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Mercoledì, 17 Maggio, 2006 - 15:05

Politica e Cultura

La politica come amministrazione condominiale

Il Novecento è il secolo delle due guerre mondiali, dei fascismi, dei nazismi, dei nazionalismi, dei populismi, dei vari auschwitz. Si può parlare di un bislungo periodo di barbarie protetto dalle nebbie della guerra fredda o dalla cristallina trasparenza delle tante guerre calde, sequele di stermini, pulizie etniche, guerre umanitarie, preventive e umorali, lotte egemoniche e imperiali, menzogne diffuse in nome di un interesse superiore. Oggi camminiamo sui cocci di una sorta di bio-macchina politica che ha deciso prolungare la propria insensatezza esistenziale aggrappandosi ad accanimenti terapeutici: leciti o illeciti, disumani, dove la vita dell’altro è esclusa. Stiamo assistendo al trionfo di un analfabetismo etico e progettuale che stritola in una morsa materiale e spirituale l’intero corpo sociale. Possiamo definire la nostra epoca, come tempi che impongono restaurazioni “democratiche” di nuovi e vecchi poteri imperniati sulla vecchia logica dei rapporti di forza, dove si legifera sui liberi flussi planetari di capitali innalzando allo stesso tempo muri sui flussi umani, dove ci si gongola con il traffico più o meno legale di schiavi piccoli e grandi o con i deliri neo-imperiali: stiamo vivendo la naturale continuità del secolo andato. Possiamo affermare che l’essenza di quell’orrore, di quella metodologia, invece di aver generato nel corpo politico e in quello sociale un vaccino, continua oggi impunita come un virus che muta e si rafforza inseguendo nuove vittime e indebolendo gli anticorpi etici e morali.
Il Novecento si è chiuso con un patto di convivenza politica al più basso livello. La partita, pari e patta, è stata azzerata sul concetto del demone dell’ideologia: tutte nefaste, tutte criminalizzabili, tutte da dimenticare. Oggi non si può parlare di politica se non come una sorta di post-politica. Infatti la politica si riduce ad amministrare un semplice fare, a gestire i conflitti locali, intestini o internazionali disinteressandosi del progetto, dell’innovazione, della idealità. Sembra diventata una sorta di ragioneria incapace di creatività, di fantasia e diversità. Amministratori delegati di condomini che si disputano un fasullo match sulle capacità professionale, onestà e talento di mediazione. Il resto, cioè l’intervento sulla realtà con tutti i suoi urgenti problemi, si limita a tamponare il presente.
Politica e Cultura
Un bubbone si aggira come un fantasma senza pace: il conflitto mai risolto tra politica e cultura. Grottesco. E’ inquietante l’analfabetismo della classe politica, la stessa che non è mai riuscita a stabilire un rapporto di necessaria cooperazione con la cultura e il pensiero critico: di ascolto. Non sapendo come gestire il disturbo ha scelto di emarginarla, di mantenerla ai bordi del senso, a prudente distanza, spesso tollerata controvoglia, considerata una zavorra, una seccatura genetica. Per la classe politica la cultura è una protesi scomoda da sopportare con un sorriso ironico sulle labbra, mai la chiave antropologica che potrebbe permettere una lettura più vera e più profonda della realtà e che forse renderebbe possibile la creazione di una società più vivibile e più sostenibile. Il controllo isterico della politica su tutti gli aspetti della vita è pressoché totale: interviene sul diritto di nascere e di morire, sui flussi migratori, sul destino di etnie, preme sugli indirizzi e sulle scelte dell’industria farmaceutica, chimica e petrolifera, programma o avalla politiche di stermini, detta legge sul controllo demografico, determina modelli di sviluppo, analfabetizza i processi educativi; tutte operazioni ispirate a un unico paradigma: la centralità del Mercato. Sembrerebbe una voglia di follia eppure il politico è convinto che la sua disciplina contenga la totalità dell’esperienza umana, che possa affrontare e risolvere interessi oggettivi e soggettivi. Un’ignoranza antropologica che spinge la politica ad agire come se fosse un ente autarchico, autosufficiente: totalitaria e totalizzante. Nel suo operato si è assunta il compito di concentrare, sogni e bisogni, psicologia individuale e sociale, desideri dei singoli e dei popoli. Agisce come un Grande Fratello orwelliano ma è soltanto il succedaneo di un’antropologia casereccia, come il caffè di cicoria. Perché la cultura invece di controllare i controllori spesso si rende complice del misfatto? Penso che proprio per la sua specifica condizione la cultura debba esercitare il controllo sulla politica, una vigilanza stretta e continua. L’occhio della cultura opposto a quello del Grande Fratello.

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