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.: Il Blog di Donatella Elvira Camatta
Domenica, 22 Ottobre, 2006 - 20:47

Ctpc..ritardi MM???

 

 

Carissime e carissimi,
anche se noi continuiamo a ricevere segnalazioni di ritardi o anticipi (come indicato nella lettera inviata ieri al Difensore Civico) subiti nel trasporto pubblico locale, il presidente dell'ATM Spa Roberto Massetti (pubblicato sui giornali quotidiani di oggi) parla di rivalutare le tariffe del trasporto pubblico locale, a suo parere troppo basse e non ritoccate da diversi anni! Ma quando migliorerà visibilmente il servizio pubblico gestito da ATM Spa?
 
Rispetto ai ritardi avvenuti sulla metro' di giovedì/venerdi è stata scritta una lettera che invieremo all'ATM e che di seguito pubblichiamo, arricchita da altre due segnalazioni di due cittadine /utenti.
testo
 
RITARDI METRO, MA CHI E' RESPONSABILE, CHI RISPONDE ANCHE ECONOMICAMENTE? SOLO I CITTADINI UTENTI?
Questo è il problema di fondo che sta diventanndo sempre più eclatante; c'è elusione sistematica della proprie responsabilità di Gestore di un servizio pubblico come non avviene in altri paesi europei.
 
Esaminiamo i ritardi di giovedì 19 e venerdì 20 ottobre
Giovedì 19 ottobre. Duomo linea rossa, data di timbratura ore 16,50 direzione Loreto, viene annunciato che per problemi tecnici la circolazione sulla linea subirà dei ritardi. Conseguenza: per le due persone che dovevano recarsi all'appuntamento prima delle ore 17,30 arrivano alle 17,50, con molto disappunto per chi ha aspettato per 20 minuti sotto la pioggia, ma essendo, un incontro svolto durante il tempo libero, non rimane che scusarsi per la brutta figura.
 
Venerdi' 20 ottobre. Rovereto linea rossa, data di timbratura ore 8,20 per Duomo, di nuovo l'annuncio di ritardi per problemi tecnici. Conseguenza: per una lavoratrice invece di timbrare entro le 8,30 può farlo solo alle 8,32 per due minuti di ritardo sarà costretta a pagare mezz'ora di ritardo sul lavoro (come da regolamento lavorativo).
 
 
Qui nasce il problema, visto che si paga anticipatamente per un abbonamento settimanale perchè una lavoratrice deve pagare una trattenuta di mezz'ora di lavoro per un guasto tecnico sulla Metro linea Rossa?
 
Il CTPC studierà il modo di rivalersi su ATM per il ritardo subito (portando l'adeguata documentazione dei ritardi e anche della trattenuta in busta paga ), chiedendo il recupero economico della somma perduta in questo caso specifico.
 
Inoltre, si ricerca altre persone disposte ad avviare la stessa procedura di rivalsa verso l'ATM per il ritardo subito e documentabile, in questi due giorni.
Invitiamo, anche, altre persone a comunicarci le possibili segnalazioni inviate ad ATM di questo ennesivo blocco del trasporto pubblico, questo al fine di aumentare la conoscenza di cosa può comportare nella vita quotidiana dei cittadini i disservizi del trasporto pubblico, sia su un piano economico e sociale, come quello personale.
 
 
da Assunta:  Ieri sera - 19 ottobre - intorno alle 17.30 la linea rossa era ferma per guasto alla fermata di Cairoli. Da quando sono arrivata a Cadorna (la rossa era già bloccata) a quando sono riuscita a prendere la metro per Rho- Fiera sono passati più di 30 minuti. Non vi dico in che situazione abbiamo dovuto poi viaggiare!
Questa mattina - 20 ottobre - ore 07.40 a San Leonardo, venivano segnalati ritardi alla metro per guasto alla fermata di Pagano. Ho impiegato 45 minuti da San Leonardo a Cadorna!!
I signori dell'ATM si devono solo vergognare! Cordialmente.
da Mirella, ciao,
ti vorrei segnalare altre disfunzioni dei mezzi di trasporto ATM.
ieri 19/10 mattino la metropolitana M1 ha subito pesanti ritardi per guasto alla centrale Sesto e alla sera la circolazione è stata sospesa per un presunto guasto alla centrale cordusio con conseguente disagio dei passeggeri.
inoltre stamattina ugualmente altro guasto alla centrale pagano con scontato ritardo e disagio per gli utenti (da non trascurare il sovraffollamento dei vagoni).
Andiamo sempre peggio.
speriamo di non arrivare ad avere il solito aumento prospettato dai media in questi giorni con in contraccambio un peggioramento del servizio già scadente.
 
Cordialmente a presto

 

Sabato, 21 Ottobre, 2006 - 08:28

IRAN/ VENIER (PDCI): CONDANNA TOTALE NEGAZIONISMO AHMADINEJAD

 

Legittimità Israele non da Olocausto, basta strumentalizzazioni

20-10-2006 15:07
Roma, 20 ott. (Apcom) - "Milioni di europei sono morti a causa dello scientifico sterminio che i nazisti scatenarono non solo contro gli ebrei ma allo stesso modo contro gli zingari, gli slavi, gli omosessuali, i comunisti. La più dura condanna di ogni sincero democratico deve essere rivolta verso chi pretende di negare un fatto storico spaventoso per giustificare i propri piani politici". Iacopo Venier, Responsabile Esteri del PdCI, commenta così le nuove dichiarazioni del presidente iraniano Ahmadinejad contro Israele.
"Il negazionismo storico del presidente iraniano Ahmedinejad è la risposta folle - prosegue l'esponente comunista - a chi pretende di giustificare ogni azione di Israele sulla base del ricordo dell'Olocausto ebraico. Bisogna interrompere immediatamente ogni strumentalizzazione di una storia drammatica. Quando Ahmedinejad nega l'Olocausto non attacca Israele ma offende tutti coloro che si sono battuti e sono spesso morti contro il nazismo e per la democrazia".
"Israele - osserva Venier - oggi non trova la propria legittimità dall'Olocausto ebraico ma dalla sua indiscussa ed indiscutibile presenza nella comunità internazionale che nessuno deve minacciare. Per contrastare sul serio le minacce ed le farneticazioni del Presidente Iraniano non bisogna scendere sul suo terreno ma battersi uniti - conclude - per la nascita dello Stato di Palestina accanto a quello di Israele.

Venerdì, 20 Ottobre, 2006 - 20:29

UNA VOCE SCOMODA, Silenzi COMODI

Anna amava moltissimo il suo Paese, per questo non poteva stare zitta. C'era chi non voleva sentirla, chi aveva paura di ascoltarla, chi non era in grado di reggere la pesantezza delle sue denunce. Ma per tanti costituiva un esempio di impegno e coraggio
Maddalena Parolin (Osservatorio sui Balcani - PeaceLink)
10 ottobre 2006
Ð?нна ПолитковÑ?каÑ?Non c'è nessuno in Russia in grado di sostituire il coraggio, l'esperienza, le capacità di Anna Politkovskaya. "Uccisa l'ultima voce libera", hanno commentato molti. "Morta l'ultima espressione della libertà di stampa". Ed ora gli attivisti per i diritti umani e tutti coloro che in vario modo cercano di approfondire l'intricata realtà della Russia sempre meno libera, e la sua politica nel Caucaso, si sentono colpiti duramente e privati di una voce diventata ormai un punto fermo, con la responsabilità di reagire e il timore per un avvenire sempre più difficile.

La Cecenia è il nodo che collega e ingigantisce tutti i mali che affliggono la Russia: arbitrio, corruzione, xenofobia, crisi economica, disagio sociale, degrado del sistema giudiziario e dell'esercito. Anna si è tuffata a fondo nel tentativo di fare chiarezza su quel nodo complesso e per anni ha rischiato la vita senza mai smettere di denunciare la "guerra sporca" e di parlare ai suoi cittadini, ai potenti, al mondo.

Il ruolo dell'informazione durante la prima guerra cecena era stato determinante per mobilitare l'opinione pubblica e giungere agli accordi che nel 1996 avevano messo fine ad una guerra impopolare. Il Cremino ha fatto tesoro della lezione e con la seconda campagna, dal 1999, ha efficacemente impedito in tutti i modi l'informazione libera nel Paese e soprattutto la documentazione delle violazioni dei diritti umani nella Repubblica Cecena. Anna iniziò ad occuparsi di Cecenia proprio quando farlo diventava ancora più rischioso e con gli anni la sua figura era diventata un punto di riferimento internazionale, non solo come giornalista ma anche come difensore dei diritti umani.

Se qualcosa del conflitto ceceno è trapelato, moltissimo è merito del suo lavoro, della sua professionalità e tenacia, e della sua passione per il suo popolo e per la libertà.

Anna amava moltissimo il suo Paese, per questo non poteva stare zitta. C'era chi non voleva sentirla, chi aveva paura di ascoltarla, chi non era in grado di reggere la pesantezza delle sue denunce, così contrastanti con la versione ufficiale del Cremlino e della televisione. E c'era chi la ammirava: per tanti costituiva un esempio di impegno e coraggio.

Ma forse Anna è stata uccisa anche dai colleghi che l'hanno lasciata sola a raccontare quello che anche loro avrebbero dovuto raccontare, quelli che hanno preferito diventare cronisti di corte e hanno abdicato alla loro dignità di giornalisti. Sembrava che il suo nome, la sua notorietà e il suo essere al di sopra delle parti e contro tutte le forme di violenza fossero in grado di proteggerla, e forse per molto tempo è stato così.

Anna è stata uccisa in pieno centro a Mosca, nell'androne di casa sua. Oggi più che mai la Cecenia non è solo un posto pericoloso in cui andare, ma anche e soprattutto un argomento pericoloso di cui scrivere o anche solo parlare, indipendentemente da dove ci si trovi.

Silenzio in patria e dall'estero espressioni di sdegno, anche dai tanti leader che si vantano dell'amicizia personale di Putin e portano la loro parte di responsabilità nel non aver mai affrontato la questione dei diritti umani in Russia, nell'aver lasciato che la Cecenia divenisse una "tragedia dimenticata". Quante persone dovranno morire prima che l'Europa passi all'azione dopo aver preso coscienza di quello che sta succedendo in Russia e in Cecenia?

Il mondo intero reclama a gran voce indagini chiarificatrici e accurate che svelino i colpevoli e le responsabilità. Ma per avere ottimismo in merito occorrerebbe negare l'evidenza, e dimenticare i depistaggi che hanno circondato gli attentati di Mosca dell'autunno '99, le omissioni che circondano i terribili eventi del Nord-Ost (il sequestro del teatro di Mosca) e le verità nascoste della tragedia di Beslan. E non c'è più Anna ad indagare con la sua tenacia, a dare voce ai testimoni, ai superstiti, ai parenti, a tutti i dimenticati dopo le tragedie che hanno sconvolto il mondo intero.

Anna è andata al cuore delle questioni, mostrando alla Russia e al mondo le tante drammatiche conseguenze del conflitto intricato, gli attori che ne traggono profitto così come le vittime, da entrambe le parti, documentando con rigore e professionalità ogni sua singola affermazione, ogni sua denuncia, ogni più piccolo avvenimento.

Ci ha insegnato i motivi per cui i diritti umani in Russia e specialmente in Cecenia dovrebbero preoccupare tutti noi.

Aveva dato voce alle madri dei soldati russi, all'abbandono, da parte dello stato che avevano servito, dei propri figli con terribili ferite fisiche e traumi psicologici, del loro divenire pericolosi per sé stessi e per la società, sbandati, alcolizzati, violenti. Aveva raccontato il degrado del sistema militare, i pestaggi, le violenze. Andando avanti nonostante l'odio e a volte le minacce dei militari a causa del suo lavoro in Cecenia.

Aveva dato voce ai ceceni, entrando clandestinamente nel Paese e spiegandoci che per far sentire parte della Federazione Russa un popolo stremato sin dalle deportazioni di Stalin degli anni '40, e ora decimato da un decennio di guerra, ci vuole ben altro che una costituzione scritta a Mosca, elezioni farsa in odore di brogli e signori della guerra che nascosti dietro alte cariche dello stato sguinzagliano bande armate irregolari che terrorizzano il Paese, lasciandolo in un clima di paura che terrorizza quanto le bombe.

La vita e gli scritti di Anna Politkovskaya dimostrano senza mezzi termini che l'umanitarismo militare in realtà è solo la faccia pulita del terrorismo di stato. "Terrorismo di stato contro terrorismo di gruppo", l'aveva definito.

Anna ha tentato fino alla fine di mettere questa drammatica realtà sotto gli occhi dei cittadini russi e dei potenti che li manipolano nascondendosi dietro la vuota retorica della guerra. Ora che manca una delle menti piu' lucide e coraggiose della Russia, il futuro della Federazione sembra ancora più buio.
Chiunque sia stato il vero mandante di questo omicidio a sangue freddo, la sparizione di questa voce scomoda è stata sicuramente un ottimo regalo di compleanno per Putin e per i suoi pretoriani in Cecenia. E far emergere la verità sulle vittime di tutti i terrorismi, di stato e di gruppo, senza di lei sarà ancora più difficile.

Maddalena Parolin

Venerdì, 20 Ottobre, 2006 - 16:49

TFR Un furturo da mendicanti

 

 

19 Ottobre 2006

Un futuro da mendicanti

mendicante_cieco.jpg

TFRsignifica Trattamento di Fine Rapporto. Sono i soldi che mettiamo da parte per la nostra vecchiaia. O in caso di perdita del lavoro. Un investimento per il futuro, per le emergenze. Un salvagente sempre più pesante, importante, ogni anno che passa.
Una cosa va chiarita: sono soldi nostri. Il datore di lavoro li tiene in banca per noi. Non appartengono allo Stato, non all’azienda, non alle banche. Se ci rompiamo le balle e ci licenziamo finiscono dritti dritti sul nostro conto corrente. Se vogliamo comprare casa possiamo chiederne una parte. Se ci vengono gli incubi di notte per l’Italia che si inabissa (con noi sopra) il TFR è un piccolo sollievo. Una brezza gentile che ci fa riprendere sonno.
L’Inps è ormai una vecchia baldracca che nessuno paga più. I soldi che le abbiamo dato, quando era più attraente di adesso (sempre un cesso, ma almeno più giovane) non li ha più. La dava, li dava, a tutti. Le pensioni si devono però pagare. Se non si pagassero in Italia ci sarebbe la Rivoluzione. Altro che Argentina. Cadrebbero, metaforicamente o meno, molte teste nei cesti. La valutazione del Governo di trasferire con destrezza il 50% del TFR all’Inps è un chiaro segnale al Paese: “Nessuno, se paga le tasse, è intoccabile”. Accompagnato da un’altro: “L’Inps è fallita”. E ancora da un altro: “Ciò che è dei cittadini è proprietà dello Stato”.
Tutti sanno che le aziende usano in parte il piccolo, o grande, capitale dei TFR dei dipendenti per finanziarsi. Non ci nascondiamo dietro a un dito: le banche finanziano Tronchetti o Benetton, ma non la media e piccola impresa. E a questa sarà sottratto il TFR. All’unica parte del Paese che produce ancora qualcosa. Ma non è meglio dichiarare bancarotta? Sarebbe più onesto. Un punto fermo e si riparte, invece di sprofondare in una palude quotidiana fatta di Cimoli che resiste (ma cosa resiste a fare?), di Tronchetti che si rafforza e di Benetton che vuole aumentare i pedaggi. Perchè questa, e non altro, è oggi l’economia dell’Italia.

 

http://www.beppegrillo.it 

Venerdì, 20 Ottobre, 2006 - 16:47

Liberare Gabriele Torsello....

 

 

 

L'immagine “http://www.abc.es/nacional/prensa/fotos/200610/19/NAC_INT_web_20.jpg” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.

 LIBERARE GABRIELE TORSELLO, LIBERARE L'AFGHANISTAN DALLA
GUERRA
[Gabriele Torsello, giornalista, fotografo e documentarista freelance,
collaboratore di movimenti umanitari, impegnato contro le violazioni
dei
diritti umani, e' stato rapito in Afghanistan sabato 14 ottobre 2006]

Che cessi il rapimento di Gabriele Torsello, che possa tornare subito
libero, sano e salvo.
Che cessi la guerra afgana.
Salvare occorre tante vite umane: ciascuno faccia la sua parte.

 

Venerdì, 20 Ottobre, 2006 - 12:21

Rompiamo il silenzio......chiudiamo i CPT

 

Sono ormai oltre 3 milioni gli uomini e le donne immigrati in Italia, di cui un quarto circa in Lombardia, arrivati per cercare un lavoro e un futuro migliore. Sono profughi di un sistema economico internazionale che ingabbia la maggior parte dell’umanità nella povertà, mentre consegna sempre più ricchezze a una ristretta minoranza.

L’Italia è già multietnica e la costruzione di una società multiculturale potrebbe essere una grande opportunità. Invece, le politiche sin qui praticate trattano i cittadini stranieri esclusivamente come un problema di ordine pubblico e come manodopera a basso costo e senza diritti. Così il 75% delle risorse pubbliche spese in Italia in materia di immigrazione sono destinate a misure repressive, mentre non esistono canali di regolarizzazione, se non l’attesa dell’ennesima sanatoria, dichiarata o mascherata. Il risultato non è certo la diminuzione dei flussi migratori, bensì l’allargamento della condizione di clandestinità, la diffusione di situazioni di abuso e sfruttamento e l’assenza di politiche di accoglienza e di diritti di cittadinanza. Una negazione di diritti che colpisce specificamente i cittadini stranieri, ma che provoca una progressiva erosione dei diritti e delle tutele per l’insieme della società italiana, a partire dai ceti popolari e dai lavoratori.

Simbolo e paradigma di questo approccio securitario e del doppio binario giuridico che ne consegue sono i cosiddetti Cpt, i centri di permanenza temporanea, dove cittadini stranieri non in regola con il permesso di soggiorno possono essere segregati fino a 60 giorni, senza aver commesso alcun reato e senza mai vedere alcun giudice ordinario. Sono delle vere e proprie carceri amministrative su base etnica, dove vigono delle regole che si collocano al di fuori dalla nostra Costituzione. A Milano ce n’è uno in via Corelli, nascosto alla vista della città dal ponte della tangenziale e da alti muri.

Dicono che i Cpt non sono carceri, chiamano i detenuti “ospiti” e affermano che sono strutture “necessarie” e che non c’è nulla da nascondere. Eppure, sono coperti da segretezza più di un supercarcere. Un’omertà istituzionale che fa sì che la stragrande maggioranza dei cittadini non sappia cosa siano, cosa vi accada e quanto costino.

Siamo convinti che strutture del genere non siano compatibili con i principi democratici e che vadano chiusi insieme alla stagione delle leggi repressive, cominciando con l’abrogazione della Bossi-Fini.

E siamo altrettanto convinti che occorre urgentemente porre fine all’omertà istituzionale, permettendo così ai cittadini di poter sapere. Ecco perché avevamo chiesto al Prefetto di Milano di rendere pubblici tutti i dati relativi al Cpt di via Corelli, ricevendo però un diniego totale di fonte ministeriale.

Riteniamo sia inaccettabile continuare a negare la trasparenza e pretendere poi di assumere decisioni politiche sulla base di una presunta “necessità”. Invitiamo quindi le organizzazioni sociali, i movimenti, le forze politiche, i cittadini e le cittadine a partecipare alla mobilitazione presso il Cpt di via Corelli.

 

SABATO 28 OTTOBRE - ORE 15.00

appuntamento in p.zza San Gerolamo (inzio cavalcavia Buccari)

MILANO

 

 

prime adesioni:

Arci Milano - Arciragazzi Milano - Bastaguerra Milano - Centro delle Culture - Comitato Intercomunale per la Pace del Magentino - Coordinamento Immigrati Bergamo - Coordinamento nord sud del mondo – Fiom Milano – Naga - Opera Nomadi Milano - Rivista Guerre&Pace – SinCobas - Giovani Comunisti Milano - Associazione Sinistra Rossoverde - Partito della Rifondazione Comunista Milano - Partito Umanista

Franco De Alessandri (segr. gen. Fillea-Cgil Lombardia) - Tommaso Vitale, Alberto Giasanti (Università di Milano Bicocca) - Andrea Membretti (Università di Pavia) - Bruno Cousin (dottorando in Sociologia)

 

info e adesioni: cittapertutti@yahoogroups.com

 

Giovedì, 19 Ottobre, 2006 - 17:10

Muhammad Yunus il nobel all ìnventore del microcredito

Muhammed Yunus
Muhammad Yunus, del Bangladesh, ha fondato il microcredito nel 1976
Solo pochi giorni fa lamentavo la disattenzione dei media verso Muhammad Yunus, e immediatamente dopo, quasi a rispondermi, la lieta notizia: a Yunus è stato conferito il Nobel per la Pace!
E’ arrivato tardi. Ma è arrivato.
Sugli eterni scontenti, sui puritani da salotto, non mi soffermo nemmeno. Quelli che scuotono il capo sull’inutilità dei premi, ma non muoverebbero un dito per aiutare il vicino di casa, continuino a rodersi dall’invidia per il distratto silenzio di cui è circondata la loro vuota esistenza.
Noi, invece, ci rallegriamo. Un premio è un semplice simbolo. Ma di simboli abbiamo anche bisogno, e quello di Yunus è fondamentale. Per molti motivi.
1) Yunus è un uomo in cui tutti vogliamo, dobbiamo riconoscerci. Che quell’uomo sia un musulmano, in un momento come l’attuale, non è cosa da poco. Se ha dimostrato che l’umanità trascende l’appartenenza religiosa, ha dimostrato, ancor più, che l’appartenenza religiosa ha potenziato la sua umanità. Ed è un’appartenenza religiosa islamica, che nessun folle kamikaze potrà mai annebbiare. Muhammad Yunus non è, infatti, un musulmano moderato. E’ un musulmano e basta. E noi avvertiamo, confusamente ma con certezza, che la verità, non soltanto la ragione (ma entrambe fuse insieme), stanno dalla sua parte. Il suo credo è universale come tutti gli altri credi.
2) Il suo credo non lo concepisce prete. Lo spinge a vivere nel mondo con intensità. Ma questo non gli ha impedito un autentico slancio missionario.
3) La conseguenza di questo “vivere nel mondo”, ai giorni nostri, nel suo caso si è coniugata addirittura col capitalismo. E questo è il terzo, ma più importante messaggio che Yunus ci lancia.
Solo gli ottusi e i clericali di ogni religione credono davvero che il male del nostro secolo è il “relativismo” e il libertinaggio sessuale. Il vero, profondo peccato del secolo è il Consumo. Per molti anni i credi organizzati hanno combattuto le dittature comuniste e l’ateismo di Stato, non accorgendosi - l’avrebbe confessato lo stesso Giovanni Paolo II - di un altro ateismo, più subdolo e strisciante, che ufficialmente non negava Dio, ma ne svuotava dal di dentro il significato profondo: quello, appunto, delle società consumistiche e capitalistiche.
Pier Paolo Pasolini, nell’incompiuto Petrolio, tratteggiava uno scenario apocalittico di un Medioevo prossimo venturo dove il Capitale aveva distrutto tutto, ogni valore, ogni istituzione, ogni uomo; significativamente uno dei suoi capitoli era intitolato Fine della Chiesa.
Davanti a questo mostro divoratore, nulla sembrava resistere. Solidarietà, dialogo, ricerca, mutuo aiuto, tutto scompariva di fronte all’onnipotenza di questo moderno Leviatano. L’uomo vale l’oggetto, è l’oggetto, teorizzavano i suoi apologhi. Dategli la soddisfazione materiale, e vedrete come vi benedirà in faccia. Homo homini lupus, noi tecnologizzati in fondo viviamo ancora nel Seicento. Il consumismo, nella sua stessa essenza, ha una visione estremamente pessimistica dell’essere umano.
Muhammad Yunus ha dimostrato che non è vero. Che si può essere uomini veri - non bestie né oggetti - non solo vivendo nella società dei consumi, ma operando in essa. In prima persona. E non nel solito modo appiccicoso, dolciastro, insopportabile dei tanti, troppi riccastri che pretendono di acquistare tutto, anche il Paradiso, con strombazzate “beneficenze” che hanno il solo scopo di mantenere lo status quo.
“L’assistenzialismo è dannoso - ha proclamato Yunus senza mezzi termini - perché costringe il povero a restare nel suo stato, ad accontentarsi della sua condizione. Un povero ‘assistito’ non sarà mai protagonista della sua vita”.
I teorici dell’uomo-lupo, i “realisti” e il loro antiumanesimo, sono rimasti sconfitti e scornati. E proprio in seno al loro pesante, fastoso mondo. Yunus ha dimostrato che l’oggetto non è l’uomo, ma che l’uomo può servirsi anche di quell’oggetto (nel nostro caso, il capitalismo) per fare il bene, quello vero. In che modo? Semplice: fidandosi dei propri simili.
E, quando si guarda il mondo con questi occhi, i nostri simili sono proprio tutti. E tutte. L’azione di Yunus verte principalmente sulle donne, “perché tra i poveri sono le più povere, perché sono le maggiori vittime dell’analfabetismo, della violenza, della miseria. Migliorando la salute delle donne, si contribuisce alla diffusione della pace e della democrazia.
Parole di un capitalista, maschio, musulmano. E le parole, si sa, restano. Le chiacchiere, invece, svaniscono in un assordante nulla.
Daniela T
Martedì, 17 Ottobre, 2006 - 16:29

intervista ad Amir su telelombardia


October 16th, 2006

Ciao a tutti, Martedì sera a Milano Amir è stato
invitato da una importante rete locale TELELOMBARDIA, a partecipare ad una
trasmissione in diretta (tipo talk-show), con politici dei due schieramenti,
sul tema della revisione della Bossi-Fini. Il programma inizia alle 20,00 e
finisce alle 23,00. Per chi ha il decoder Sky è visibile sul canale 901.
Sintonizzatevi!!  ciao

Lunedì, 16 Ottobre, 2006 - 18:42

La guerra di Anna

 L'immagine “http://us.news2.yimg.com/us.yimg.com/p/nm/20061008/2006_10_07t165838_450x368_us_russia_murder.jpg” non può essere visualizzata poiché contiene degli errori.

 

Giulietto Chiesa
Fonte: La Stampa (http://www.lastampa.it)
8 ottobre 2006
RICORDO quei tempi andati, di dieci, quindici anni fa, in cui la gente, a Mosca, contava i morti ammazzati nelle strade, non solo in quelle della capitale, nel pieno della lotta furibonda che i futuri oligarchi avevano ingaggiato tra di loro per dividersi le spoglie dello stato socialista sovietico appena suicidatosi. Si pensava - lo pensavano i democratici, che avevano applaudito la caduta - che sarebbe presto venuta la normalizzazione, che i lupi, una volta sfamatisi, si sarebbero calmati.

Si diceva e si scriveva, con pazienza, che dopo il sangue sarebbe venuta la legge, perché anche i nuovi padroni ne avrebbero avuto bisogno per godere finalmente dei beni acquisiti. La violenza avrebbe avuto una fine, prima o dopo.
L'assassinio di Anna Politkovskaja dice crudamente che il tempo della legge non è ancora arrivato a Mosca. E' ancora guerra per bande, sicuramente non del tutto nuove, che tornano a mandare i sicari negli androni dei palazzi moscoviti - se si tratta dei meno abbienti - o agl'incroci delle grandi vie d'uscita dalla città verso le dacie lussuose immerse nei boschi tutto attorno, vigilate da alte mura di cemento, da telecamere sempre accese, da guardie del corpo numerose e bene armate. E' toccato a un grande banchiere di stato poche settimane prima che alla giornalista Politkovskaja. Due assassini eccellenti, sicuramente diversi per movente e mandante, ma la logica è una sola. Le questioni irrisolte si regolano privatamente a colpi di piombo. Per un banchiere servono raffiche di mitra, e non poche. Per Anna sono bastati due colpi di pistola: il secondo a Mosca lo chiamano, in gergo tecnico, «kontrolnij», di controllo, per verificare che la vittima sia morta per davvero. Anna Politkovskaja è finita così, ieri, nell'ascensore della Via Lestnaja, in pieno centro di Mosca.
Lei non aveva partecipato alla divisione del malloppo statale. Lei aveva raccontato come «quelli», dopo essersi scannati tra di loro, avevano organizzato le guerre di Cecenia, per far credere ai russi che tutelavano i loro interessi, che volevano ripristinare la grandezza perduta del Paese. Ma dire la verità sulla Cecenia, andare laggiù - come lei fece tante volte - per raccontare come i diritti umani di un popolo venivano schiacciati, era pericoloso. A 48 anni, dopo essere stata cronista della perestrojka, e aver tifato per coloro che la perestrojka tradirono, l'aveva scampata più d'una volta. In Cecenia doveva arrivarci, negli ultimi anni, in segreto, per quanto possibile. I militari non gradivano quel tipo di testimoni non «embedded», che poi scrivono per giornali, come la «Novaja Gazeta», rimasti come un'isola di critica in un oceano di silenzio. I palazzi dei poteri, pubblici e privati, non gradiscono i ficcanaso che rovistano nei loro affari. Nei Paesi «civili», di regola i giornalisti scomodi li si ferma con l'uso improprio delle leggi. Il vantaggio, per chi ha voglia di dire la verità è che, se anche non ci riesce del tutto, almeno rimane vivo.
In Russia, vent'anni dopo Gorbaciov, i giornalisti li si ferma «spegnendoli», come avrebbe detto Niccolò Machiavelli, secondo il vecchio criterio staliniano, che un uomo morto è un problema chiuso. Aveva «offeso» molti, sicuramente troppi. Ma non è probabile che l'abbiano ammazzata per vendetta. Anna Politkovskaja stava forse inseguendo una traccia delle sue. Il suo libro sulla «Russia di Putin» le ha dato fama in Occidente e un sacco di guai in casa. La Cecenia l'ha raccontata meglio di chiunque altro. Aveva altre cose da dire. L'hanno tolta di mezzo prima ch
e le dicesse.

 

Lunedì, 16 Ottobre, 2006 - 12:58

Iran sospesa l'esecuzione di Kobra

  Kobra Rahmanpour Kobra Rahmanpour

13 ottobre 2006: l’esecuzione in Iran di Kobra Rahmanpour è stata sospesa, per consentire ai familiari della persona uccisa di decidere se perdonarla o meno, rende noto l’avvocato della ragazza, Abdolsamad Khorramshahi.
Kobra, 24 anni, è stata condannata a morte nel 2002 per l’omicidio della suocera, avvenuto due anni prima.
“L’Ayatollah Mahmoud Hashemi Shahroudi, massima autorità giudiziaria del paese, non ha firmato l’ordine di esecuzione”, ha detto l’avvocato, aggiungendo che si tratta della seconda sospensione.
Tuttavia – continua l’avvocato - se i familiari della vittima non concederanno il perdono, l’impiccagione sarà inevitabile.
“La solidarietà internazionale nei confronti di questa giovane donna ha giocato un ruolo essenziale nella decisione di Shahroudi, ma ora l’opinione pubblica internazionale deve rivolgere la propria attenzione ai familiari della persona uccisa, poiché loro possiedono le chiavi della cella di Kobra”.
“Prima di tutto – dice il legale - è necessario convincere le cognate di Kobra che quest’ultima non è il carnefice bensì la vittima, e persuaderle a concedere il perdono”.
L’avvocato è molto preoccupato per lo stato di salute della ragazza: “Non è stato facile trascorrere sei anni chiusa in cella in attesa dell’esecuzione. Ha seri problemi psichici, è molto depressa, e potrebbe peggiorare se non verrà liberata per tempo e restituita alla sua famiglia”.
A proposito dell’uccisione della suocera, Kobra afferma di avere agito per legittima difesa, essendo stata aggredita dalla donna con un coltello da cucina.
La ragazza sarebbe stata costretta a sposarsi dai propri genitori a causa della povertà della sua famiglia, e sarebbe stata in seguito vittima di violenze domestiche.

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