggere un comportamento al quale nessuno può rivendicare un qualsiasi diritto, né la Chiesa né la società nel suo complesso dovrebbero poi sorprendersi se anche altre opinioni e pratiche distorte guadagnano terreno e se i comportamenti irrazionali e violenti aumentano”. Nella stessa lettera, al passo 3, Ratzinger affermava che non solo i comportamenti, ma anche la condizione omosessuale era intrinsecamente malvagia (il testo completo in http://www.ratzinger.it/documenti/curadegliomosessuali.htm ).
Nel 1992 toccò sempre a Ratzinger redigere una seconda lettera, dopo la decisione di alcuni Stati europei di estendere agli omosessuali alcuni diritti civili. Mentre la legislazione europea si adoperava per estendere ai gay alcuni diritti civili, Ratzinger ordinava al contrario di restringerli. I diritti che ai gay si potevano, anzi si dovevano legittimamente negare, secondo lui, erano due: la casa e il lavoro. Con queste motivazioni: “…tutte le persone hanno il diritto al lavoro, all’abitazione, ecc. Nondimeno questi diritti non sono assoluti. Essi possono essere legittimamente limitati a motivo di un comportamento esterno obiettivamente disordinato. Ciò è talvolta non solo lecito ma obbligatorio, e inoltre si imporrà non solo nel caso di comportamento colpevole ma anche nel caso di azioni di persone fisicamente o mentalmente malate. Così è accettato che lo stato possa restringere l’esercizio di diritti, per esempio, nel caso di persone contagiose o mentalmente malate, allo scopo di proteggere il bene comune” (n° 12; cf. anche http://www.ratzinger.it/documenti/leggi_omosessuali.htm). Il contenuto del messaggio è incommentabile, ma ci stupisce il linguaggio da caserma, crudele e volgare, così insolito da parte di un fine intellettuale come Ratzinger. Evidentemente suo furore anti-omosessuale deve avergli fatto dimenticare non solo la prudenza, ma anche la grammatica.
Gli strali vaticani sono talmente numerosi che non riusciremmo a elencarli. Del resto, quelli su riportati bastano e avanzano. E dimostrano come, malgrado le frasi di circostanza e in barba alle scoperte più recenti della scienza, la Chiesa gerarchica continui a considerare gli omosessuali dei viziosi che offuscano la verità dell’uomo e attirano, col loro comportamento scandaloso e impudente, abusi e soperchierie d’ogni tipo. Proprio come i “malati contagiosi” di cui parlava Ratzinger col suo fiorito e caritatevole eloquio.
Mons. Vecchi ha fatto il suo dovere. Ratzinger, che nel frattempo è diventato Papa, elogerà questa sua coerenza ai dettami di Santa Madre Chiesa. Anche i criminali promossi a giustizieri ringraziano di cuore. Fra quattrocento anni un altro Papa implorerà vane e tarde scuse ai gay, ormai usciti definitivamente da quel gregge i cui pastori non mancavano di bastonarli. Quanto a noi, poveri mortali, non possiamo permetterci di aspettare nemmeno quattro anni. La teppaglia non è una compagnia di cui andar fieri.
 

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