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Il Blog di Alessandro Rizzo | www.partecipaMi.it
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Sabato, 29 Marzo, 2008 - 15:03

Regolamento sulle attività e iniziative dell'area Navigli

Approvata a maggioranza dal Consiglio di Zona 6 - nella seduta del 29 marzo 2008 - la proposta per il regolamento delle attività e iniziative dell'area Navigli.

Sabato, 29 Marzo, 2008 - 14:55

Indirizzi e proposte per il regolamento sulle attività e iniziati

Approvata a maggioranza dal Consiglio di Zona 6 - nella seduta del 29 marzo 2008 - la proposta di delibera avente oggetto:"Indirizzi e proposte per il regolamento sulle attività e iniziative dell'area Navigli".

Nella stessa seduta sono state approvate - sempre a maggioranza - 3 mozioni :

1) Problematiche Quartiere Navigli, nella quale si chiede che venga istituito un Coordinamento tra le zona 1,5 e 6 e sia monitorata dalle FF.OO la situazione dei Navigli;

2) Alfine di stabilire i criteri, i limiti e i requisiti dell'isola pedonale estiva, venga istituito un tavolo che veda la presenza anche dei rappresentanti dei cittadini al fine di trovare punti di intesa tra le esigenze dei residenti e quelle dei commercianti; 

3) Esatte sui navigli stop dal 2008; si chiede che l'Estate sui Navigli non possa essere più svolta, a partire da quest'anno, con le regole attuali ma con  quelle dettate dal "Regolamento attività e iniziative sull'Area Navigli, approvato dal Consiglio di Zona 6. Che la durata dell'Estate sui Navigli sia di tre mesi e non di 5 come da proposta di Giunta Comunale. 

Giovedì, 27 Marzo, 2008 - 13:26

Asili e immigrati, interrogazione all’Ue

Asili e immigrati, interrogazione all’Ue

Trentuno eurodeputati scrivono alla Commissione

da Corriere on line dell’11 gennaio 2008

Con un’interrogazione inviata alla Commissione europea, 31 eurodeputati tornano sul caso dell’ordinanza del Comune di Milano che nega l’iscrizione agli asili per i bambini figli di immigrati senza regolare permesso di soggiorno. I deputati europei (tra i quali Vittorio Agnoletto, Giulietto Chiesa, Lilli Gruber, Luciana Sbarbati, Giovanni Berlinguer) chiedono all’esecutivo europeo di verificare se la nuova circolare non violi le disposizioni della Dichiarazione dei diritti fondamentali dell’Unione europea e della Convenzione Onu per l’infanzia - per cui gli «interessi superiori del bambino sono considerati preminenti» in ogni atto compiuto da autorità pubblica - e anche se non sia in contrasto con il diritto fondamentale all’istruzione. DE CORATO-FIORONI - Intanto, dopo la «diffida» di Fioroni, è il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, a rispondere al ministro: «Esamineremo la diffida inviataci dal ministro Fioroni, ma gli chiediamo di rispondere lui a un quesito: può un pubblico ufficiale violare una legge dello Stato italiano? Oggi lo Stato italiano prevede per i clandestini la denuncia e l’espulsione dal territorio: questa è la legge Bossi-Fini». Immediata la risposta di Fioroni: «I dirigenti scolastici non sono tenuti a denunciare i figli di immigrati clandestini iscritti nelle loro scuole» ha spiegato il ministro. «La legge è molto chiara - ha aggiunto - e mi riferisco alla direttiva Moratti-Moioli». Il ministro ha poi assicurato che «non c’è alcun braccio di ferro tra me e il sindaco Moratti», e che il suo compito è quello di «fare rispettare la Costituzione e le leggi, che sanciscono chiaramente i diritti dei figli degli indigenti e dei clandestini». «SAVE THE CHILDREN» - Sul tema interviene anche «Save The Children». «La decisione del Comune di Milano di vietare l’iscrizione alla materna di bambini figli di immigrati irregolari è in contrasto con la convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza» afferma l’organizzazione internazionale. Nel ribadire che «il diritto all’istruzione va garantito a tutti i bambini a prescindere dallo status sociale o giuridico», viene giudicato «corretto e condivisibile» l’intervento del ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, che ha dato al Comune di Milano dieci giorni di tempo per revocare la circolare e tornare sulle sue decisioni». «Save the Children» ricorda poi che «il diritto all’educazione per ogni bambino è inoltre sancito nel Dpr 394 del 1999, ai sensi del quale tutti i minori presenti sul territorio nazionale hanno diritto all’istruzione indipendentemente dalla regolarità della loro posizione di soggiorno».
Giovedì, 27 Marzo, 2008 - 13:17

Agnoletto:Tibet agli affari dell'Occidente non servono i diritti

Tibet, agli affari dell'Occidente non servono i diritti umani


27 marzo, 2008
Il manifesto, 'l'intervento'
«Boicottare le Olimpiadi di Pechino 2008 è un po’ come boicottare noi stessi», è questo il pensiero che sembra attraversare le menti dei grandi (e aspiranti grandi) della terra, dal presidente George W. Bush al candidato premier italiano Walter Veltroni, che in questi giorni di cronaca feroce dal Tibet si sono ben guardati dall’affondare le critiche a Pechino. E le ragioni dal loro punto di vista ci sono tutte, se si considera che il valore degli scambi commerciali tra Stati Uniti e Unione Europea da una parte e Cina dall' altra ammonta a 257 miliardi di dollari, che l' ammontare delle riserve valutarie cinesi ha superato per la prima volta la fatidica soglia dei 1.000 miliardi di dollari e che, per quanto riguarda il nostro Paese, ci sono 1.500 aziende italiane che operano in joint venture su territorio cinese.

Numeri pesanti, da tenere ben presenti, soprattutto alla vigilia di una recessione Usa che significherebbe una recessione generalizzata mondiale e quindi la prima vera crisi strutturale dagli anni ’70 ad oggi. Meglio quindi scommettere sulla Cina come ancora di salvataggio dell’economia mondiale, e tollerarne la sistematica violazione dei diritti fondamentali, piuttosto che rimettere in discussione le fondamenta sui cui poggia il capitalismo del XXI secolo e di cui Pechino è il nuovo campione designato.

Un capitalismo che il regime di Hu Jintao e Wen Jiabao sta applicando fedelmente in Tibet, convinti (erroneamente!) dell’idea che anni di rapida crescita economica avrebbero smorzato le istanze separatiste. Ma così non è stato e, nonostante l’economia tibetana abbia superato il tasso di crescita medio della Repubblica Popolare - grazie a generosi finanziamenti da Pechino, alla nuova linea ferroviaria Pechino-Lhasa e al milione di turisti che ogni anno si recano in Tibet -  il processo di “modernizzazone” della regione ha dato l’esito opposto. Perché? In primo luogo perché i cinesi non si sono mai preoccupati di chiedere ai tibetani quale modello di crescita economica essi auspicavano. In secondo luogo perché favorendo le aree urbane a scapito di quelle rurali, lo sviluppo secondo il modello cinese non può che esacerbare la sperequazione dei redditi e mettere a repentaglio le tradizioni e gli stili di vita delle popolazioni locali.

L’urbanizzazione forzata e lo sfollamento delle campagne per fare spazio alle mega-infrastrutture e al carico di speculazioni che si portano dietro vanno di pari passo con le reiterate denunce da parte di Amnesty International e che riguardano:

il giro di vite del governo contro avvocati e attivisti per i diritti  umani che sono stati soggetti a lunghi periodi di detenzione arbitraria senza accusa, nonché a vessazioni da parte della polizia o di bande locali manifestamente tollerate dalla polizia;
l’inasprimento dei controlli su giornalisti, scrittori e utenti di Internet con numerosi quotidiani e giornali popolari chiusi e centinaia di siti web internazionali bloccati d’autorità;
la pena di morte che continua a essere applicata in modo esteso per punire anche reati di tipo economico e non violento;
l’assenza di qualsiasi  progresso nella riforma del sistema della “rieducazione attraverso il lavoro”, un sistema di detenzione amministrativa senza accusa né processo.

Al Parlamento europeo la difesa di questi diritti non é iniziata e non finirà con le olimpiadi. Ricordo ad esempio come recentemente proprio a Strasburgo abbiamo respinto la proposta delle destre e dei conservatori di cancellare l'embargo sulla vendita delle armi alla Cina. Allora, come oggi, dietro quella richiesta vi era l'obiettivo non dichiarato di molti governi europei di non compromettere i propri affari con Pechino. Lo stesso motivo che due settimane fa ha spinto il Dipartimento di Stato americano a depennare la Cina dalla "black list" dei paesi colpevoli delle maggiori violazioni dei diritti umani nel mondo.

Boicottare le olimpiadi avrebbe senso solo se l'occidente fosse realmente disposto a mettere al primo posto nelle relazioni internazionali, e in particolare negli accordi commerciali, il rispetto dei diritti umani e relegare in secondo piano i profitti senza limite delle imprese transnazionali. Il caso Tibet e il caso Cina più in generale offrono in tal senso un'occasione imperdibile per riflettere sulle cause dell'imminente fallimento della globalizzazione liberista e prima la faremo questa analisi (come nazioni ricche), prima inizieremo la risalita e l’uscita dal tunnel in cui il capitalismo selvaggio degli ultimi vent’anni ci ha costretto. Citando un famoso film di Matthew Kassovitz, l’Odio (film culto sulle banlieus parigine), mentre i nostri governanti osservando un uomo che precipita dall’ultimo piano di un grattacielo si ripetono il mantra: «fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene», noi come movimento dovremo ricordargli sempre che: «l’importante non è la caduta ma l’atterraggio».

Vittorio Agnoletto, europarlamentare gruppo Gue - Sinistra unitaria europea

Giovedì, 27 Marzo, 2008 - 13:02

Armi: Convegno a Roma il 28 marzo

Armi: Convegno a Roma il 28 marzo
  
"Un'alleanza per un mondo più sicuro",
titolo del convegno che si terrà a Roma
il 28 marzo prossimo, presso l'Università Popolare UPTER - Palazzo Englefield -
Sala 42 in Via IV Novembre 157
  
Il “Forum provinciale per la Pace, i Diritti umani e la Solidarietà
internazionale” di Roma organizza la conferenza “Un'alleanza per un mondo più
sicuro. Globalizzazione e controllo delle armi”. L'iniziativa si inserisce nel
quadro delle iniziative che le organizzazioni della società civile nazionale ed
internazionale stanno conducendo per migliorare i controlli sulla
proliferazione incontrollata di armi. Negli ultimi anni, infatti, sono state
organizzate una serie di campagne e di azioni, tra cui la fotopetizione
mondiale Million Faces della campagna Control Arms a sostegno dell'iniziativa
di un trattato internazionale sul commercio di armi e di controlli rigorosi a
livello nazionale.
A livello internazionale, le Nazioni Unite hanno approvato l'avvio di un iter
per la stesura di un Trattato internazionale sul commercio delle armi,
destinato a impedire i trasferimenti di armi che alimentano conflitti, povertà
e gravi violazioni dei diritti umani. Si tratta di uno strumento
internazionale, legalmente vincolante, che istituisce standard internazionali
comuni per l'esportazione, l'importazione e il trasferimento di armi
convenzionali.
Recentemente, è stato costituito un gruppo di esperti governativi, di cui
l'Italia fa parte, con il mandato di approfondire i vari aspetti tecnici della
questione per riferirne all'Assemblea generale nel 2008.
Il programma dei lavori prevede relazioni affidate a esperti di autorevoli
organizzazioni internazionali impegnate sui temi della tutela dei diritti
umani, la sicurezza, il controllo delle armi cui seguiranno gli interventi di
rappresentati delle organizzazioni nazionali sui temi del controllo delle armi
e delle azioni della società civile organizzata.
La prima relazione “Verso il Trattato internazionale sui trasferimenti di
armi” di Sauro Scarpelli del Segretariato Internazionale di Amnesty
International focalizzerà l'attenzione sui passi in avanti dei lavori alle
Nazioni Unite, sulle richieste della campagna Control Arms ai governi di tutto
il mondo, sugli ostacoli che si frappongono al successo dell'iniziativa, sul
ruolo che le organizzazioni nazionali ed internazionale possono avere per
migliorare i controlli sulle armi a livello nazionale ed il successo delle
iniziative internazionali.
Il secondo intervento “Fermare la violenza armata nelle comunità” è affidato
al responsabile internazionale campagne Bruce Millar di IANSA, una rete
internazionale contro la violenza armata, comprendente circa 800 organizzazioni
della società civile che lavorano in 120 paesi per porre fine alla
proliferazione e all'abuso delle armi di piccolo calibro e delle armi leggere.
La relazione verterà sul ruolo delle comunità locali per la sicurezza delle
persone dalla violenza rafforzando il controllo sul trasferimento di armi.
Inoltre, parlerà delle campagne a favore dell'adozione di politiche di
protezione della sicurezza umana.
L'ultima relazione “Fermare il potere dei mediatori di armi: i controlli
europei e la legge belga” di Holger Anders del Grip – Group de Recherche et
d'Information sur la paix et la Sécurité, istituto di ricerca di Bruxelles sarà
indirizzata a individuare possibili soluzioni per il controllo dei broker.
Infatti, nei conflitti a bassa intensità, nei paesi soggetti a embarghi
internazionali, nei teatri di guerra dell'Africa come il Ruanda, il Congo, la
Liberia e la Sierra Leone, ad esempio, i mediatori di armi sono riusciti a
trasferire ingenti quantità di armi piccole e leggere sfuggendo ad ogni
controllo. Saranno individuate buone prassi per fermare questi traffici a
partire dall'esperienza della legge belga.
Seguirà la conferenza una Tavola Rotonda dal titolo “L'impegno dei territori
per un mondo più sicuro” in cui le associazioni incontreranno i candidati alle
elezioni per la Provincia di Roma per discutere sul ruolo dell'Istituzione
Provinciale sui temi della pace, del disarmo e del controllo degli armamenti.
Programma
Università Popolare UPTER - Palazzo Englefield - Sala 42
Via IV Novembre 157
Roma, 28 marzo 2008
Ore 14.30: Registrazione dei partecipanti
Introduce e coordina - Fabrizio Battistelli (Archivio Disarmo)
Ore 15.00: Relazioni
Verso il Trattato internazionale sui trasferimenti di armi
Sauro Scarpelli (Amnesty International)
Fermare la violenza armata nelle comunità
Bruce Millar (IANSA)
Fermare il potere dei mediatori di armi: i controlli europei e la legge belga
Holger Anders - (Grip - Group de Recherche et d´Information sur la paix et la
Sécurité)
* * *
Question Time - L´impegno dei territori per un mondo più sicuro
Incontro con i candidati Presidenti per la provincia di roma
Modera - Maria Grazia Galantino (portavoce Forum provinciale per la pace, i
diritti umani e la solidarietà internazionale)
Le associazioni del Forum incontrano i candidati alle elezioni per la
Provincia di Roma per discutere l´impegno dell'Istituzione Provinciale sui temi
della pace, del disarmo dei diritti umani e della solidarietà internazionale
Interventi programmati Giorgio Beretta (Campagna Banche Armate)
Riccardo Troisi (Pax Christi/Rete Lilliput)
Francesco Vignarca (Rete Italiana Disarmo)
Ore 18.00: Dibattito
Maggiori informazioni: www.disarmo.org
Banche armate, società civile e Governo a confronto
di Redazione (redazione@vita.it)
25/03/2008
Sabato 29 marzo alla Città dell'altra economia di Roma un convegno per parlare
del tema. Organizza la Rete italiana per il disarmo
  
A Roma, alla Città dell'altra economia, sabato 29 marzo, avrà luogo il
convegno: "Oltre l'insicurezza delle armi: politica, istituzioni, società
civile a confronto".
L'occasione d'incontro, promossa dalla Rete Italiana per il Disarmo e dalla
Campagna di pressione alle "banche armate" col il patrocinio dell'Assessorato
al Bilancio, Programmazione Economico-Finanziaria e Partecipazione della
Regione Lazio intende continuare la riflessione e il confronto di due
precedenti convegni (tenuti nel 2006 e nel 2007 a Roma in collaborazione con la
Provincia di Roma) incentrati su "banche e commercio di armi” e sulle
“tesorerie disarmate ed etiche" che hanno visto la partecipazione di diverse
realtà istituzionali e civili interessate alla promozione del disarmo e della
pace.
Un cammino che ha visto Enti Locali, Istituti di credito, parrocchie ed
associazioni rispondere alle sollecitazioni della Campagna di pressione alle
"banche armate" per un maggior controllo del commercio italiano di armi,
mettendo in atto strumenti di trasparenza e coerenza con le linee di
"responsabilità etica e sociale" da essi assunte. Tra questi vanno annoverati -
per quanto riguarda diversi istituti bancari - le recenti e innovative policy
restrittive in materia di "finanziamenti e appoggio al commercio di armi" e -
da parte di numerosi Enti locali - l'assunzione di criteri etici nella
definizione della tesoreria e per le sponsorizzazioni delle proprie iniziative.
Scelte e strumenti sui quali il convegno intende fare il punto per rilanciare
un'azione coerente e sinergica in grado di favorire un effettivo controllo
delle esportazioni di armi italiane.
Alla vigilia delle elezioni politiche, il convegno intende inoltre promuovere
un confronto con rappresentanti del Governo per offrire elementi di valutazione
dell'operato e per presentare al pubblico le richieste della Rete Disarmo ai
candidati premier in materia di legislazione nazionale e internazionale sul
controllo del commercio di armamenti, di disarmo nucleare, delle spese militari
e della riconversione dell'industria del settore.
Particolare attenzione verrà rivolta anche alle recenti iniziative promosse
dalla Commissione Europea che intendono definire nuove linee guida per
“facilitare il mercato dei trasferimenti interni di armamenti dei paesi
dell'Unione europea” e ai prospettati aggiornamenti dell'accordo di Farnborough
per implementare una “Free Circulation Area” di materiali d'armamento oltre che
alle iniziative in atto alle Nazioni Unite per promuovere un Trattato
internazionale sul commercio di armi (Att).
La riflessione e il confronto su queste tematiche è urgente: il contesto
internazionale a partire dal 2001 si è infatti caratterizzato per il forte
incremento delle spese militari – che nel 2006 secondo i dati del Rapporto
SIPRI 2007 con 1.158 miliardi di dollari superano i livelli del periodo della
Guerra Fredda –, e per la graduale ma costante ripresa del commercio
internazionale di armamenti ad uso convenzionale che – come riporta sempre il
SIPRI – nel 2006 ha toccato la cifra complessiva di 26,7 miliardi di dollari.
Anche le autorizzazioni alle esportazioni di armi dell'Italia presentano valori
crescenti tanto da segnare più che un raddoppio nell'ultimo quinquennio
passando dai poco più di 1,1 miliardi di euro del 2001 agli oltre 2,3 miliardi
del 2006. Un dato quest'ultimo che rappresenta un record ventennale e colloca
l'Italia al settimo posto nel mondo per esportazioni militari in un contesto in
cui i Paesi dell'Unione europea, nel loro insieme, hanno oggi raggiunto una
posizione di primo piano nel commercio di armi al pari di Stati Uniti e Russia.
Per favorire una riflessione ad ampio raggio su questi temi, oltre agli
esponenti delle associazioni promotrici, parteciperanno al convegno
rappresentanti del Governo e del mondo politico, europarlamentari, responsabili
del mondo bancario e dei sindacati, rappresentanti degli enti locali e del
mondo associazionistico, oltre che esperti ed analisti del settore. Il convegno
si prefigge, infine, di definire alcune priorità per il lavoro e l'impegno
delle realtà associative della società civile.
Promosso da Campagna Banche Armate, Rete Italiana per il Disarmo con il
patrocinio della Regione Lazio Assessorato al Bilancio, programmazione
economico-finanziaria e partecipazione.

Giovedì, 27 Marzo, 2008 - 12:59

Appello al voto di Gennaro Migliore

Il direttore editoriale di SinistraEuropea.it, Leonardo Ragozzino , intervista in esclusiva Gennaro Migliore , capogruppo di Rifondazione Comunista alla Camera. Altre informazioni e approfondimenti sono reperibili sul blog:http://gennaromigliore.wordpress.com/

Citando il Subcomandante Marcos che ricorda che “gli arcobaleni sono dei ponti che dobbiamo attraversare per rendere possibili i cambiamenti per gli uomini e le donne dei popoli...Sia benvenuto l’arcobaleno, benvenuto il ponte, il passaggio che fa andare e venire, e sempre benvenuta la parola che cammina, la parola vostra, quella di tutti noi” è importante fare appello affinchè tutti condividano lo sforzo per La Sinistra l’arcobaleno in questa tornata elettorale. Puoi rivolgere, raccogliendo lo spunto Zapatista, il tuo personale appello al voto agli elettori ?
Mi piacerebbe che l’ arcobaleno fosse il “ponte” per l’ingresso di tutti coloro che vogliono dare un contributo al nuovo soggetto politico, la Sinistra l’arcobaleno appunto, di cui ha bisogno la Sinistra e tutto il paese, perchè altrimenti non sopravviverebbe che una versione testimoniale della Sinistra stessa. C’è assoluto bisogno di un soggetto che possa incarnare in modo plurale e molteplice quei valori, quelle battaglie, quelle scelte che nel corso di questi anni hanno caratterizzato le nostre formazioni politiche. Vorrei vedere sventolare le bandiere della Sinistra l’arcobaleno su tutte le grandi manifestazioni che faremo per portare avanti le nostre lotte e per difendere i nostri diritti, proponendone alcuni nuovi. Per me la Sinistra l’arcobaleno non si forma nel chiuso delle stanze dei partiti ma trova invece il suo humus tra le persone ed è per questo che il passaggio elettorale è fondamentale. Guardando a ciò che accade in Europa, ad esempio in Germania e Grecia - dove la Sinistra si afferma sia a livello locale che nazionale resistendo all’appiattimento bipartitico e guadagnandosi spazi e consensi in espansione - come possiamo fare in modo che anche in Italia la Sinistra continui a giocare un ruolo importante nelle dinamiche politiche nazionali e internazionali, senza venire sussunta dall’omologazione del duopolio populista PDL-PD ? Innanzi tutto avendo la coscienza che il nostro è un progetto che supera le contingenze dell’oggi e che siamo consapevoli di essere in un contesto europeo. In Germania la progressiva crescita della Linke è indice di una scommessa vinta sul piano dei contenuti che mettono duramente in crisi il modello neoliberista della grande coalizione. E' sul piano della soggettività che si fonda una nuova sinistra che supera le antiche appartenenze per essere concreto strumento di trasformazione politica e sociale. Se si vogliono solo difendere le proprie identità non si produce un rapporto credibile con le persone. Se si vuole solo rincorrere il nuovo si perde quel patrimonio straordinario che invece è fondamentale per ogni progetto politico che voglia avere un lungo respiro. Chiudiamo questa breve intervista con un tuo messaggio ed un auspicio per la Campania dove sei candidato
Non solo la Campania ma tutto il mezzogiorno, essendo io candidato anche in Sicilia, deve ritrovare le ragioni per sconfiggere la cattiva politica con la quale non si possono affrontare la crisi dell’economia neoliberista e le politiche di sfruttamento funzionali ad essa, la mancanza di sicurezza per la crescente forza della criminalità organizzata e un quadro di diritti e opportunità per le giovani generazioni.
La buona politica che noi rappresentiamo è, in estrema sintesi , quella che fa ciò che dice, quella che si presenta con la propria faccia pulita e quella che vuole rinnovare generazionalmente e culturalmente il panorama politico.

Giovedì, 27 Marzo, 2008 - 12:56

La guerra di Bush - Michael Moore

La guerra di Bush
Quattromila morti E allora?
Michael Moore
www.ilmanifesto.it

Doveva capitare la domenica di Pasqua, no? che il quattromillesimo soldato americano morisse in Iraq. Fatemi risentire quel folle predicatore, volete? sul perché forse Dio, nella sua infinita saggezza, non abbia esattamente benedetto l'America in questi giorni. Qualcuno si sorprende? 4.000 morti. Stime non ufficiali dicono che possono esserci più di 100mila feriti, offesi, o mentalmente rovinati da questa guerra. E potrebbero esserci un milione di iracheni morti. Pagheremo le conseguenze di tutto ciò per lungo, lungo tempo. Dio continuerà a benedire l'America.
Dov'è Darth Vader in tutto questo? Una reporter della ABC News questa settimana ha detto a Dick Cheney, rispetto all'Iraq, che «due terzi degli americani dicono che non vale la pena di combattere». Cheney l'ha stoppata con una sola parola: «Allora?». Allora? Come in «Allora che?». O come in «Fanculo, non può fregarmene di meno». Vorrei che ogni americano vedesse Cheney che gli mostra il virtuale dito medio: cliccate http://thinkprogress.org/2008/03/19/cheney-poll-iraq/ e diffondete. Poi chiedetevi perché non ci siamo ribellati e non abbiamo cacciato lui e il suo burattino dalla Casa bianca.
I democratici, negli scorsi 15 mesi, hanno avuto il potere di staccare la spina alla guerra - e hanno rifiutato di farlo. Cosa dobbiamo fare? Continuare ad affogare nella nostra disperazione? O diventare creativi, davvero creativi. So che molti di voi leggendo queste righe avranno l'impudenza o l'ingenuità di rivolgersi al vostro deputato locale. Lo farete, per me?
Cheney ha passato il mercoledì, quinto anniversario delle guerra, non a piangere i morti che ha ucciso, ma a pescare sullo yacht del sultano dell'Oman. Allora? Chiedete al vostro repubblicano preferito che ne pensa.
I Padri fondatori non avrebbero mai pronunciato quelle presuntuose parole, «Dio bendica l'America». Per loro sarebbe suonato come un ordine anziché un'invocazione, e non si ordina a Dio, anche se sei l'America. In effetti essi erano preoccupati che Dio potesse punire l'America. Durante la Rivoluzione George Washington temeva che Dio avrebbe reagito male con i suoi soldati per il modo in cui si stavano comportando. John Adams si chiedeva se Dio potesse punire l'America e farle perdere la guerra, giusto per provare il suo argomento che l'America non era degna di vincere. Essi credevano che sarebbe stato arrogante ritenere che Dio avrebbe benedetto soltanto l'America. Quanta strada abbiamo fatto da allora.
Ho visto sulla Pbs che che Frontline di questa settimana conteneva un documentario intitolato «La guerra di Bush». Io la chiamo così da molto tempo. Non è «la guerra dell'Iraq». L'Iraq non ha fatto nulla. L'Iraq non c'entra con l'11 settembre. Non aveva armi di distruzione di massa. Invece aveva cinema e bar e donne che vestivano come volevano, una consistente popolazione cristiana e una delle poche capitali arabe con una sinagoga aperta. Ma tutto questo, adesso, non c'è più. Proiettate un film e vi spareranno un colpo in testa. Più di cento donne sono state sommariamente giustiziate perché non si coprivano la testa con un fazzoletto. Sono felice, come americano benedetto, di avere contribuito a tutto questo. Io pago le tasse e questo significa che ho contribuito a pagare per questa libertà che noi abbiamo portato a Baghdad. Allora? Dio mi benedirà?
Dio benedica tutti voi in questa settimana di Pasqua in cui entriamo nel sesto anno della Guerra di Bush. Dio aiuti l'America. Per favore. © michael moore

Mercoledì, 26 Marzo, 2008 - 12:41

Appello al Voto Utile per la Sinistra Arcobaleno

Io ho aderito con forte convinzione ... voi?

Alessandro Rizzo

Noi sosteniamo le liste de “La Sinistra, l’Arcobaleno” , e il candidato-premier Fausto Bertinotti, per quattro buone ragioni.

1.        Perché è un voto utile alla democrazia italiana e alla rinascita della politica. La contesa elettorale non può ridursi a una partita a due, o a un referendum tra leadership spettacolari.  E il futuro del paese non può essere affidato al “modello americano” , che per definizione e vocazione storica cancella la sinistra dalla rappresentanza  istituzionale.  Per battere la destra, la sinistra resta essenziale. Per vincere la sfida della pace che muove milioni di persone, ci vuole una sinistra forte. Per superare la crisi di fiducia, e i pericoli di declino morale dell’Italia, le idee e la forza della sinistra restano imprescindibili.
2.        Perché è un voto di parte. Dalla parte dei lavoratori e dei diritti del lavoro, operaio, precario, intellettuale, sfruttato, sottopagato, umiliato. Dalla parte delle donne, dei giovani e dei nuovi cittadini e cittadine migranti in cerca di libertà. Dalla parte del rispetto per l’ambiente, minacciato da un’idea di sviluppo cieca e squilibrata. Dalla parte del valore non mercificabile del sapere e della conoscenza.  Fuori da questa parzialità, che rivendichiamo come una risorsa preziosa, non c’è vera possibilità di cambiamento. E tutto si “concilia”, si omologa, si appiattisce, in un clima di conformismo dilagante.
3.        Perché è un voto laico. Per fermare l’invadenza interventista delle alte gerarchie vaticane e le tentazioni neo-temporaliste della Chiesa cattolica. Per arginare le insorgenze fondamentaliste, che attaccano leggi come la 194, bloccano l’allargamento dei diritti civili, diffondono omofobia, tentano di ricondurre le donne ad un ruolo antico di soggezione.  Noi non vogliamo nè “guerre di religione” nè antistorici  steccati tra credenti e non credenti. Crediamo piuttosto che la laicità dello Stato e il primato del Parlamento siano il fondamento più solido della libertà di tutti.  
4.        Perché è un voto di speranza: per una sinistra capace di rigenerare se stessa, il suo modo di essere e di agire, i suoi progetti. Un obiettivo  difficile, ma assolutamente necessario, che può cominciare un percorso positivo nel fuoco di queste elezioni, il 13 e 14 aprile. Noi, a questa speranza non possiamo rinunciare.
Martedì, 25 Marzo, 2008 - 22:04

Emma Bonino ai giovani: nessuno vi può garantire

Ho ascoltato su Repubblica online, precisamente nella pagina Repubblica TV, le risposte che la candidata Emma Bonino, del Partito Democratico, ha dato ad alcune domande fatte dalle lettrici e dai lettori.
Una domanda mi ha fortemente interessato, forse per il suo contenuto che ritengo essere molto importante, forse per l'aspetto politico delle risposte che sono state date che, a parere del sottoscritto, sono fortemente disarmanti e prive di prospettiva: sto parlando della questione sul voto dei giovani, dove si dichiarava che molte intenzioni di voto e di scelta ricadono sulle forze politiche del centrodestra. Ci si chiedeva, e me lo domando in primis anche io, da che cosa è dovuta questa opzione, dato che, come si sa, il centrodestra in 5 anni di governo Berlusconi ha garantito solo maggiore precarietà non solo lavorativa, elemento già di indicazione di un livello di inciviltà notevole, ma anche esistenziale, essendoci la totale negazione della possibilità di autodeterminarsi come soggetto attivo, progettando il proprio futuro. Emma Bonino ha risposto con coerenza, devo dire, ma con frasi e concetti che definirei fortemente nichilisti e invitanti i giovani a considerare come dato di fatto, quasi in un'enunciazione apologetica del sistema di mercato globalizzato e uniformante, l'attuale situazione che obbligherebbe ad accettare senza se e senza ma una condizione di lavoro temporale, a tempo determinato, magari a semplice progetto della serie "ti uso e ti getto", magari a basso costo sociale, magari senza garanzie assicurative e previdenziali, magari senza diritti, questo è chiaro dato che si tratta di occupazioni atipiche diventate drammaticamente tipiche, dove anche la maternità diventa un elemento di discriminazione notevole e tragico.
Emma Bonino a questa domanda risponde semplicemente che ora per il Partito Democratico c'è maggiore libertà di prevedere politiche per i giovani senza nessun tipo di restrizione e di ridimensionamento della portata delle stesse, dato che esiste una distanza verso la sinistra comunista e verso un opportunismo di centro. Credo che già qui si debba rispondere data la portata dire accusatoria di certe aggettivazioni. La distanza verso la sinistra che, in senso uniformante e omologante, definisce essere solamente comunista, con termine che rieccheggia la caccia alle streghe indetta da Berlusconi da tempo ormai, in modo strumentale e fazioso, potrebbe garantire al PD scelte più coraggiose in tema di flessibilità dei rapporti di lavoro: la ricetta della Bonino potrebbe, così, trovare compimento, dopo 2 anni di contenimento delle spinte ultraliberiste e fortemente sviluppiste da lei sempre professate. Le sue proposte? Non possono che essere convergenti con l'assioma che delinea la risposta che Emma garantisce e desprime nei confronti di migliaia di giovani che chiedono un futuro socialmente più sostenibile e il diritto di diventare soggetti attivi e partecipi della programmazione della propria vita, in libertà e autonomia: "nessuno ti può garantire" dichiara in modo disarmante. Ossia voi che antrate giovani nel mondo dell'attuale mercato del lavoro lasciate, come un Dante condotto da Virgilio, ma senza Virgilio, ogni speranza fuori da questo inferno esistenziale e sociale, dove la logica del darwinismo economico e sociologico del motto "homo homini lupus, ergo bellum omnium contra omnes" impera in modo indefesso, inderogabile, continuativo, senza soluzione di continuità alcuna. Ma Emma si pronuncia come fosse una mamma che sa bene cosa vogliono i propri figli, in quanto li conosce come le proprie tasche, dicendo che da parte dei giovani esiste non "la richiesta di protezione ma di opportunità, ossia aprire porte e finestre". Si deduce che se tu entri nel mercato del lavoro, a prescindere dalla tua formazione professionale, che diventa sempre più obsoleta e inadatta con le logiche produttivistiche attuali dell'iperliberismo che rende la lavoratrici e e il lavoratore una mente d'opera al servizio assoggettante e assoggettato del profitto aziendale, devi accettare, se ancora hai velleità di coperture future previdenziali e di una pensione assicurata, di una minima copertura sociale qualora tu fossi soggetto a infortunio sul luogo di lavoro, cosa che capita ultimamente con una certa frequenza, la logica che impone il sistema attuale del mercato del lavoro voluto e decretato dall'economia della finanziarizzazione della ricchezza. Perchè? Semplicemente non esiste, dice Emma "nessuna alternativa alla globalizzazione" e quindi invita con tono scherzoso i giovani a "mordere il mondo e la vita", avendo più coraggio e rischiando di più.
Io credo che in queste parole, ripeto in un'ottica di coerenza intellettuale della Bonino, colei che nel 2000 ha presentato dei quesiti referendari dove si chiedeva di abrogare l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, dove si chiedeva di abrogare la ritenuta sul proprio stipendio per il rinnovo d'ufficio dell'adesione ai sindacati, ci sia un inquietante disegno che non può sposarsi con delle proposte che fino a ieri venivano lanciate dai palchi dal candidato alla presidenza del consiglio per il PD, Walter Veltroni. dove si dichiarava con tanto slancio propagandistico che ci saranno salari minimi per i precari. Nelle parole di Veltroni, però, non esistevano enunciati quali: progressivamente superiamo l'atipicità dei contratti a tempo determinato, obbligando le aziende anche con incentivi fiscali ad assumere dopo la seconda volta di rinnovo del contratto atipico; richiedendo l'obbligo formativo, la continuità professionale nella progressione, senza creare dispersione formativa; prevedendo a forme di tutela sociale universali; concependo forme di contrattazione non aziendale, non decentrata, ma collettiva, nazionale.
"Non si può tutelare il posto fisso": si ostina a ripetere Emma. Ma mi domando: è opportuno dire ai nostri giovani che devono adeguarsi a una logica che vuole privarli totalmente di garanzie minime, quelle che sono state conquistate nei tempi e che neppure il Governo Fillon, su mano della presidenza Sarkozy, si è permesso di eliminarle? Credo che il PD stia aumentando la propria conflittualità interna dovuta alle contraddizioni palesi che sono nutrite al loro interno, dove un radicalismo iperliberista avanza non lasciando spazio a chi ancora oggi si ostina a pensare che il PD abbia spazio per chi propone un modello altro di società. Senza programmi chiari si è più vulnerabili verso i poteri forti egemoni: ed è questa la natura assoluta di un partito nato su basi che mettono insieme diverse anime confliggenti e che da tempo ha accettato di mettere tra i propri candidati di spicco figure del capitalismo neppure illuminato, magari democratico, come giustamente sostenuto e sottolineato anche da Gallino. 
Noto sem,pre maggiormente una certa deriva preoccupante.

Alessandro Rizzo

Martedì, 25 Marzo, 2008 - 20:38

Il riconoscimento alleato di via Rasella

Il riconoscimento alleato di via Rasella
da Il Manifesto del 23 marzo

L'attentato di via Rasella del 23 marzo 1944 continua a stimolare posizioni revisionistiche che lo vorrebbero ridurre a «terrorismo». Ma durante la guerra erano gli stessi comandi inglesi a considerarlo un legittimo atto di resistenza

Marco Clementi
In Italia la storia della resistenza è stata oggetto di una serie di revisioni da parte di storici e saggisti, che hanno cercato di rileggere aspetti del fenomeno alla luce dei mutamenti politici europei degli ultimi decenni. I risultati non sempre sono stati all'altezza delle attese, ma in alcuni casi hanno avuto il merito di sollevare importanti quesiti, sui quali è bene confrontarsi anche a distanza di molto tempo, riguardanti per esempio il numero e il ruolo dei partigiani prima e dopo la liberazione del paese, le differenze tra le diverse anime della resistenza, la composizione sociale delle brigate partigiane, la corrispondenza al vero di vari «miti», da quello della resistenza tradita alla mancata epurazione nelle zone liberate. Libri che hanno avuto una larga diffusione, come quelli di Giampaolo Pansa dedicati al «sangue dei vinti» hanno suscitato polemiche, spesso accompagnate dal tentativo più generale di screditare in parte, o interamente, il movimento resistenziale italiano, che fu uno dei più importanti in Europa.
Il tema legato alla resistenza, del resto, divenne un oggetto di divisione e revisione già pochi anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Se in un primo tempo, per esempio, i sovietici erano stati propensi a valutare l'esperienza partigiana italiana nel suo complesso e in modo equilibrato, distinguendone le varie anime e tendenze, già nel 1948 la lettura di quegli anni si era ideologizzata e un libro come La storia della resistenza di Luigi Longo poté essere pubblicato a Mosca solo dopo un'attenta revisione finalizzata a esaltare la guerra di popolo guidata dai comunisti e porre in ombra l'apporto delle forze politiche di diverso orientamento, che dovevano passare per elementi guidati dagli alleati al fine di boicottare l'incidenza di quello che fu chiamato già nel 1945 il vento del Nord. In tale prospettiva, fatti come il proclama Alexander del novembre 1944, sul quale si tornerà tra breve, sono stati giudicati alla stregua di un tradimento e come la prova della malafede alleata.
L'uso politico di via Rasella
La storiografia più recente ha registrato anche una tendenza opposta. Importanti studi, come quello di Franco Giustolisi dal titolo L'armadio della vergogna, riguardante gli incartamenti sulle stragi tedesche in Italia dimenticati in luoghi reconditi delle procure, non solo hanno fatto nuova luce sulle repressioni, ma hanno cercato di ricollocare nel loro contesto storico le azioni dei partigiani e dei Gruppi di azione (Gap) che agivano nelle città occupate. Tra gli atti di guerra che allora vennero condotti contro l'esercito tedesco, il più conosciuto e che ha catalizzato le maggiori polemiche è stata l'azione di via Rasella, un attacco portato dai Gap all'esercito occupante che il 23 marzo del 1944 provocò la morte di 33 uomini della undicesima compagnia del reggimento Bozen, comandato dal maggiore Helmut Dobbrick, e di sei italiani, tra cui un bambino.
Il giorno dopo, il 24 marzo, 335 italiani, tra cui 154 persone a disposizione dell'Aussenkommando, sotto inchiesta di polizia, 23 in attesa di giudizio del Tribunale militare tedesco, 16 persone già condannate dallo stesso tribunale a pene varianti da 1 a 15 anni, 75 appartenenti alla comunità ebraica romana, 40 persone a disposizione della Questura romana fermate per motivi politici, 10 fermate per motivi di pubblica sicurezza, 10 italiani arrestati il 23 nei pressi di via Rasella, una persona già assolta dal Tribunale militare tedesco e, infine, tre non identificate, furono condotti nelle cave di pozzolana lungo la via Ardeatina. Qui furono massacrati dai tedeschi comandati da Herbert Kappler. Per questo crimine, lo stesso Kappler e altri ufficiali tedeschi, tra cui Erich Priebke, sono stati processati poi e condannati dalla giustizia italiana.
Nel corso dei decenni seguiti alla fine della guerra le polemiche su via Rasella non si sono spente. Da un lato, dopo la riabilitazione «dei ragazzi di Salò», operata in Italia a molti livelli istituzionali, si è cercato di dare una nuova dignità a chi aveva aderito alla Repubblica mussoliniana. Dall'altro, dopo l'11 settembre 2001 e l'inizio della cosiddetta «guerra al terrorismo», alcuni eventi sono stati riletti sotto una luce nuova e atti di guerra come quelli di via Rasella sono stati interpretato come atti di terrorismo. Infine, qualcuno ha anche ipotizzato che via Rasella, in realtà, fu organizzata per provocare la reazione tedesca e condurre alla liquidazione del gruppo «Bandiera Rossa», scomodo per il Pci e in parte arrestato dai tedeschi.
Riportare in questo giorno di ricordo le cose nella loro proporzione storica non è un'impresa che può avvenire con un breve saggio. Né, del resto, è facile ricomporre quella che da molti è stata chiamata «la memoria divisa», che nel nostro paese sembra volersi non ricomporre mai o, nel caso, secondo una del tutto arbitraria par condicio, che in storia, invece, non dovrebbe avere quartiere. Prima della caduta del muro di Berlino i danni anche di una certa storiografia sono stati elevati e ci vorranno decenni per porre riparo a tutto ciò che una presunta lettura marxista - ma più semplicemente ideologica - ha provocato.
Il proclama di Alexander
Due documenti molto chiari su ciò che allora era l'attitudine alleata nei confronti dei partigiani italiani, possono comunque aiutarci nel tentativo. Sono entrambi firmati dal comandante in capo delle forze alleate in Italia, il generale Alexander; uno è molto noto, il suo già citato proclama, l'altro un po' meno, ed è un Warnings, un avvertimento. Nel novembre del 1944 Alexander chiese ai partigiani di tenere le posizioni invernali per poi riprendere la parte finale della lotta in primavera. Il proclama diceva questo:
«Patrioti! La campagna estiva, iniziata l'11 maggio e condotta senza interruzione fin dopo lo sfondamento della linea Gotica, è finita: inizia ora la campagna invernale. In relazione all'avanzata alleata, nel periodo trascorso, era richiesta una concomitante azione dei patrioti: ora le piogge e il fango non possono non rallentare l'avanzata alleata, e i patrioti devono cessare la loro attività precedente per prepararsi alla nuova fase di lotta e fronteggiare un nuovo nemico, l'inverno. Questo sarà molto duro per i patrioti, a causa della difficoltà di rifornimenti di viveri e di indumenti: le notti in cui si potrà volare saranno poche nel prossimo periodo, e ciò limiterà pure la possibilità di lanci; gli alleati però faranno il possibile per effettuare i rifornimenti».
Si aggiungeva che si dovevano conservare le munizioni, attendere nuove istruzioni, «approfittare però ugualmente delle occasioni favorevoli per attaccare i tedeschi e i fascisti», continuare «nella raccolta delle notizie di carattere militare concernenti il nemico; studiarne le intenzioni, gli spostamenti, e comunicare tutto a chi di dovere». Inoltre, «le predette disposizioni possono venire annullate da ordini di azioni particolari», mentre «nuovi fattori potrebbero intervenire a mutare il corso della campagna invernale (spontanea ritirata tedesca per influenza di altri fronti)». Dunque «i patrioti siano preparati e pronti per la prossima avanzata». Infine, Alexander pregava «i capi delle formazioni di portare ai propri uomini le sue congratulazioni e l'espressione della sua profonda stima per la collaborazione offerta alle truppe da lui comandate durante la scorsa campagna estiva».
Tutto ciò, in quelle condizioni, era non solo ineccepibile, ma un riconoscimento di alta considerazione per il lavoro che stavano compiendo gli italiani oltre le linee dell'occupante. Avrebbe forse Alexander dovuto chiedere ai partigiani di organizzare la sollevazione generale, che in quel momento sarebbe sicuramente stata repressa dai tedeschi? Alexander, in realtà, stimava fortemente i partigiani italiani e fu leale nei loro confronti. Un mese prima del proclama egli aveva diffuso con tutti i mezzi a disposizione (etere, manifestini) il Warning, l'avvertimento rivolto agli ufficiali e agli uomini tedeschi affinché non usassero il pretesto delle azioni dei patrioti per commettere crimini contro la popolazione civile.
Nel Warning si constatava che i massacri di civili italiani stavano diventando ogni giorno più frequenti; il fatto, però, che in un certo luogo dei patrioti italiani avessero portato a termine un'azione militare contro gli occupanti, non giustificava da parte di questi ultimi alcuna azione di rappresaglia contro la popolazione o persone in attesa di processo, che doveva essere considerata un crimine di guerra. Gli ufficiali e gli uomini tedeschi che si erano o si sarebbero macchiati di tali azioni, sarebbero stati considerati dei criminali e processati nei paesi in cui tali crimini erano stati perpetrati. Si chiedeva alla popolazione italiana e ai partigiani di prendere nota dei nomi dei reparti tedeschi responsabili, dei luoghi e delle modalità con cui le rappresaglie erano condotte, e si elencavano alcuni degli eccidi di cui al momento si era a conoscenza. Tra questi, al primo posto Alexander citava proprio quello delle Fosse Ardeatine, seguito da quello di Stia, di Civitella Val di Chiana e Roncastaldo.
Atti di guerra
La posizione del generale inglese è molto importante per comprendere l'attitudine degli alleati nei riguardi dei nostri partigiani. Essi erano i patrioti che al di là delle linee svolgevano un'importante azione finalizzata alla cacciata degli occupanti. Nessuna azione poteva giustificare una reazione tedesca contro la popolazione. Al contrario, gli atti dei partigiani, compresa via Rasella, furono sempre considerati come legittimi atti di guerra contro l'occupante, appoggiati dagli alleati con ogni mezzo propagandistico a disposizione. Contrariamente a quanto si può supporre, in alcuni casi non c'è bisogno di andare a cercare molto lontano una legittimità che, in quegli anni, era cosa non solo scontata, ma assolutamente condivisa da tutto il fronte antifascista.

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