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Lunedì, 15 Maggio, 2006 - 23:29

Più Welfare più lavoro

Ho ricevuto la mail di professionista di 57 anni rimasto senza lavoro da più di un anno. Le esperienze di “centro per l’impiego”, “sportello Milano lavoro”, “Guida pratica del Cittadino”, sono state deludenti. Mi chiede cosa si possa fare concretamente per lui, per uscire da questo imbuto di precarietà.

Questa è la mia risposta:

Caro Renato, la situazione in cui ti sei trovato è davvero ricorrente e sono in tanti a lamentare la difficoltà di riuscire a reinserirsi nel mercato del lavoro una volta perso un impiego. Come è difficile (anche io ne so qualche cosa) iniziare una carriera lavorativa con delle prospettive di stabilità,

in Italia è davvero un problema perdere lavoro (può sembrare strano, ma altrove non lo è), perchè è difficile trovare in fretta un’altrnativa valida. Ho incontrato lunedì scorso ad un dibattito i rappresentanti di Cgil e Uil. Hanno concordato con me che la legge biagi, in realtà non ha incrementato la precarietà. Sebbene si dica spesso in giro, la quantità di contratti a tempo determinato non è cresciuta negli ultimi 10 anni. Allora qual’è il problema? Che questa mancanza di stabilità, in Italia tende ad assomigliare a qualcosa di perenne: il posto fisso non arriva mai. I contratti, che per legge dovrebbero essere a progetto, vengono applicati illegalmente, con eterni rinnovi.

Cosa manca completamente e potrebbe riguardare te e il nostro comune? Manca il Welfare to Work, ossia la politica di spesa orientata ad aiutare chi si trova disoccupato nei periodi di transazione verso il nuovo lavoro. Oggi si spende 80% dei soldi in pensioni (spesso d’oro) e il resto in cassa integrazione. Si tratta di ridistribuire la spesa investendo di più nei Job Center (anche comunali), interconnessi con quelli di tutto il resto d’italia (e non solo) e mettendo un sacco di soldi nella formazione continua. Non serve dare sussidi alle aziende con dei problemi, per poi tenere a casa i lavoratori (con tutti i problemi anche psicologici che questo comporta), ma si dovrebbe pagare direttamente il disoccupato e proporre una rosa varia ma obbligata di lavori alternativi. I Job Center, che oggi lasciano il tempo che trovano, potrebbero essere anche privati, non è qui il problema, ma dovrebbero ricevere denaro pubblico SOLO in proporzione alle persono effettivamente ri-occupate.

Se ci fossero corsi, sussidi temporanei, uffici in rete perdere il lavoro non sarebbe la tragedia che purtroppo è oggi.

Ci vuole solo voglia di mettere le mani alle riforme necessarie. In qualche anno potremmo farcela. Sperò però che nel frattempo il tuo problema sia già risolto.

Se il tema ti interessa, io partecipo al gruppo Welfare to Work (www.welfaretowork.biz). In homepage sul sito hai la possibilità di scaricare l’audio del convegno sul welfare che ho organizzato e introdotto in Università Statale a Milano con ospiti illustri.

Spero di averti risposto in modo esauriente

L.

Lunedì, 15 Maggio, 2006 - 23:24

Registro Unioni di Fatto!

Sabato 13 sono intervenuto in rappresentanza dell'Associazione radicale Enzo Tortora al Congresso fondativo del Comitato Arcigay di Milano.

Non molta gente, ma determinazione nel portare avanti il progetto per un registro delle unioni di fatto in Comune e per uno Sportello antidiscriminazione.

Mi chiedo: il Registro, ci dicono, non sarà una priorità, ma ci rendiamo conto che si tratta di una riforma che non costa NULLA e che semplifica la vita di migliaia di persone, per la maggior parte nemmeno omosessuali?

Ci rendiamo conto che non si levano diritti a nessuno e che non si tocca la famiglia, ma che si concedono solamente più diritti e libertà a tutti?

Meno ipocrisia e più amore in politica, please!

 

Volantinaggio la sera al Borgo del Tempo Perso 

 

Congresso Arcigay Milano. La Rosa nel Pugno ospite ai lavori
- 13/05/2006 Sabato 13 e domenica 14 maggio si svolge all’hotel Mariott di Milano, in via Washington 66, il congresso fondativo del Comitato provinciale Arcigay di Milano. L’assemblea, promossa dal Centro di iniziativa Gay di Milano, è occasione di confronto tra i rappresentanti politici, le associazioni e i candidati in corsa per le prossime comunali e si concluderà domenica pomeriggio con l’elezione delle nuove cariche statutarie.
Partecipano ai lavori Marco Cappato, capolista della Rosa nel Pugno per le comunali di Milano, che interverrà domenica 14 in mattinata, Lorenzo Lipparini, Marco Mori, e Marco Alberio, candidati al Consiglio Comunale.

Lunedì, 15 Maggio, 2006 - 22:35

Milano: vecchi e nuovi milanesi

Milano è una città che si è sviluppata grazie a milioni di "migrati", dalle sue origini a oggi.
Persino S.Ambrogio era un migrante.

Il centro di Milano è pieno di edifici che ricordano Vienna, le strade hanno "prospettive" francesi, il dialetto meneghino risente ancora della presenza spagnola.

La rivoluzione industriale e il successivo sviluppo del città industriale si è concretizzata prima grazie a "milanesi" che parlavano solo rovigano e ferrarese e poi nel corso degli anni grazie all'arrivo di "milanesi" da tutte le regioni d'Italia. che mangiavano cibi diversi, avevano costumi diversi e parlavano dialetti incomprensibili.

Oggi Milano chiama ancora nuovi "milanesi".

Nuovi "milanesi" che parlano le diverse lingue del mondo, che cucinano cibi e hanno costumi diversi.

Milano chiama questi nuovi cittadini perché di notte facciano il pane, perché cucinino nei ristoranti e per sfornare le pizze, per pulire gli uffici e per riordinare le case, per "badare" ai nostri anziani e curare i nostri bambini.

Milano chiama nuovi "milanesi" per fare custodire gli stabili, perché servono operai nell'artigianato e nella piccola impresa.

Milano chiama nuovi "milanesi" per costruire se stessa ovvero per edificare la nuova Milano.

Molti di questi milanesi dopo anni di lavoro diventano "italiani" ai sensi di legge, molti pur regolari restano stranieri, ma vivono e soprattutto contribuiscono a far vivere Milano, altri diventano imprenditori, piccoli imprenditori certamente, ma con l'idea di progredire.

Migranti che pagano tributi e tasse, ovvero si comportano da "onesti milanesi" e diventano in alcuni casi più "milanesi" di alcuni "milanesi" di nascita.

Ecco allora che Milano deve riconoscere che pur di nazionalità diversa, essi sono di fatto "milanesi" e che essi, da "milanesi" debbono e possono concretamente contribuire allo sviluppo in tutti i sensi di Milano, diventa quindi un dovere civico, oltre che un diritto che essi trovino una dimensione anche civica.

Le politiche sociali della città devono quindi non solo tenere contro delle diverse comunità che compongono la nostra città, ma fornire quegli strumenti d'integrazione che rendano possibile il progresso di questa città. Un progresso che nel corso di tutti questi anni, si è fondata proprio su una espansione derivante dall'arrivo e dalla capacità di ricevere nuovi cittadini.

Cittadini che non fruiscono la città in modo passivo e meramente abitativo, ma che di giorno in giorno, contribuiscono alla sua crescita e al suo sviluppo, diventando così "milanesi", non solo per iscrizione anagrafica, ma per cultura e affinità.

Ma se le politiche sociali non comprenderanno ciò e punteranno al "pietismo" da una parte o alla "chiusura" dallaltra parte, si darà sponda solo a chi vuole una città suddivisa per razze, si farà gioco a chi non vuole che si formino "milanesi" come da secoli succede, ma che restino corpi estranei, avviando una inversione storica allo sviluppo di Milano.

Per questo sono fortemente convinto che chi lavora in questa città in modo regolare e onesto e contribuisce al suo sviluppo, a prescindere da dove esso sia nato e quale inflessione ha il suo parlare, deve poter essere parte della città.

Lunedì, 15 Maggio, 2006 - 16:28

3° punto: BONIFICARE QUARTIERI DEGRADATI

Ciao a tutti.
Il terzo punto del mio programma non credo abbia bisogno di particolari specificazioni.
E' noto a tutti che nella zona 5 esistono palazzi e aree occupate da extracomunitari senza lavoro e senza permesso di soggiorno, i quali si dedicano ad attività non lecite.
Spesso, infatti, oltre a creare sporcizia e disordini, arrecano disturbo ai cittadini con provocazioni di ogni genere.
Insisterò per lo sgombero di  questi palazzi e di queste aree fatiscenti, così da rivalutare i quartieri ed evitare che questi vivano in condizioni precarie e pericolose per se e per gli altri.
Non è giusto che i cittadini che vivono nei pressi di queste aree debbano aver paura, debbano subire queste provocazioni e debbano vedere la loro casa svalutarsi sempre più per la massiccia presenza di irregolari.

A presto
         Cristina Crupi

Lunedì, 15 Maggio, 2006 - 12:30

Dalla Milano da bere alla Milano da vivere

Uno dei miei ricordi più belli di questa città è quello che mi riporta ai primissimi anni ’70, quando, nonostante le note vicende politiche dell’epoca, la vita delle persone in genere, ma soprattutto di noi ragazzi, si svolgeva in strada. Eventi programmati e spontanei si susseguivano in modo vorticoso e la vita culturale di Milano era davvero effervescente. Un lungo periodo di programmazione televisiva mi è del tutto sconosciuto perché la mia generazione non vedeva la tv e usava pochissimo il telefono, spesso bloccato da lucchetti dai genitori. Ci si incontrava senza appuntamento in strada, al bar, al cinema, alle mostre, ai concerti…e le occasioni non mancavano mai. Milano oggi è un agglomerato di bunker e la vita sociale e collettiva è ridotta ai minimi termini.

Io credo che, senza alcuna forma di languore nostalgico che non provo, si debbano assolutamente creare di nuovo le condizioni per cui la gente torni ad uscire dai bunker  ed a vivere la strada e la città con gioia e leggerezza. Uscire di casa significa prima di tutto sottrarsi ad una somministrazione deformata e fleboclisica della realtà, significa ricevere stimoli, avere l’opportunità di misurarsi e confrontarsi, divertirsi, arrabbiarsi, indignarsi, conoscere e conoscersi, evolvere. Significa vivere e vivere bene!

Per questo mi batterei quotidianamente per ottenere a Milano una pianificazione di eventi ad ampio spettro contenutistico che offrano ogni giorno dell’anno opportunità di fruizione di mostre di calibro internazionale, spettacoli, rassegne di cinema, teatro, musicali, tematiche e plurietniche. Il Comune, in questo modo, potrà anche  ottenere ritorni economici da tali iniziative; è solo una questione di volontà, non di possibilità.

Raffaele Barki

Lunedì, 15 Maggio, 2006 - 12:23

Antisemitismo, nessuna ambiguità


“Antisemitismo” è espressione generica. Designa il razzismo verso gli ebrei ma, etimologicamente parlando, semiti sono anche gli arabi in quanto “discendenti di Sem” (uno dei figli di Noè il quale, secondo la Bibbia, si stanziò in quella zona oggi chiamata Medio Oriente).

Riguardo agli ebrei nello specifico, si dovrebbe parlare, più precisamente, di anti-giudaismo; in ogni caso, accettiamo la prima definizione, e non solo perché di uso comune. È infatti esistito per molto tempo, presso alcuni cattolici e nella stessa Chiesa, un accentuato anti-giudaismo, esecrabile sia di per sé, sia perché ha impedito ai cristiani una più convinta resistenza alla barbarie nazista; tuttavia esso conduceva la sua polemica da un punto di vista strettamente religioso (gli ebrei erano disprezzati come popolo “deicida” che si ostinava a non convertirsi al Vangelo) e gli era completamente estraneo il concetto di razza, termine, quest’ultimo, elaborato “scientificamente” in ambienti laici intrisi di Positivismo e Darwinismo sociale. Antisemitismo, quindi. Che assume mille forme e sembra rinascere dalle sue stesse ceneri. Per questo motivo è stata istituita la Giornata della Memoria che, a partire dal 2000, viene celebrata il 27 gennaio di ogni anno “per non dimenticare”.

Qualcuno, forse non proprio in buona fede, comincia a obiettare che l’appuntamento rischia di diventare una celebrazione retorica (detto per inciso, questo qualcuno non si sogna di criticare la parata delle Forze Armate che, da molti anni, esalta la retorica delle armi…); indubbiamente il rischio esiste, ma soltanto se consideriamo la Shoah un ricordo del passato, senza nessun legame con la situazione attuale. Sono pertanto fondamentali quelle iniziative che, in occasione della Giornata, non si limitano a parlare dello sterminio degli ebrei, ma rievocano persecuzioni che, pur perpetrate dai nazisti stessi, restano a tutt’oggi poco conosciute: quelle contro gli oppositori politici e religiosi, i disabili, gli “asociali” (chi sa dirmi cosa significhi questa parola, alzi la mano!), i polacchi, i Testimoni di Geova, gli zingari, gli omosessuali. Ci si accorgerà facilmente che molti di questi gruppi subiscono a tutt’oggi discriminazioni e violenze, spesso brutali. Ritengo comunque che non si debba mai perdere di vista la specificità ebraica, o si corre il serio pericolo di non comprendere il significato profondo dell’Olocausto. Dagli ebrei il razzismo ha sempre fatto discendere tutto il male del mondo e gli ebrei sono stati considerati indegni di esistere non per loro comportamenti o convinzioni, ma per il fatto stesso d’esser nati. In altre parole: è incontestabile che l’antisemita odi pure gli arabi come gli africani, gli indiani, i cinesi e, in genere, tutti i popoli “non ariani”, così come le “categorie” di cui sopra; ma è altrettanto incontestabile che, al vertice della sua piramide di odio stiano sempre e solo gli ebrei, summa di tutte le “devianze” appena ricordate.

Dimenticando l’unicità ebraica e le sue motivazioni storico-psicologiche, si può giungere ad affermare che gli ebrei sono stati perseguitati come altri diversi, presenti e passati (streghe, eretici…); che, pertanto, la loro sciagura è stata, per dir così, “normale”, pur se condannabile. È la posizione speculare a quella dei cosiddetti storici revisionisti, che negano la Shoah affermando che i campi di concentramento sono sempre esistiti in tutte le guerre. Si tratta di nazisti camuffati alla meno peggio, che mentono sapendo di mentire; ma sta prendendo piede, subdolamente, un’altra forma di antisemitismo che, pur mossa da intenti apparentemente “nobili”, lambisce proprio alcuni ambienti che, per la loro storia e i loro valori, dovrebbero costituire l’opposto di ogni discriminazione: mi riferisco al giudizio su Israele espresso da certe frange progressiste, e ripenso agli incresciosi episodi del recentissimo passato, dall’incendio di bandiere israeliane da parte di alcuni autonomi alla vignetta di “Liberazione” del 13 maggio 2006, che ha provocato una giusta indignazione presso gli ebrei italiani.

In esse sopravvive, talora si manifesta con violenza, un terzo-mondismo mitico, di matrice post-sessantottesca, che vede nei popoli del Medio Oriente, segnatamente in quello palestinese, i simboli dei popoli oppressi, dei perseguitati per la loro diversità proprio come lo furono gli ebrei di un tempo, mentre gli israeliani di oggi sono visti come spietati colonizzatori, capitalisti, teste d’ariete degli interessi statunitensi nell’area. E ciò è stato spesso vero, lo è ancora oggi; gli è che dalla condanna del comportamento sciagurato di certi governanti israeliani taluni passano alla condanna di Israele nel suo complesso, e automaticamente alla condanna di buona parte degli ebrei del mondo, se non altro perché, a differenza di anni fa, oggi questi ultimi sostengono il sionismo. Anzi il sionismo, il movimento fondato alla fine dell’Ottocento dall’ungherese Theodor Herzl, viene considerato tout court un fascismo teocratico, dimenticando che esso nacque come reazione di difesa alla montante marea anti-ebraica che stava dilagando in Europa. Certo le parole di Herzl verso gli arabi – specie se decontestualizzate – sono oggi del tutto inaccettabili, come inaccettabile è stato l’abuso che alcuni dirigenti israeliani ne hanno fatto per giustificare le occupazioni e gli eccidi del ’67,’82 e 2000, tanto per citare gli episodi più gravi. Ma sostenere, come da più parti “di sinistra” si tende a fare, che gli ebrei in Palestina sono stati colonizzatori al pari dei Francesi in Algeria o degli Inglesi in India è un’idiozia colossale.

Perché, se i crimini dei governanti vanno stigmatizzati (tenendo anche presente la pressione sotto cui da quelle parti costantemente si vive), non si può nemmeno tacere sulle sofferenze che i governi arabi hanno imposto ai loro concittadini ebrei prima della costruzione d’Israele; che molti (anche in ambito non arabo, ma fondamentalista: si pensi a Khomeini) negli anni Quaranta erano filo-tedeschi, compreso il Gran Muftì di Gerusalemme amico personale di Mussolini; che hanno risposto con la guerra e il terrorismo a ripetute profferte di coabitazione pacifica (anni 1946-47); che Sadat ha pagato con la vita la sua rinuncia alla guerra con Israele; che l’odio contro il nemico “sionista” è insegnato in tutte le scuole arabe, e non solo religiose; che il “laico” Arafat, fino a metà degli anni ’80, si pronunciava per la distruzione dello Stato ebraico e che ha appoggiato Saddam nella prima Guerra del Golfo…

È storia poco nota, ed è comprensibile la reticenza di questi progressisti a parlarne perché, oggi, le popolazioni arabe sono a loro volta esposte a una sistematica campagna di odio e diffamazione da parte di Bush e paesi satelliti. Gli umanista sempre si sono pronunciati per una soluzione del conflitto israelo-palestinese che tenesse conto degli interessi di entrambi i popoli e sempre hanno dato risalto alle iniziative di pace nate in ambienti non solo europei, ma anche e soprattutto autoctoni. Chi scrive è personalmente solidale anche con il popolo palestinese, che giustamente invoca da anni uno Stato suo. Ma l’onestà intellettuale m’impedisce il silenzio davanti a banalizzazioni che, se poi provengono dai circoli più vivi e pulsanti del paese, rischiano di ottundere persino le coscienze più sensibili.

Daniela Tuscano

Lunedì, 15 Maggio, 2006 - 10:01

Lista candidati consiglieri comunali Pensioni & Lavoro

Ecco a voi i nominativi dei canditati consiglieri comunali della ns. lista!!!!!!

Contattateci!!!!

Inviateci i messaggi

Lunedì, 15 Maggio, 2006 - 00:58

la farsa dei parcheggi

ora il candidato sindaco del centrodestra, Letizia Moratti, dice che bloccherà i parcheggi sotterranei. quello che Albertini, come lei di Forza Italia, ha fatto e deciso fino a l'altro ieri. ma non dice cosa blocca: perchè in realtà i due sono d'accordo: Albertini ha dato già incarichi, firmato contratti ... in barba alle piazze, agli alberi, i residenti che non li volevano. Dica allora che non si faranno più i parcheggi a rotazione (che attirano solo traffico) della Darsena, di S. Ambrogio, delle Cinque Vie. Altrimenti è una farsa elettorale. L'Ulivo e il centrosinistra è stato, ed è, contro i parcheggi a rotazione o sotto le aree alberate, o i luoghi storici. I parcheggi che servono, rispettando le piazze e i giardini, sono quelli per i residenti. 

Domenica, 14 Maggio, 2006 - 16:11

BASTA CON LA VIOLENZA

Ogni 2 giorni un omicidio in famiglia.
710 gli omicidi volontari commessi in Italia nel 2004 secondo il rapporto Eures Ansa. Un numero che colloca l'Italia al 7° posto in Europa.
200 i delitti commessi in un anno dalla malavita organizzata
187 i delitti commessi nell'ambito familiare: in 7 casi su 10 la vittima è una donna e in 8 casi su 10 l'autore è un uomo
72 familiari uccisi sono coniugi o conviventi;
43 omicidi, pari al 23% di quelli in famiglia, sono causati da un movente passionale.
questi dati fanno davvero rabbrividire, siamo ancora sconvolti per i recenti fatti di cronaca. vogliamo pensare che è ora di finirla di consiederare le DONNE E I BAMBINI categorie Deboli?
questo pensiero li rende sempre più deboli e più indifesi.
le donne sono individui e come tali devono essere considerati,
non un anello debole di un sistema frustrante che serve per dare sfogo alla rivendicazione di un  ruolo di potere.
pensiamo alle famiglie nel senso più laico e allargato del termine e cominciamo da lì a rivedere quei processi che vedono donne e bambini vittime di antiche  e nascoste violenze, celate dal luogo sacro della "famiglia" dove spesso il silenzio e l'omertà spadroneggiano insieme a chi perpetua comportamenti  violenti.
non è necessario arrivare all'omicidio per denunciare  situazioni di miseria umana.
tutti i giorni le donne sono vittime di striscianti  comportamenti che precedono il sopruso e la violenza. in famiglia e nei luoghi di lavoro
si esercitano  quei rapporti di forza che per ragioni storiche relegano a CATEGORIE LE DONNE.
SPEZZIAMO QUESTA CATENA   e pensiamo a cambiare questi processi sociali dalla famiglia. mi piace l'idea di diffondere il concetto di FAMIGLIA DEMOCRATICA, luogo di incontro e di rispetto, di scontro  e di convergenza.
lavoriamo per recuperare la dignità degli individui UOMINI E DONNE, lavoriamo per il riconoscimento della parità tra uomini e donne che non significa EMANCIPAZIONE ma stessi diritti, stessi trattamenti  e stesso rispetto e attenzione reciproca.

Domenica, 14 Maggio, 2006 - 12:18

Alberi e parcheggi, la Moratti arriva in ritardo

Letizia Moratti s'inalbera.
Questo il titolo scelto da "Il Giornale" per far la cronaca dell'incontro della candidata della CdL con i comitati di quartiere che difendono il verde pubblico e non sono così entusiasti di vederlo sacrificato a favore di un piano parcheggi non sempre condiviso dalla cittadinanza.

«Mi sono vergognata per le piante tagliate», ha detto Letizia. E ha promesso discontinuità, chiedendo (a due settimane dal voto) che siano bloccati i lavori di tutti i parcheggi sotterranei. Ricevendo, naturalmente, il plauso delle associazioni ambientaliste.

Occorre però evidenziare che i partiti della coalizione della Moratti sono i medesimi che hanno appoggiato, negli ultimi nove anni, la politica dei parcheggi promossa da Albertini con la collaborazione del professor Goggi. Ci si chiede da un lato che credibilità ci sia in dichiarazioni simili, dall'altro come faccia la Moratti a pensare che Forza Italia e Alleanza Nazionale si assumeranno la responsabilità di cambiare opinione a 360 gradi.

Ma occorre soprattutto dire che c'è un'altra destra. Una destra (liberale) che quel piano di parcheggi lo contesta da sempre, così come contesta l'idea di estirpare alberi anche in piazze molto belle per fare parcheggi che la cittadinanza non vuole.

I Liberali per l'Italia in questo senso la pensano così da sempre.

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