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.: Il Blog di Alberto Angelo Alfredo Bruno
Lunedì, 15 Maggio, 2006 - 22:35

Milano: vecchi e nuovi milanesi

Milano è una città che si è sviluppata grazie a milioni di "migrati", dalle sue origini a oggi.
Persino S.Ambrogio era un migrante.

Il centro di Milano è pieno di edifici che ricordano Vienna, le strade hanno "prospettive" francesi, il dialetto meneghino risente ancora della presenza spagnola.

La rivoluzione industriale e il successivo sviluppo del città industriale si è concretizzata prima grazie a "milanesi" che parlavano solo rovigano e ferrarese e poi nel corso degli anni grazie all'arrivo di "milanesi" da tutte le regioni d'Italia. che mangiavano cibi diversi, avevano costumi diversi e parlavano dialetti incomprensibili.

Oggi Milano chiama ancora nuovi "milanesi".

Nuovi "milanesi" che parlano le diverse lingue del mondo, che cucinano cibi e hanno costumi diversi.

Milano chiama questi nuovi cittadini perché di notte facciano il pane, perché cucinino nei ristoranti e per sfornare le pizze, per pulire gli uffici e per riordinare le case, per "badare" ai nostri anziani e curare i nostri bambini.

Milano chiama nuovi "milanesi" per fare custodire gli stabili, perché servono operai nell'artigianato e nella piccola impresa.

Milano chiama nuovi "milanesi" per costruire se stessa ovvero per edificare la nuova Milano.

Molti di questi milanesi dopo anni di lavoro diventano "italiani" ai sensi di legge, molti pur regolari restano stranieri, ma vivono e soprattutto contribuiscono a far vivere Milano, altri diventano imprenditori, piccoli imprenditori certamente, ma con l'idea di progredire.

Migranti che pagano tributi e tasse, ovvero si comportano da "onesti milanesi" e diventano in alcuni casi più "milanesi" di alcuni "milanesi" di nascita.

Ecco allora che Milano deve riconoscere che pur di nazionalità diversa, essi sono di fatto "milanesi" e che essi, da "milanesi" debbono e possono concretamente contribuire allo sviluppo in tutti i sensi di Milano, diventa quindi un dovere civico, oltre che un diritto che essi trovino una dimensione anche civica.

Le politiche sociali della città devono quindi non solo tenere contro delle diverse comunità che compongono la nostra città, ma fornire quegli strumenti d'integrazione che rendano possibile il progresso di questa città. Un progresso che nel corso di tutti questi anni, si è fondata proprio su una espansione derivante dall'arrivo e dalla capacità di ricevere nuovi cittadini.

Cittadini che non fruiscono la città in modo passivo e meramente abitativo, ma che di giorno in giorno, contribuiscono alla sua crescita e al suo sviluppo, diventando così "milanesi", non solo per iscrizione anagrafica, ma per cultura e affinità.

Ma se le politiche sociali non comprenderanno ciò e punteranno al "pietismo" da una parte o alla "chiusura" dallaltra parte, si darà sponda solo a chi vuole una città suddivisa per razze, si farà gioco a chi non vuole che si formino "milanesi" come da secoli succede, ma che restino corpi estranei, avviando una inversione storica allo sviluppo di Milano.

Per questo sono fortemente convinto che chi lavora in questa città in modo regolare e onesto e contribuisce al suo sviluppo, a prescindere da dove esso sia nato e quale inflessione ha il suo parlare, deve poter essere parte della città.

Lunedì, 24 Aprile, 2006 - 21:43

Morire da soli a Milano

  Oggi le agenzie, battevano  una notizia di "nera" d’ordinaria tristezza.
  Dopo 15 giorni i Vigili del Fuoco, avvisati dai vicini, hanno rivenuto la salma di un anziano di 80 anni che è vissuto da solo.
  Le cronache sono piene di questi eventi, frutto della marginalità con cui gli anziani sono lasciati soli, nella nostra città.
  Un anziano, che magari per problemi caratteriali, piano piano vede allontanarsi la prima fascia di solidarietà: la famiglia, poi inizia ad isolarsi dai vicini, poi gli staccano la luce e poi il gas e poi...

...e poi il lento oblio fino all’ultimo.
  In una città dove le fasce di cittadini d'età media, sempre più si allontano da Milano per andare a vivere in comuni sempre più lontani, restano sempre più anziani.
  Alcuni rinunciano a vivere, per tanti diversi motivi nelle loro case e accettano il ricovero, altri invece no, forse non sono nemmeno più sufficientemente capaci di chiedere aiuto, di fatto però restano soli.
  Eppure in questo caso, i servizi sociali sarebbero potuti intervenire...
...Sarebbero potuti intervenire se forse l'AEM gli avesse segnalato che a quest’anziano staccavano il gas.
...Sarebbero potuti intervenire se forse l'ENEL gli avesse segnalato che a quest’anziano staccavano la luce.
  Serebbero, ma così evidentemente non è andata, e un altro anziano, nell’indifferenza generale è andato.
  Allora bisogna ripartire della rete sociale, una rete composta di più attori, che trovi un capo maglia che coordini realmente gli interventi, interventi che possono partire dal più semplice monitoraggio, fino ad un’assistenza domiciliare organizzata e strutturata.
  Per realizzare questa maglia servono politiche sociali attente, che coinvolgano anche la popolazione residente attraverso azioni di sensibilizzazione del vicinato, la partecipazione del volontariato, ma anche le infrastrutture di servizio e ovviamente un’azione sul campo dei servizi sociali, i quali necessariamente devono essere rinforzati.
  Forse l’anziano sarebbe in ogni modo arrivato al termine del suo percorso di vita, ma il suo trapasso non sarebbe stato riconosciuto dall’esalazione della morte dopo 15 giorni, ma dal non aver risposto, magari anche in malo modo, come a volte fanno alcuni anziani che s’isolano.
  Perché a Milano noi vogliamo che si viva da soli bene, anche la propria vecchiaia.

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