Dialogo tra Marco Revelli e Renzo Casali: "Alla ricerca dei paradigmi perduti"
Se il Novecento può essere definito come il secolo delle due guerre mondiali, dei fascismi, dei nazismi, dei nazionalismi, degli stalinismi, dei populismi; se si può parlare di un bislungo periodo di barbarie avvolto dalle nebbie della guerra fredda o dalla cristallina trasparenza delle tante guerre calde, sequele di stermini, pulizie etniche, guerre umanitarie, preventive e umorali, lotte egemoniche e imperiali, possiamo definire questo inizio del millennio delle restaurazioni “democratiche” del potere imperniato sulla vecchia megera dei rapporti di forza, sui flussi planetari di capitali, sul traffico legale di schiavi piccoli e grandi, su deliri neo-imperiali, come una naturale continuità del secolo andato? Possiamo affermare che l’essenza di quell’orrore, quella metodologia, invece di aver generato un vaccino, continua oggi impunita e rafforzata, come un virus che muta inseguendo le nuove realtà, approfittando dell’indebolimento degli anticorpi?
2.
Oggi, ci troviamo a camminare sui cocci di una sorta di bio-macchina politica che ha deciso prolungare la propria insensatezza esistenziale aggrappandosi con ottusità a qualunque accanimento terapeutico: lecito o illecito, umano o disumano. E’ lecito affermare che stiamo assistendo al trionfo dei un analfabetismo etico e progettuale che stritola in una morsa materiale e spirituale l’intero corpo sociale?
Invito alla Gente di Teatro
Amici:
venerdì 12 alle ore 20.30 in Comuna Baires, via Parenzo, 7 ci sarà la presentazione di un nostro spettacolo: "Concerto per pianoforte in Fa dimenticato". In quella occasione potremmo incontrarci per discutere i perchè, i che e i come della mia candidatura al Consiglio comunale, per le elezioni del 28/29 maggio, come indipendente, nelle file di Rifondazione Comunista. Se avete voglia di partecipare vi prego di spedirmi un piccolo e-mail di conferma a filecchio@libero.it. Vi ringrazio e vi aspetto.
Renzo Casali
Lettera aperta ai teatranti
Lettera ai teatranti
Siamo tutti stanchi e sfiduciati di avere a che fare con politiche “culturali” che hanno da sempre privilegiato i salotti-degli-eventi-istituzio
E’ ora che noi portiamo il Teatro in Comune in prima persona, di rifiutarci di delegare la nostra vocazione e il nostro lavoro a soggetti, convinti che il teatro sia una “seccatura inevitabile” o un “serbatoio di voti”, e non la risorsa più importante per una società che pretende di essere civile e democratica. Ricordiamoci l’affermazione di Brecht: “il teatro di un paese esprime le condizioni della società cui appartiene.” E noi sappiamo bene che la situazione teatrale odierna rispecchia il degrado di una politica concepita come un pragmatico Mercato delle Vacche.
Lavoriamo insieme su un progetto comune sommando forze ed energie. Potrebbe essere questa la volta buona: temi come Spazi – Modalità degli Interventi pubblici – Gestione comune di luoghi – Organizzazione comunitaria della promozione – Diritto costituzionale ad esprimere liberamente le nostre idee e le nostre concezioni teatrali e tanti altri ancora, meritano un nostro tentativo diretto.
Renzo Casali
Il Circo del Senato e il Mercato delle Vacche
Per una Cultura dell'Incontro
Renzo Casali
Per una Cultura dell'Incontro
Sono convinto che la cultura sia essenziale per affrontare la grande questione dell'integrazione. Milano è un vero e proprio laboratorio multietnico. In questo senso la condivisione di spazi comuni, anche per la realizzazione di progetti comuni nell'ambito culturale, possono costituire la chiave giusta. Conoscersi, creare rapporti, scambiare esperienze.
Io metto a disposizione 37 anni di esperienza con la Comuna Baires, da sempre, una realtà multietnica: una fabbrica di Beni Immateriali.
Renzo Casali
Politica e Cultura
La politica come amministrazione condominiale
Un bubbone si aggira come un fantasma senza pace: il conflitto mai risolto tra politica e cultura. Grottesco. E’ inquietante l’analfabetismo della classe politica, la stessa che non è mai riuscita a stabilire un rapporto di necessaria cooperazione con la cultura e il pensiero critico: di ascolto. Non sapendo come gestire il disturbo ha scelto di emarginarla, di mantenerla ai bordi del senso, a prudente distanza, spesso tollerata controvoglia, considerata una zavorra, una seccatura genetica. Per la classe politica la cultura è una protesi scomoda da sopportare con un sorriso ironico sulle labbra, mai la chiave antropologica che potrebbe permettere una lettura più vera e più profonda della realtà e che forse renderebbe possibile la creazione di una società più vivibile e più sostenibile. Il controllo isterico della politica su tutti gli aspetti della vita è pressoché totale: interviene sul diritto di nascere e di morire, sui flussi migratori, sul destino di etnie, preme sugli indirizzi e sulle scelte dell’industria farmaceutica, chimica e petrolifera, programma o avalla politiche di stermini, detta legge sul controllo demografico, determina modelli di sviluppo, analfabetizza i processi educativi; tutte operazioni ispirate a un unico paradigma: la centralità del Mercato. Sembrerebbe una voglia di follia eppure il politico è convinto che la sua disciplina contenga la totalità dell’esperienza umana, che possa affrontare e risolvere interessi oggettivi e soggettivi. Un’ignoranza antropologica che spinge la politica ad agire come se fosse un ente autarchico, autosufficiente: totalitaria e totalizzante. Nel suo operato si è assunta il compito di concentrare, sogni e bisogni, psicologia individuale e sociale, desideri dei singoli e dei popoli. Agisce come un Grande Fratello orwelliano ma è soltanto il succedaneo di un’antropologia casereccia, come il caffè di cicoria. Perché la cultura invece di controllare i controllori spesso si rende complice del misfatto? Penso che proprio per la sua specifica condizione la cultura debba esercitare il controllo sulla politica, una vigilanza stretta e continua. L’occhio della cultura opposto a quello del Grande Fratello.