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.: Il Blog di Donatella Elvira Camatta
Sabato, 26 Agosto, 2006 - 09:42

La lezione di Natascha

 

 
Nell'ultimo mese sono assurti alla ribalta molti fatti di cronaca nera di cui sono rimaste vittime donne, ragazze o (in qualche caso) addirittura bambine. Donne, ragazze o bambine massacrate dai loro padri, mariti, fidanzati, fratelli, semplici conoscenti. Perché? Perché non erano buone musulmane, perché volevano vivere all'occidentale (e secondo lo stereotipo di certe mentalità ciò equivale a comportarsi né più né meno come prostitute), perché semplicemente esistevano.
 
Non si trova, infatti, un perché che non sia ascrivibile nella categoria giudiziaria del "futile motivo". Spesso, queste donne erano delle cosiddette "extracomunitarie", e com'era prevedibile s'è levata la salva di cori indignati contro la barbarie islamica, contro l'invasione dei clandestini che vogliono imporci il loro Medioevo, subito cavalcata, davanti alla consueta folla dei Talebani di casa nostra (i ciellini del Meeting di Rimini) dal cav. Silvio Berlusconi, già ribattezzato dal fondatore di Cl "l'uomo della Provvidenza", che ha tuonato per l'Italia "italiana e cattolica". Si sa che l'ecumenismo, per i ciellini, è una vera e propria iattura.
 
Violenza anti-femminile endemica, verrebbe pertanto da dire. Poi però aviene un altro episodio strano e crudele. Dopo otto interminabili anni di prigionia riesce a fuggire, ancora del tutto lucida e consapevole, certa Natascha Kampusch, bianca, austriaca e cattolica, rapita bambina da un altro bianco, austriaco e cattolico, Wolfgang Priklopil, vicino di casa, tranquillo, educato ecc. L'aveva prelevata quando la ragazza aveva appena dieci anni e l'aveva tenuta fino all'altro ieri in un sotterraneo, dove le portava da mangiare, le insegnava a leggere, le diceva di chiamarlo "padrone". "Volevo lei", ha confessato Priklopil il quale, una volta scoperto, ha avuto almeno la saggia idea di gettarsi sotto un treno.
 
In questo caso i soliti cori indignati sono pronti a gridare al maniaco, al pazzo, al pedofilo. In una parola, al "diverso". "Diversi" i musulmani che sgozzano le figlie, o che le costringono ad abortire (ma Chamila, il sagrestano che ha trucidato in chiesa - in chiesa! - la povera Elena Lonati, è cristiano, e "cristiano" è pure il giudice che ha scarcerato dopo un solo giorno lo stupratore di una ragazza chietina), "diverso" Priklopil, che però fino a pochi giorni fa tutti consideravano un vicino, se non modello, almeno tranquillo. Così la nostra coscienza è salva, il nostro oscuro senso di colpa tacitato, i nostri "valori" intatti.
 
In queste ricostruzioni, lo sappiamo benissimo tutti in verità, c'è qualcosa che stride. E quello stridere, ciò che resta della nostra anima, faremmo meglio ad ascoltarlo questa volta. Non che siano inesistenti i problemi d'integrazione di alcune frange di cittadini stranieri e di religione differente, non che non esistano i maniaci e i pedofili: nella civilissima Olanda essi hanno addirittura fondato un partito e pretenderebbero il diritto a esprimere la loro "inclinazione" sessuale! Ma, solo da questi elementi, ci rendiamo conto che i "diversi" sono un po' troppi. Non si tratta di un'esigua minoranza, come vogliamo credere. Possiamo ancora crogiolarci nella nostra illusione omicida (e suicida)?
 
E' proprio la vicenda di Natascha la più illuminante. Essa riesce a evadere da uno che si faceva chiamare "padrone". "Padrone": come gli schiavi neri dovevano chiamare i signori bianchi, come i mariti, fratelli, figli delle ragazze musulmane si comportano come queste ultime.
 
Padroni di un corpo, di un'esistenza. Si è sentito padrone del corpo dell'amica il ragazzo algerino che l'ha violentata, ma se ne è sentito padrone anche il giudice che l'ha assolto. Si sono sentiti padroni i giudici italiani che scagionano l'ennesimo stupratore perché la ragazza portava i jeans, si sono sentiti tali gli stessi giudici della Cassazione che hanno concesso la condizionale al patrigno pedofilo di una ragazzina, con la motivazione che quest'ultima, essendo stata avviata alla prostituzione e quindi "non vergine" al momento della violenza, aveva senza dubbio subìto un trauma minore. Il mito della verginità come massimo onore della donna è un'invenzione tipicamente maschile, l'ossessione di poter disporre della sua sessualità, di dettarle legge.
 
Si sono sentiti padroni di corpi i dirigenti Rai e le loro comparse che si offrono come sensali di... incontri fra starlet in cerca di gloria e potenti mandarini della comunicazione di quarant'anni più anziani. Si sentono padroni i pubblicitari che ogni giorno, dal momento che il femminismo "non va più di moda", sono tornati al mestiere preferito e comodo: esporre una certa quantità di carne femminile anche per reclamizzare un apriscatole. Si sentono padroni i proprietari di tv (soprattutto coloro che invocano l'"Italia cattolica e italiana") quando ammanniscono trasmissioni in cui le "femmine" vengono degradate a puro oggetto decorativo. Sono padroni certi alti prelati che, ringalluzziti dall'esito "positivo" del referendum sulla fecondazione assistita, colgono ora l'occasione per sferrare un attacco decisivo al movimento di liberazione femminile, l'unico in grado di insidiare il loro potere imperiale, casto e misogino.
 
Sono padroni i padroni della politica, che da anni sbarrano la strada alle donne in Parlamento, che solo nel 1996, nell'occidentale e civile Italia, hanno deciso (bontà loro) che la violenza sessuale è un reato contro la persona e non contro la morale e il buoncostume, com'era stato fino allora. Siamo padroni (e vittime) tutti noi, infine, che accettiamo questo stato di cose come normale e che anzi, non appena qualcuna parla di diritti delle donne viene irrisa, compatita, considerata una virago oppure una povera frustrata (per non dir peggio) che non ha trovato un cane che la volesse. Del nubilato di Rosy Bindi parlano tutti, con accenti che definire maligni è un complimento, del celibato (e dell'aspetto fisico) di Formigoni, nessuno.
 
Natascha che è sfuggita al suo "padrone" è sfuggita a tutto questo: a un sistema, e non a un semplice mostro, che ha le sue fondamenta nello sfruttamento e nell'umiliazione delle donne, della loro sensibilità e della loro intelligenza. A un sistema che, declinandosi come "neutro", si fonda in realtà su una visione esclusiva (ed escludente) soltanto maschile, dove per affermare che le donne sono esseri umani completi si deve giungere a tragedie come quelle sopra accennate.
 
Si spera che questa fuga di Natascha, certo reale, ma anche altamente simbolica, rappresenti il passo decisivo verso una liberazione delle catene, materiali e morali, in cui a tutt'oggi le donne versano. E non si spaventino se le sbeffeggeranno ancora, se le diranno che sono insoddisfatte, brutte, incarognite, lesbiche (non dimentichiamo l'eccelso Saia di An, che ha rivolto tale titolo - per lui offensivo - alla già nominata Bindi, con l'intento di umiliarla) e quant'altro. Quando il potere reagisce con violenza, significa che si sente aggredito. Del resto, al dolore le donne sono state abituate proprio dai loro "padroni": ma non è che a loro piaccia, come tanta letteratura diffusa dai "padroni" ama decantare. E proprio per questo fuggono. Natascha ha voluto "una stanza tutta per sé", non la gabbia preparata per lei dal suo "padrone", e dichiarando di volersi sposare in futuro ha dimostrato che quell'intelligenza e sensibilità che per millenni il potere padronale e maschile le aveva negato in quanto donna, è rimasta intatta, pura, vergine. E questa è l'unica verginità onorevole per ogni Natascha sulla Terra, e questa la più bella lezione per tutti quanti si considerino "padroni".
 
Daniela Tuscano

 

Venerdì, 25 Agosto, 2006 - 13:44

Incontriamoci ad Assisi 26 agosto 2006

 

 

E’ venuto il tempo di un impegno forte, autorevole e coraggioso dell’Italia e della comunità internazionale per mettere definitivamente fine alle guerre del Medio Oriente e costruire un ordine mondiale basato sul riconoscimento della dignità e degli uguali diritti di tutti i membri della famiglia umana.”

 

In nome dei diritti umani e della legalità internazionale gridiamo insieme“Fermatevi! 

 

Fermiamole!”

 

Incontriamoci ad Assisi

Manifestazione nazionale per la pace in Medio Oriente

"Gridiamo ancora più forte la nostra denuncia e il nostro progetto di pace"

Sabato 26 agosto 2006

 

Programma

Versione non definitiva

 
 
ore 10.00 In nome dei diritti umani… Assemblea di riflessione, confronto e proposta
 
Sede: La Cittadella di Assisi - Pro Civitate Christiana, via Ancajani 3
Cosa possiamo fare per mettere definitivamente fine alle guerre del Medio Oriente? In che modo possiamo noi italiani, europei, cittadini del mondo, popoli delle Nazioni Unite, dare una mano alla costruzione di una pace vera, giusta e duratura in quella regione così esplosiva?
 
ore 12.45 conclusione dell’Assemblea
 
ore 13.00 partenza del corteo dalla Cittadella di Assisi
 
ore 14.15 Arrivo del corteo in Piazza San Francesco
 
ore 14.30 Manifestazione conclusiva
 
ore 15.00 Conclusione della manifestazione
 
 

Vieni anche tu!

 
 
Per informazioni:
Tavola della Pace
via della viola 1 (06122) Perugia Tel. 075/5736890 - fax 075/5739337
 
Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani
via della Viola 1  (06122) Perugia tel. 075/5722479 - fax 075/5721234
 

 

Venerdì, 25 Agosto, 2006 - 12:58

Cosa deve fare l' Italia?

 

Impostare una politica internazionale fondata sulla costruzione della 
pace
con mezzi di pace, sull'accoglienza, sulla cooperazione: una politica
internazionale nonviolenta.
E' parte di questa politica fare passi di disarmo unilaterale, di
riconversione dell'industria armiera a produzioni civili, di contrasto
al
commercio delle armi; fare passi di progressiva smilitarizzazione della
politica della difesa, sostituendo sempre piu' lo strumento militare
con
forme di difesa popolare nonviolenta e corpi civili di pace; fare passi
di
sostegno ad ipotesi di creazione di uno strumento di polizia
internazionale
non militarizzato delle Nazioni Unite; fare passi di costruzione della
sicurezza comune attraverso una politica di incentivi positivi alle
scelte
di disarmo e di democrazia.
*
7. Cosa non deve fare l'Italia?
Non deve fare quello che l'attuale governo (come gia' quelli
precedenti) sta
sciaguratamente facendo: una politica internazionale fondata
sull'intervento
militare, una politica internazionale razzista e stragista nei
confronti dei
migranti, una politica internazionale di partecipazione alle guerre,
una
politica internazionale di potenza, di rapina e a suo modo colonialista
ed
imperialista e complice dell'imperialismo e del colonialismo.
*
8. Si e' di fronte a un'alternativa secca: o centrare la politica
internazionale di sicurezza comune su intervento nonviolenti e quindi
di
pace, o continuare con gli intervento militari e quindi di guerra.
Le due cose insieme non sono possibili.
Il risultato degli interventi militari di guerra e' sotto gli occhi di
tutti. Lo strumento militare e la scelta della guerra stanno portando
l'umanita' alla catastrofe.
Anche sulla base di un mero calcolo utilitario e' giunta l'ora della
scelta
della nonviolenza come principio-guida delle relazioni internazionali.
*
9. Occorre lottare perche' prevalga la scelta che salva le vite invece
di
esporne ancor piu' alla morte.
Occorre lottare per far prevalere la pace, ed essa puo' prevalere solo
attraverso il ripudio delle guerre, degli eserciti e delle armi.
I conflitti culturali vanno affrontati e gestiti sul piano culturale.
I conflitti politici vanno affrontati e gestiti con la negoziazione
politica.
I confliti militari vanno aboliti, trasferendoli sul piano della
politica,
del diritto e della cultura.
La cooperazione economica-ecologica e' lo strumento principe della
politica
internazionale.
I crimini vanno perseguiti con le polizie ed i tribunali.
A tutti gli esseri umani vanno riconosciuti tutti i diritti umani.
*
10. Chiediamo al parlamento italiano:
a) l'immediato completamento del ritiro del contingente militare
italiano
dalla guerra irachena;
b) l'immediata cessazione della partecipazione militare italiana alla
guerra
afgana;
c) l'abolizione di tutte le parti lesive dei diritti umani e del
dettato
costituzionale contenute nell'attuale legislazione italiana
sull'immigrazione, la denuncia e la rinegoziazione degli accordi di
Schengen, l'accoglienza dei migranti sulla base di quanto disposto
dall'art.
10 della Costituzione della Repubblica Italiana;
d) la scelta di rifiutare l'invio di un contingente militare italiano
nel
teatro di guerra libanese, ed anzi proporre all'Onu che l'unico
intervento
internazionale consista di aiuti umanitari ed interposizione non armata
e
nonviolenta.

 

Giovedì, 24 Agosto, 2006 - 17:25

CONFERENZA DI ROMA: UN’ALTRA OCCASIONE MANCATA

 

Dopo il sì al rifinanziamento della missione in Afghanistan, l’esito della conferenza di Roma sul Libano rappresenta una nuova prova di viltà e ipocrisia e l’ennesima occasione perduta per varare una politica internazionale in grado di rompere con le logiche di guerra finora seguite. L’Italia non è stata l’unica a chinare la testa davanti ai diktat degli Stati Uniti, sempre pronti a difendere il loro fedele alleato Israele. A rimangiarsi l’impegno per un cessate il fuoco immediato sono stati infatti anche l’ONU e praticamente tutti i paesi partecipanti alla conferenza. La Gran Bretagna di Blair come al solito si è accodata al potente padrone statunitense, salvo poi chiedere insieme a Bush una tregua tardiva.

L’ONU e la comunità internazionale non hanno neanche avuto il coraggio di condannare con fermezza il massacro dei 4 caschi blu uccisi a Khiam da un missile israeliano, limitandosi a una dichiarazione timida e fiacca.

Israele ha ringraziato per il via libera e proseguito gli spaventosi bombardamenti sul Libano e su Gaza, impiegando contro i civili armi chimiche proibite, devastanti cluster bombs e ordigni sconosciuti, che provocano ferite spaventose.

La richiesta di un cessate il fuoco immediato è più urgente che mai, ma ad essa vanno aggiunti il blocco della cooperazione militare tra Italia e Israele e un’indagine internazionale sull’uso delle armi israeliane, come chiesto da Alex Zanotelli.

La forza internazionale da mandare in Medio Oriente, infine, deve essere una missione ONU e comprendere, oltre al Libano, anche Gaza e la Cisgiordania, escludendo nel modo più assoluto l’invio di truppe della Nato.

 

 

Partito  Umanista 

 

Giovedì, 24 Agosto, 2006 - 17:23

Il vero volto della sinistra di guerra

 

Negli ultimi giorni abbiamo assistito al plateale tradimento delle promesse e degli impegni presi con i milioni di italiani che hanno votato la “sinistra” anche per farla finita con la sporca guerra, come diceva un manifesto elettorale.
Sui pochi (purtroppo) deputati e senatori che hanno osato anteporre la coerenza con le proprie scelte alla logica di fedeltà al governo sono piovuti insulti, minacce e ricatti di ogni tipo, con toni che andavano da un cupo richiamo all’ordine di sapore stalinista al compatimento sprezzante per le “anime belle” o i “gruppetti anacronistici”.

In realtà, la cosiddetta “sinistra radicale” avrebbe la forza e i numeri per imporre al resto della maggioranza scelte opposte a quelle ipocrite e guerrafondaie culminate nel sì al rifinanziamento della missione in Afghanistan (dopo aver votato no per otto volte sullo stesso argomento… ma quando era all’opposizione). Non averlo nemmeno tentato comporta una responsabilità enorme e una indegna falsificazione dei reali rapporti di forze.

La realtà è che non si vuole mettere in discussione non solo la missione in Afghanistan, ma anche e soprattutto l’asservimento agli Stati Uniti, alla Nato e alla loro politica criminale. Non si vogliono affrontare questioni di enorme importanza come il disarmo e la necessità di una politica estera basata sul ripudio della guerra come mezzo per risolvere i conflitti internazionali e sul riconoscimento della pace come diritto fondamentale di popoli e individui.

Il caso italiano dimostra ancora una volta che non saranno i governi da soli a imboccare questa strada. Tocca ai popoli, ai milioni di persone che in questi anni hanno manifestato contro la guerra e ogni tipo di violenza imporre una svolta a coloro che pretendono di decidere il destino di tutti.

 

Partito  Umanista 

Giovedì, 24 Agosto, 2006 - 16:14

Il 26 agosto ad Assisi per la pace in Medio Oriente - Portate un paio di scarpe in più!

 


 

 

Cari amici,
Vi rinnoviamo l'invito a partecipare il 26 agosto ad Assisi alla Manifestazione nazionale per la pace in Medio Oriente e Vi chiediamo di  portare con voi un paio di scarpe in più: saranno il simbolo di una delle tante vittime di questa inutile guerra di cui ci vogliamo fare carico. Le raccoglieremo tutte nella piazza di San Francesco dove invieremo un grande abbraccio di solidarietà a tutti coloro che non hanno smesso di piangere i loro cari.

La manifestazione di Assisi sarà la prima grande manifestazione per la pace in Medio Oriente da quando è stato accettato il cessate il fuoco. Il pericolo resta molto grande. Bisogna fare ogni sforzo per evitare che questa guerra possa tornare a scoppiare. Dobbiamo costruire un’alternativa politica alla guerra senza confini. Da Assisi partiranno proposte concrete.

Vi informiamo inoltre che domani, giovedi 24 agosto alle ore 23.00,  andrà in onda la trasmissione “Primo Piano”, approfondimento quotidiano del TG3,  in diretta da Assisi. 


In attesa di incontrarci ad Assisi, Vi ringraziamo per l'attenzione e Vi inviamo i nostri Cordiali saluti.

Flavio Lotti e Grazia Bellini

Coordinatori nazionali

Tavola della pace 


Perugia, 23 agosto 2006

 

Per adesioni e informazioni rivolgersi a:
Tavola della Pace, via della viola 1 (06100) Perugia Tel. 075/5736890 - fax 075/5739337 - e mail: segreteria@perlapace.it - www.tavoladellapace.it

 

Venerdì, 18 Agosto, 2006 - 07:55

Sabato 26 Agosto ad Assisi

 

Cari Amici, 
in vista della riunione delle Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato, che si svolgerà domani venerdì 18 agosto per discutere della partecipazione italiana alla missione di pace Onu in Libano, Vi inviamo il documento con cui la Tavola della pace e  il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace e i diritti umani delineano le caratteristiche del mandato, del comando, della composizione e dei principi che devono essere rispettati dalla Missione.

Vi ricordiamo, inoltre, che sabato 26 agosto p.v. ad Assisi si terrà la manifestazione nazionale per la pace in Medio Oriente. Per maggiori informazioni Vi invitiamo a visitare il nostro sito www.tavoladellapace.it

Vi ringraziamo per l'attenzione e Vi inviamo i nostri Cordiali saluti.


Flavio Lotti e Grazia Bellini

coordinatori nazionali 

tavola della pace 

Perugia, 17 agosto 2006

 

Martedì, 8 Agosto, 2006 - 09:35

Anne Penketh e Kim Sengupta, apparso sul giornale britannico "The

 

"Non voglio morire, voglio andare a scuola", dice Jamal, un bimbo 
libanese
di quattro anni terrorizzato dal bombardamento del suo paese. "Casa",
per
Jamal, e' ora un centro profughi nella citta' di Jezzine, nel sud del
Libano, dove la sua famiglia e' fuggita per salvarsi. "Il picnic
l'abbiamo
fatto, adesso vogliamo andare a casa", dice un altro bambino, nel campo
per
rifugiati sito nei giardini pubblici di Sanayeh, a Beirut. "Siamo
stanchi e
spaventati, vogliamo andare a casa", ribadisce un altro.
Queste sono le voci degli spossessati del Libano, le centinaia di
migliaia
di bambini il cui mondo e' cambiato per sempre nei pochi secondi che
seguono
l'esplosione di una bomba. "Mamma, cosa vuol dire massacro?", domanda
un
terzo piccino.
Sono circa 300.000 i bambini libanesi resi profughi alla terza
settimana
della guerra di Israele contro Hezbollah: si tratta di un terzo sul
totale
delle persone che hanno abbandonato le proprie case. In molti casi sono
stati i volantini israeliani ad ordinare loro di andarsene. Vivono ora
in
campi all'aria aperta, come quello del parco di Beirut, o nelle scuole
trasformate in rifugi. Numerosi bambini sono stati ospitati da famiglie
estranee; nel porto di Sidone, a 48 chilometri dalla capitale, questi
piccoli ospiti sono il 40% dei 22.700 bambini profughi arrivati sul
posto.
Il resto si trova nei centri di accoglienza.
Deborah Haines, una volontaria dell'ong "Save the Children" presente a
Sidone, dice che i bambini stanno soffrendo uno stress enorme: "Sebbene
alcuni possano ancora giocare all'aperto ci sono tutti i problemi
relativi
alla loro sicurezza. Molti sono sconvolti dall'essere lontani da cio'
che
era familiare, come i loro giocattoli. I genitori non hanno avuto il
tempo o
il modo di arrangiare le cose per i bambini". Parecchi dei bambini
profughi
presenti nei campi stanno agendo in modo aggressivo, si impegnano in
zuffe e
litigi, un segno della pressione che vivono e che si manifesta anche
nel
pianto continuo, nel bagnare il letto la notte e negli incubi. I
bambini che
sono ospitati da famiglie non stanno necessariamente meglio, dice
Haines:
"Ci sono tensioni, ovviamente: devono aver il tempo di abituarsi a
vivere
con degli estranei".
Rania al-Ameri, una psicologa per l'infanzia libanese che sta lavorando
con
i giovani profughi aggiunge: "Hanno disperatamente bisogno di aiuti,
perche'
sono quelli che stanno soffrendo di piu'. Molti hanno perduto oltre
alla
casa dei membri della famiglia. Sono profondamente traumatizzati".
Le scuole sono divenute la scelta piu' semplice per organizzare centri
per
via delle vacanze, che in Libano terminano il 15 settembre. Ma in
questi
luoghi l'acqua sta diventando di cattiva qualita', le docce, quando ci
sono,
sono superaffollate, e gli impianti igienici ormai intasati.
Oltre alle necessita' materiali di base, come i materassi, i bambini
hanno
bisogno di frutta fresca e di verdura per una nutrizione bilanciata. Ma
"In
alcuni campi di Tiro la gente ha bisogno di cibo e basta", dice il
volontario di "Save the Children" Jeremie Bodin, ìIl trauma ha
significato
che le donne che allattavano hanno perso il latte, percio' abbiamo
bisogno
di alimenti sostitutivi, e di pannolini, perche' ci sono infanti a cui
non
sono stati cambiati per giorni e giorni".
Emergendo dalla cantina, dove ha vissuto le ultime tre settimane, Ali,
di
nove anni, racconta: "Mio padre e mia madre sono andati con le mie
sorelle e
i miei fratelli in un'altra citta'. Hanno detto che vengono a prendermi
quando le bombe finiscono". Dopo l'ennesima esplosione nei paraggi ci
guarda
e dice: "Perche' Israele ci sta colpendo? Ci odiano? Mio cugino mi ha
detto
che le bombe nucleari sono grandissime. Sono grandi come questi
razzi?".

 

Martedì, 8 Agosto, 2006 - 09:09

Poesia.........Basta guerre

 

SI MAÑANA ME MATAN EN BAGDAD

Isaías Nobel
Buenos Aires, febrero 7, 2003

Señor Presidente de los Estados Unidos de América.
Señor Primer Ministro de la Gran Bretaña.
Señor Presidente de la República de Irak.
Y todos ustedes, cómplices de las siniestras sombras:

Si mañana me matan en Bagdad,
Si otra vez muero mañana en Tian-An-Men,
Si otra vez me asesinan en Chiapas, en Vietnam, en Hiroshima,
En Treblinka, en Dachau, en Buenos Aires,
Si nuevamente los Asirios, los Persas, los Romanos,
Los Católicos Reyes, los Nazis, Stalin y los Yankees,
Los Imperios del Mal encadenados,
Los que cortan cabezas y arrojan bombas de napalm
Sobre los niños,
Queman seres humanos para robar el oro de sus dientes,
Desde su abismo, sentados en su abismo
cancelan la vida de miles de millones .

Si mañana matan al niño de Bagdad, al anciano que repara el zapato,
A la mujer que canta mientras cura al enfermo,
A la niña que baila y es el pueblo,
Al hombre que en el alba prepara el pan de todos
Y agradece a su Dios.

Si mañana asesinan a todas las promesas
Que viven en la viviente vida,
En cada ser humano que busca completar
Su destino en la Tierra:

Yo, anónimo poeta de América del Sur,
El hijo de un pequeño judío, el padre
De mi propio Destino, un ser humano más,
Un humanista más junto a millones
De otros seres humanos
Les advierto y les digo:

Ya basta. Saldrán de la Historia y del planeta.
Sólo son el rostro del espanto, el abismo sin nombre,
lo protohumano son, nunca lo humano:
el porvenir que canta.

Ya basta. Ahora nosotros cancelamos las sombras.
No habrá más dioses, ni hombres, ni patrias, ni dinero
Asesinando al niño de Bagdad, al porvenir que canta.

Ya basta. Ahora nosotros llegamos del futuro,
Para traer desde el futuro un canto:
El poema del hombre
Que del abismo oscuro
Renace a la luz del Sentido,
del Sagrado Sentido de la existencia humana.

 

Lunedì, 7 Agosto, 2006 - 10:39

Lettera di Lele Fiano a "Liberazione"

Caro direttore,
morti, distruzioni, missili, guerra e pace in Medio Oriente, da dove
comincio?
Quale parte di me devo prima coinvolgere per offrire ai lettori
di "Liberazione"
un punto di vista che sicuramente risultera' avverso o provocatorio
per la
maggior parte di loro?
Comincio dalla testa, dalla razionalita', perche' non voglio che i
miei
sentimenti di ebreo comunque vicino a Israele e alla difesa della
sua esistenza,
e per di piu' parlamentare di sinistra e quindi esposto a possibili
critiche di
incoerenza con altri atteggiamenti nel mio schieramento, possano in
qualche modo
farmi scudo se pronuncio idee non condivise: vorrei che il confronto
fosse
razionale e non emotivo.
1) Israele, nella guerra in Libano, difende se stesso, i suoi
abitanti e il suo
territorio dall'aggressione di un nemico spietato, votato alla sua
distruzione,
emissario politico-militare del pan-sciismo iraniano di Ahmadinejad,
unico
leader mondiale vivente sinceramente antisemita, negazionista della
Shoah e
profeta della distruzione di Israele;
2) la mia opinione e' che Israele combatta una guerra anche per
l'Occidente che
- consapevole o no - incontra nel rischio-Iran, con la sua corsa
alle armi non
convenzionali, nel suo proporsi come leader di un movimento sciita
anti-occidentale, un rischio mortale di cui le milizie armate di
Hezbollah sono
l'avanguardia;
3) la questione "sproporzionale": la linea di politica estera del
governo Prodi,
si e' configurata in queste settimane, con coraggio e coerenza,
seguendo quattro
principi:
a) l'inizio della crisi Libano/Israele e' dovuta all'aggressione
Hezbollah;
b) Israele ha diritto di reagire e di difendere la sua sopravvivenza;
c) la reazione di Israele e' sproporzionata in rapporto alla
quantita' di vita
umane innocenti perse e alla distruzione di infrastrutture civili;
d) la reazione di Israele e i missili di Hezbollah devono ora
fermarsi per
permettere poi l'interposizione di una forza di pace internazionale.
Condivido i primi due punti. Sul terzo punto condivido lo sgomento
per i morti
civili di qualsiasi nazionalita' e per il peso distruttivo che la
struttura
civile del Libano ha dovuto sopportare. Il mio dolore per quei morti
e' sincero,
il mio cordoglio totale.
Resta tuttavia inevasa la domanda che ho rivolto da tempo: come si
combatte una
guerriglia armata fino ai denti, capace di colpire obiettivi civili
da grande
distanza, che non ha nessuna legittima rivendicazione territoriale
da avanzare?
Come si combatte chi spara missili mortali dall'interno di un
complesso
residenziale civile? Come si contrasta chi nasconde gli armamenti in
gallerie
situate sotto villaggi i cui accessi sono all'interno delle
abitazioni?
Certo, nessuno togliera' mai dai nostri occhi le immagini dei
bambini innocenti
morti a Cana, uccisi dal bombardamento israeliano, nessuno potra'
mai scusarsi
abbastanza, nessuno potra' giustificare, cosi' come nessuno dovrebbe
mai
sostenere inutilmente che esistono guerre chirurgiche, bombe
intelligenti o
tecnologie belliche non-invasive.
*
Qualche anno fa, nei bombardamenti della Nato sul Kosovo i morti
civili furono
centinaia e centinaia, come ben sanno i lettori di "Liberazione". Il
governo
italiano considero' quell'intervento legittimato da uno scopo
umanitario, che
anch'io condivisi: il che dimostra che vi sono casi in cui l'uso
della forza,
ancorche' devastante, puo' esser legittimato anche da governi di
centrosinistra.
Se si condivide quindi il diritto di Israele a reagire, rimane
aperta - non
retoricamente e con tutta la consapevolezza del dramma della perdita
di vite
umane innocenti - la domanda sul come si combatta la guerriglia che
si nasconde
tra i civili, o addirittura si fa scudo di essi.
Tuttavia questa domanda senza risposta non ridara' la vita a coloro
che muoiono
senza colpa in Libano, in Israele, in Palestina. Ma questa scia di
morte deve
finire.
A questo serve la politica.
*
Ma mentre mi e' chiaro perfettamente il finale che vorrei fosse
scritto quanto
prima per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese, e cioe'
la nascita
di uno stato palestinese in pace, accanto allo stato di Israele, con
confini
coincidenti con quelli precedenti all'occupazione del 1967, e quindi
con la
liberazione di quei territori da parte di Israele, non mi e' affatto
chiaro di
quale sia il quadro finale dell'eventuale processo politico che
dovesse prendere
il posto del conflitto tra Israele e
Hezbollah.
Vi sono domande su questo punto che non possono essere taciute:
l'Iran e la
Siria vogliono veramente un Medio Oriente pacificato? Non credo, ma
cio' non mi
impedisce di ritenere che vada perseguita comunque la strada di un
cessate il
fuoco con interposizione internazionale. L'unica soluzione che
riesco a
immaginare per il confine nord di Israele e' quella di una
separazione forzata,
con disarmo di Hezbollah. Detto questo pero' nessuno puo'
dimenticare l'altro
conflitto.
I palestinesi, le cui condizioni umanitarie, sociali, economiche,
nei Territori
sono drammatiche e non piu' sopportabili, sono disponibili una volta
per tutte,
con il governo di Hamas, a rifiutare il terrorismo e a riconoscere
Israele?
Israele e' disponibile a trattare con Hamas e Abu Mazen sulla base
di un mutuo
riconoscimento, sulla base di un percorso interrotto che prevedeva
territori in
cambio di pace, e oggi eventualmente di interposizione di forze
internazionali?
Tra Israele e palestinesi serve la riapertura di un tavolo politico
di
trattativa, tra Israele e Hezbollah serve il disarmo di Hezbollah e
poi la
separazione forzata.
*
Ho lasciato per ultimo il mio cuore: ma non lo dimentico, anche se
non pretendo
di esprimere opinioni dimostrabili. Il cuore mi dice che Israele fa
la guerra
perche' vuole la pace, Israele non ama la guerra, non ci sono feste
in Israele
per i 350.000 sfollati, per i 30.000 soldati al fronte, non ci sono
feste per i
bambini uccisi a Cana, a Tiro, a Beirut o a Gaza: e ovviamente non
ci sono feste
per i morti e i feriti di Haifa, Zfat o Kiriat Shmona. Gli
israeliani, quelli
con cui parlo io ogni giorno, che vivono al nord, che da settimane
vivono nei
rifugi, bombardati dai katiusha ogni giorno e non solo da quando e'
scoppiata la
guerra, che piangono la notte per i loro ragazzi al fronte, i miei
amici che
furono in piazza per fermare la guerra del 1982, che appoggiavano la
pace di
Rabin e Arafat, costoro che insieme a Amos Oz, a Avraham B.
Yehoshua, David
Grossmann, furono la frusta morale di quell'Israele che non capiva la
necessita', allora, di una trattativa con i palestinesi. Anche
quell'Israele e'
oggi con il governo dalla parte di una guerra per la sopravvivenza,
guerra
devastante per il Libano e per i libanesi, e' vero, guerra con
troppi morti
innocenti, morti per i quali il nostro cordoglio non va mai fatto
mancare, ma
guerra di sopravvivenza.
Io credo che israeliani e palestinesi vogliano in maggioranza la
pace e che ne
abbiano diritto. A questo diritto va data una risposta il piu'
rapidamente
possibile perche' il diritto non salvaguardato diventa rabbia, odio
e guerra.
Ma l'Occidente - anche quando legittimamente critichi certe scelte
del governo
israeliano - non deve isolare Israele e gli ebrei che nel mondo ne
difendono i
diritti. Gli ebrei non controbattano qualsiasi critica al governo di
Israele con
la controaccusa di antisemitismo.
Israele non dimentichi mai le parole di Rabin: "Continueremo il
processo di pace
come se i terroristi non esistessero; combatteremo i terroristi con
tutte le
nostre forze come se non esistesse il processo di pace".

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