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Il Blog di Antonella Fachin | www.partecipaMi.it
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Venerdì, 23 Aprile, 2010 - 11:31

in vista del 25 aprile: FESTA DELLA LIBERAZIONE DAL NAZIFASCISMO

Siamo a qualche giorno dal 25 Aprile... ricordiamo il pensiero illuminante di Piero CALAMANDREI:
"Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione,
andate nelle montagne dove caddero i Partigiani,
nelle carceri dove furono imprigionati,
nei campi dove furono impiccati.

Dovunque è morto un italiano per riscattare la Libertà e la Dignità,
andate lì o giovani, col pensiero…

perché li è nata la nostra COSTITUZIONE".
Cordiali saluti a tutte/i
Antonella Fachin
Consigliera di Zona 3
Capogruppo Uniti con Dario Fo per Milano
Facebook: Antonella Fachin
Giovedì, 22 Aprile, 2010 - 15:07

Matrimonio omosessuale, se il codice civile prevale sulla Costituzione

di Persio Tincani

fonte: MicroMega 22 aprile

La vicenda del matrimonio omosessuale in Corte costituzionale si è conclusa nel modo che in molti prevedevano, cioè con un sostanziale rigetto delle questioni di costituzionalità rimesse dalla corte d'appello di Trento e dal tribunale di Venezia. Che la decisione fosse, in questo senso, prevedibile non ha, però, nulla a che vedere con la questione in sé (il matrimonio omosessuale è compatibile con la Costituzione?) e molto a che vedere con il fatto che non dobbiamo fingerci vergini, del tipo di quelle convinte che ci sia sempre un giudice a Berlino. Che la Corte avrebbe respinto le questioni, insomma, eravamo più o meno tutti ragionevolmente certi, tanto i favorevoli al matrimonio omosessuale, ovvero la stragrande maggioranza dei giuristi italiani, quanto la minoranza dei giuristi contrari.

Tutti o quasi tutti, infatti, consideravano assai improbabile che la Corte avrebbe deciso nel senso dell'ammissibilità del matrimonio omosessuale, in quanto la questione è stata caricata (non importa adesso quanto ciò sia stato fatto ad arte) di un significato politico pressoché esclusivo, che ha finito per far passare nelle retrovie il fatto che si tratti, come ogni altra questione posta di fronte alla Consulta, di una faccenda di leggi e di diritto.

Al di là delle argomentazioni sostenute da ciascuno per la tesi della fondatezza o dell'infondatezza dei particolari rilievi di costituzionalità presenti nei due atti con i quali le corti hanno posto la questione di fronte alla Consulta, e ancor di più al di là degli argomenti che ciascuno adduce per l'ammissibilità o per l'inammissibilità del matrimonio omosessuale nel nostro ordinamento, nessuno avrebbe scommesso sul fatto che una parola definitiva sarebbe stata pronunciata dalla Corte in merito.

Ciò che stupisce, quindi, non è che la Corte abbia dichiarato non fondate le questioni di costituzionalità, ma il modo in cui lo ha fatto, cioè con una sentenza, la n.138 2010 (15 aprile), assai criticabile, sia sotto il profilo della tecnica giuridica, sia sotto il profilo della mera coerenza argomentativa. I passaggi argomentativi fallaci o discutibili della sentenza sono molti. Qui mi limito a segnalarne uno.

Uno dei cavalli di battaglia degli oppositori del matrimonio omosessuale è il richiamo alla "natura" presente nell'art. 29 della Costituzione, dove si sancisce che "la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio". Secondo l'interpretazione proposta da costoro, il significato di questo articolo sarebbe quello di sancire sul livello costituzionale la c.d. "famiglia naturale", che sarebbe composta da una moglie, un marito e, possibilmente, da un certo numero di figli.

Va da sé che è sufficiente leggere con un minimo di attenzione, o di onestà, il testo dell'art. 29 per vedere che le cose non stanno così e che non c'è nessuna "famiglia naturale". Si parla, infatti, di "famiglia come società naturale", il che significa, nel linguaggio giuridico, società che le persone formano senza che vi sia necessità di norme giuridiche (diversamente da come accade, per esempio, nel caso delle società per azioni, che non sarebbero concepibili senza le norme giuridiche che le definiscono e che le disciplinano).

Il diritto, insomma, arriva dopo. E la Costituzione, in particolare, arriva per stabilire che i diritti "della famiglia" (in realtà diritti dei singoli che la compongono) sono riconosciuti a patto che questa "società naturale" abbia dato luogo a un matrimonio, secondo le norme del diritto civile. La Corte, infatti, non prende neppure in considerazione la tesi della "famiglia naturale" e ribadisce, a beneficio dei duri, l'ovvietà che il testo della norma costituzionale ha il significato di riconoscere, appunto, che le famiglie esistono anche senza che vi sia una norma giuridica che le definisce.

Fin qui, nulla da dire. Il punto critico, però, viene subito dopo, quando la Corte scrive: «Ciò posto, è vero che i concetti di famiglia e di matrimonio non si possono ritenere “cristallizzati” con riferimento all’epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei princìpi costituzionali e, quindi, vanno interpretati tenendo conto non soltanto delle trasformazioni dell’ordinamento, ma anche dell’evoluzione della società e dei costumi.

Detta interpretazione, però, non può spingersi fino al punto d’incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata». In particolare, dato che «la questione delle unioni omosessuali rimase del tutto estranea al dibattito svoltosi in sede di Assemblea [costituente, N. d. A.], benché la condizione omosessuale non fosse certo sconosciuta [...] si deve ribadire, dunque, che la norma non prese in considerazione le unioni omosessuali, bensì intese riferirsi al matrimonio nel senso tradizionale di detto istituto».

Proviamo a vedere che cosa c'è che non va in questo passaggio, cruciale, della sentenza. Se e è vero che i concetti di "famiglia" e di "matrimonio" non devono intendersi come cristallizzati nell'epoca in cui fu formulato l'art. 29, allora non si capisce per quale motivo l'evoluzione della società e dei costumi, pure richiamata dal testo della sentenza come elemento da tenere in conto per interpretare la norma, non sia qui idonea a ricomprendere nella definizione di "famiglia" che può accedere al "matrimonio" quella composta da due persone dello stesso sesso. La Corte chiarisce, però, che il ruolo dell'interpretazione non può spingersi fino a incidere "sul nucleo della norma", che indicherebbe il matrimonio "nel significato tradizionale".

Qui, come si vede, c'è qualcosa che non quadra. Il fatto che il costituente abbia preso in considerazione il matrimonio tradizionale è, con ogni probabilità, indubbio. Ma, allo stesso tempo, ciò non può essere inteso come un vincolo per l'interprete successivo, almeno non se si ammette, come fa la Corte, che i principi costituzionali sono contraddistinti da una intrinseca duttilità, data dal loro tener conto delle trasformazioni dell'ordinamento e dall'evoluzione "della società e dei costumi".

Questa evidente incongruenza (o le norme sono duttili e seguono l'evoluzione dei costumi o non lo sono) viene, però, corretta da un'immediata precisazione della Corte stessa, che chiarisce come la "duttilità" non possa giungere fino a "incidere sul nucleo della norma". Qual è questo nucleo? L'eterosessualità del matrimonio. E perché? Perché lo stabilisce il codice civile: «I costituenti, elaborando l'art. 29 Cost., discussero di un istituto che aveva una precisa conformazione ed un'articolata disciplina nell'ordinamento civile. Pertanto, in assenza di diversi riferimenti, è inevitabile concludere che essi tennero presente la nozione di matrimonio definita dal codice civile entrato in vigore nel 1942, che [...] stabiliva (e tuttora stabilisce) che i coniugi dovessero essere persone di sesso diverso».

Ora, affermare che il codice civile stabilisca la diversità di sesso degli sposi perché il matrimonio sia valido è perlomeno azzardato. Il codice civile, piuttosto, non esplicita mai la condizione necessaria della diversità di sesso per un valido matrimonio, tant'è che le decisioni giudiziarie esistenti in merito hanno sempre ricavato questo elemento da un lavoro interpretativo.

Ma anche se si volesse sorvolare su questo punto - in realtà il centro dell'intera questione - il ragionamento esplicitato dalla Corte si rivela un controsenso, perché sfocia nella sola conseguenza logica possibile di subordinare la Costituzione al codice civile. Che, per essere precisi, è proprio il contrario di quello che, invece, si fa a rigor di diritto: non interpreto un articolo della Costituzione alla luce del codice civile, ma viceversa.

Se così non fosse, infatti, non si capisce quale sarebbe il ruolo di una corte costituzionale, e quale tipo di censura potrebbe esercitare sul diritto ordinario, se quest'ultimo diviene lo strumento al quale la norma costituzionale deve guardare per ricevere significato.

Giovedì, 22 Aprile, 2010 - 14:53

HUMOR: Il prezzo della secessione

Giovedì, 22 Aprile, 2010 - 14:50

Buon compleanno Terra!

Buon compleanno Terra!

 
Il 22 aprile 1970 è stata celebrata la prima Giornata della Terra, milioni di persone si sono unite per sensibilizzare l'opinione pubblica e i governi al fine di preservare e proteggere meglio il nostro Pianeta.
Il 2 maggio, con l'aiuto dei volontari, verrà rilevato lo stato dei fiumi italiani, per valutarne lo stato e avanzare proposte per la loro tutela. Partecipa anche tu >>
In Sicilia dal 12 aprile al 23  maggio si svolgerà il 27° campo internazionale per la protezione dei rapaci e le cicogne in migrazione sullo Stretto di Messina. Sei ancora in tempo per iscriverti >>
Il tuo impegno per proteggere la Terra è fare la differenza. Ti aspettiamo !
Martedì, 20 Aprile, 2010 - 15:49

CdZona 6 ..La Resistenza : questa sconosciuta!!!!!!!!!!!

COMUNICATO STAMPA

Il comitato antifascista di zona 6, comunica con sgomento, che la maggioranza di destra del consiglio di zona, per la prima volta in 35 anni, non partecipa ai festeggiamenti della giornata del 25 Aprile.  Alla domanda di patrocinio delle iniziative, svolta come ogni anno dall’Associazione nazionale Partigiani d’Italia, la giunta guidata dal Presidente Gittaner non pronuncia alcuna risposta. Il comitato antifascista, formato da tutti i partiti democratici, dalle libere associazioni, dalla cittadinanza, dai sindacati, denuncia tale atto come uno sfregio alla lotta di liberazione. Un insulto a Milano, città medaglia d’oro alla resistenza. Un affronto alla zona 6, ch’è stata testimone degli eccidi perpetrati dalle truppe d’occupazione e dalle brigate fasciste.  La Resistenza ha segnato un lungo tormentato impegno, durato oltre vent’anni di lotta al fascismo e alla sua disumana filosofia, che vide saldare in un nodo di sangue tutte le componenti democratiche del nostro paese: dal martirio di Matteotti a Don Minzoni, da Gramsci a Godetti, da Amendola a Buozzi.   Questa ricorrenza dovrebbe essere custodita, protetta e non deturpata dalle istituzioni, le quali, nominate dal popolo sovrano devono essere fedeli interpreti della Costituzione della Repubblica Italiana, fondata sull’antifascismo.  Nel Marzo 1994, il Presidente del consiglio di zona 17 Dott.sa Emma Bassani, nel presentare un opuscolo dedicato alla resistenza in zona e creato col fattivo contributo di tutto il consiglio ebbe a dire “ I giovani devono sapere che anche nella loro zona altri giovani, non molti anni fa, si sono battuti fino alla morte per difendere la libertà e la democrazia. Oggi come allora la democrazia va difesa anche andando contro corrente, perché la resistenza è un modo di vivere: sempre in prima fila, da protagonisti, da uomini e donne liberi, senza mai chinare la testa davanti ai prepotenti”. Il mancato patrocinio, segna un filo conduttore preoccupante, che inizia con la volontà della maggioranza della zona 6 d’intitolare una strada a Giorgio Almirante. Proposta sconfitta, anche grazie all’impegno di questo comitato.  Invitiamo la cittadinanza a partecipare alle iniziative organizzate dall’ANPI, che si svolgeranno comunque in modo compatto su tutto il territorio di zona. Il comitato antifascista di zona 6, si farà promotore di una continua vigilanza, affinché le istituzioni rispettino i vincoli morali ereditati da tanti uomini e donne morti per la libertà.

Comitato antifascista di zona 6

Martedì, 20 Aprile, 2010 - 14:28

Condannati - in 78 Paesi essere gay vuol dire la galera. E, in 7, il patibolo

20/04/2010 - Francesca Ghirardelli

 fonte: www.arcigay.it

CONDANNATI
La mappa del terrore: in 78 Paesi essere gay vuol dire la galera. E, in 7, il patibolo
di Francesca Ghirardelli - Il Venerdì di Repubblica - 16 aprile 2010

Parigi. Ogni giorno lo si vede percorrere il suo giardino per verificare che tutto vada bene. Progetta nuove opere di giardinaggio. Ha 25 anni, vive da solo, si accontenta di andare a lavorare e tornare a casa la sera. Nessuno dei vicini sospetta che, invece, conduca anche un’altra vita, per cui rischia fino a sette anni di carcere, per il fatto di essere un omosessuale in Botswana.

A oltre seimila chilometri da lì, un trentottenne di Teheran scrive: “Sono un iraniano gay rinchiuso fra quattro mura disgustose: legge, cultura, famiglia e religione”. Se lo scoprissero, per lui ci sarebbe la pena di morte.

Atto contro l’ordine naturale indecente, atto impudico, abominevole, sodomia. Tanti modi diversi di chiamare l’omosessualità nei codici penali di ogni latitudine, tante pene diverse per punirla: multe in denaro, prigione, lavori forzati, condanna a morte, anche con la lapidazione pubblica.

In 78 Paesi, sui 242 nel mondo, l’omosessualità è un crimine. In sette la si punisce con la pena capitale: succede in Mauritania, Sudan, Yemen, Arabia Saudita, in Iran e in alcune regioni di Somalia e Nigeria, dove vige la svaria, la legge cranica.

Luoghi dove non esiste quasi mai un movimento per i diritti gay, dove è difficile sentire la voce di rischia la pelle.
“In tutti i nostri scambi on line, la paura dominava sempre” racconta Philippe Castebon, giornalista e fotografo francese, curatore di Les condamnés, preziosa raccolta di testimonianza dirette sul tema.

Iscrivendosi ai siti web per incontri gay, è riuscito a mettersi in contatto con uomini omosessuali che vivono in Paesi dove l’omosessualità è reato. A loro ha chiesto di inviargli un autoritratto fotografico e una testimonianza scritta. Alla fine si è trovato fra le mani una mappa vivente della criminalizzazione dell’omosessualità, niente nomi, ma molte vite: “Non è uno studio sull’omofobia nel mondo, sono uomini che parlano in prima persona di sé” ci spiega nel salone della Terza Municipalità di Parigi, dove ha allestito la mostra con le testimonianze raccolte.

“Nei siti internet per gay gli utenti di solito pubblicano immagini in cui non si possa riconoscere la loro identità, dove ad esempio manca la testa. Da qui l’idea di chiedere ai miei interlocutori di scattarsi una foto appositamente per il progetto. Ho chiesto di mandarmi anche un testo scritto e la frase ‘nel mio Paese, la mia sessualità è un crimine’ tradotta nella loro lingue”.
Nell’arco di un anno, dal novembre 2008 a quello del 2009, Castetbon ha contattato oltre seicento uomini. Cinquantuno hanno risposto.

“A ciascuno ho presentato il progetto, l’idea della mostra e di un libro fotografico. Ho passato molto tempo a rassicurare ciascuno di loro. Con un ragazzo libico ho discusso sette mesi e alla fine m’ha detto: ‘Ho troppo paura’. Mi ha inviato un testo, ma non la sua immagine”.

Di paura parlano in molti nelle testimonianze raccolte da Castetbon: per l’iracheno, un uomo di 32 anni di Bagdad, “righe, pagine intere o anche libri non potrebbero descrivere l’accumularsi di decenni di paura e angoscia”. Praticamente tutti vivono di nascosto.

“In Arabia Saudita si può essere gay solo in segreto” scrive un venticinquenne da Ryad. “Per condurre questa vita nascosta, ti devi sposare con una donna, perché la famiglia ti forza a farlo. Per amicizia gli uomini si tengono spesso per mano nei Paesi Arabi. Questo mi permette di camminare stringendo la mano del mio compagno e la gente non dice niente”.

Anche dove la legge non è applicata, il rischio permane e arriva dalla strada. È il caso della Giamaica: “Un Paese terribile” dice Castetbon, “ci sono uccisioni di omosessuali ogni anno. E la pressione sociale è fortissima”.

Internet può fare la differenza, pur virtuale, in un’esistenza che altrimenti sarebbe soffocata. “È una finestra, un luogo di scambio, con la speranza folle di innamorarsi, di vivere un’altra vita. Per il ragazzo che mi ha scritto dall’India, trovare on line uomini come lui è stata una rivelazione. Si è reso conto di non essere solo”.

In questi Paesi, pochi sono i club o i luoghi di incontro per gay, rare le associazioni per la difesa dei loro diritti. Eppure qualcosa si muove anche in Africa (per esempio in Kenya e Camerun). Negli ultimi anni la questione omosessuale ha guadagnato visibilità anche grazie alla breccia aperta sui temi della sessualità da parte delle campagne internazionali contro l’Aids. Parlando di malattie sessualmente trasmissibili si parla di sessualità. Ce lo conferma Mathilde Chevalier, della Commissione Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) di Amnesty Intenational: “Spesso è così che le associazioni operano in Africa, dove è raro che vengano create specifiche organizzazioni per la depenalizzazione dell’omosessualità. Si lavora su entrambe le questioni, Aids e omofobia.

Questa è anche la politica dell’Onu: far passare il messaggio che, se si criminalizza l’omosessualità, si danneggiano le politiche di lotta all’Aids. In America Latina, invece, sono nate associazioni specifiche, Lgbt, come in Honduras”.
Continuano, però, a mancare riconoscimento e visibilità per le lesbiche: “Fantasmi più degli altri” spiega Chevalier, dal momento che le campagne anti-Hiv stimolano l’uscita dall’ombra soprattutto di uomini.

D’altra parte anche le leggi ignorano talvolta l’omosessualità femminile, penalizzando di più quella maschile: dei 78 Paesi con leggi anti-gay, solo 44 fanno riferimento alle relazioni tra donne.

Dove non esistono associazioni cui rivolgersi, ognuno si arrangia come può. “Sono andato a trovare l’imam, per parlargli della mia sessualità, all’epoca in cui, ancora adolescente, la odiavo” racconta un ragazzo di 27 anni di Dubai. “Vuole sapere la sua risposta? ‘Andrai all’inferno e brucerai per sempre’. In quel momento, me ne ricordo bene, mi sono alzato e gli ho detto: “Se brucerò all’inferno, sarà là che ci troveremo”.

In Uganda tutte le chiese ci danno la caccia
di Francesca Marretta

Kampala
“Sono un virus, se non li fermiamo infetteranno la nostra gioventù”. Robert Sonko fa il tassista e quando parla dei gay alza il sopracciglio fissandoti dallo specchietto retrovisore con l’aria di uno che sa il fatto suo. Fa lo slalom tra le buche nelle strade trafficate al centro di Kampala e tra un balzo e l’altro dell’auto, aggiunge: “Per me non è essenziale mandarli a morte. Cinque anni di galera possono bastare per rieducarli, ma molti non sono tolleranti come me”.

In Uganda chiese evangeliche di esportazione statunitense, dove, nelle prediche domenicali, si confonde volutamente la pedo-pornografia con l’omosessualità, è in corso una crociata contro i “diversi”. Per lo stesso presidente della Repubblica Yoweri Museveni, essere gay è “un atteggiamento anti-africano”. Non soprende quindi che la proposta di legge, che chiede l’introduzione della pena di morte per il reato di “omosessualità aggravata”, arrivi dal partito di governo.
Cinquecentomila firme raccolte on line non sono bastate per far ritirare la legge.

Secondo la rugbista Warry Ssenfuka, detta Bighi, direttrice di Freedom and Roam Uganda, organizzazione per i diritti di gay e Lbti (la “i” sta per intersex), la legge “non passerà, ma solo perché Usa ed Europa minacciano di tagliare gli aiuti”.
Se i gay d’Uganda eviteranno il boia grazie alle pressioni del portafogli di Washington, dovranno comunque battersi a lungo contro le false credenze diffuse su di loro.

“Dicono che andiamo in giro a fare proseliti” aggiunge Bighi, 26 anni, che ha subito anche lei questa accusa e ha penato per farsi accettare nel suo rugby club. “Il peggio è che credono di poterci ‘salvare’”. Non solo con le prediche: lo stupro rieducativo dei gay da parte di famigliari o amici è pratica diffusa in Uganda, come in Sudafrica.

LE LEGGI

Libano
Articolo 534: ogni relazione sessuale contro natura è punta con il carcere per la dura minima di un mese e fino a un anno.

Egitto
I rapporti omosessuali tra adulti consenzienti che avvengono in privato non sono vietati. Ma la legge 10/1961 contro la prostituzione, come pure l’articolo 278 sugli atti pubblici impudichi, sono stati utilizzati in questi ultimi anni per arrestare, incriminare e condannare gli omosessuali.

Iran
Articolo 110: la pena per la sodomia è la morte. Il giudice della sharia decide il tipo di esecuzione. Articolo 111: la sodomia determina la pena di morte nell’ipotesi in cui la persona attiva nell’atto sessuale sia la passiva siano mature, sane di spirito e agiscano volontariamente.

Liberia
Sezione 14.74: la “Sodomia volontaria” costituisce un’infrazione derivante dal coinvolgimento in un “rapporto sessuale deviato”. L’infrazione è catalogata come reato di primo grado.

Algeria
Articolo 338: chi commette atti omosessuali è unito con il carcere da due mesi fino a due anni e con una multa da cinquecento a duemila dinari algerini.

Botswana
Articolo 164: ogni individuo che abbia una relazione carnale contro l’ordine naturale con altro individuo o con un animale o che permette ad altra persona di avere relazioni carnali contro l’ordine naturale con lui o lei, commette reato ed è soggetto ad una pena massima di 7 anni di carcere.

Lunedì, 19 Aprile, 2010 - 12:29

APPELLO DELL'ISTITUTO PEDAGOGICO DELLA RESISTENZA DI MILANO: firmiamolo tutti/e!

APPELLO DELL'ISTITUTO PEDAGOGICO DELLA RESISTENZA DI MILANO 

L’Istituto Pedagogico della Resistenza
, operante da molti anni a Milano in contatto con il mondo della scuola, rischia di dover interrompere la propria attività in seguito all’intervento dell’Amministrazione comunale di Milano, inteso a privare l’Istituto della sede di Via degli Anemoni 6 a Milano, della quale, per decenni, ha potuto fruire.

I docenti universitari,  gli insegnanti,  gli educatori, gli operatori sociali e cittadini dell’Istituto Pedagogico della Resistenza, che si riconoscono nel dettato costituzionale, 

invitano
a sottoscrivere la petizione
www.firmiamo.it/no-chiusura-sede-ipr  

e ritengono si debba fare quanto è possibile e giusto per evitare che si spenga una voce che ha validamente contribuito a diffondere e a tenere viva, soprattutto fra i giovani, la conoscenza della nostra storia recente e dei valori della Costituzione nonchè ad arricchire il dibattito pedagogico volto al miglioramento della nostra scuola.
-------------------
 
FIRMA L’APPELLO
“L’Istituto Pedagogico della Resistenza, operante da molti anni a Milano in contatto con il mondo della scuola, rischia di dover interrompere la propria attività per la difficile situazione in cui si è venuto a trovare
Tale Istituto è sorto nel 1974  per iniziativa di insegnanti e allievi che subito dopo la Liberazione avevano dato vita all’esperienza dei Convitti Scuola Rinascita, primi e significativi esempi di scuole organizzate democraticamente. Esso da più di trentacinque anni svolge, in collaborazione con le scuole e con altre Istituzioni pubbliche, una preziosa attività volta a tenere vivo il ricordo della lotta antifascista e della Resistenza, a promuovere una pedagogia che ponga come obiettivo centrale dell’intervento educativo la formazione della persona alla luce dei valori sanciti dalla Costituzione, a favorire forme di integrazione, importanti in una società come la nostra che va sempre più caratterizzandosi come multiculturale. 
Questa attività rischia però ora di essere interrotta in seguito all’intervento dell’amministrazione comunale inteso a privare l’Istituto della sede di cui per decenni ha potuto fruire.
Come docenti universitari, insegnanti, educatori, operatori sociali e cittadini che si riconoscono nel dettato costituzionale, riteniamo si debba fare quanto è possibile e giusto per evitare che si spenga una voce che ha validamente contribuito a diffondere e a tenere viva, soprattutto fra i giovani, la conoscenza della nostra storia recente e dei valori della Costituzione e ad arricchire il dibattito pedagogico volto al miglioramento della nostra scuola.”
per firmare la petizione:oppure inviare mail a

appello.ipr@resistenza.org

Lunedì, 19 Aprile, 2010 - 12:25

CINISELLO LIBERATION FESTIVAL

sabato 24 aprile 2010
Piazza Gramsci, Cinisello Balsamo

 

A.N.P.I., con il patrocinio del Comune di Cinisello Balsamo
presenta:

A.N.P.I., con il patrocinio del Comune di Cinisello Balsamo
presenta:

CINISELLO LIBERATION FESTIVAL
I giovani con i partigiani per rilanciare Resistenza, Costituzione e lavoro
Musica e racconti di resistenze di ieri e di oggi...

dalle 14:
bancarelle, stand, video e mostre fotografiche

dalle 16 circa:
inteventi dal palco di:
Luciano Fasano, Assessore alle politiche culturali del Comune di Cinisello Balsamo
Alessandro Rizzo, ANPI Comitato Regionale della Lombardia
Stefano Landini, CGIL Lombardia
e lavoratori, migranti e precari in lotta contro la crisi.

ore 18:
aperitivo resistente!

Suoneranno, alternandosi agli interventi:
Miami & the Groovers, insalata mista di rock'n'roll
10meno9, reggae & rockstaedy
Coro Ingrato, interpreti e ricercatori di canti popolari
BFK, urban folk
Daniele Tenca, Blues for the working class
Ambramarie, rocker dalla trasmissione Xfactor

con il contributo di:
Cooperativa Auprema, dal 1903 Cooperativa di abitanti

http://anpicinisello.blogspot.com/
facebook: ventiquattro aprile cinisello

Lunedì, 19 Aprile, 2010 - 11:24

25 aprile: resistenza della INNSE ieri e oggi

Per opportuna informazione e partecipazione.
Cari saluti
Antonella Fachin
---------------------- 

25 aprile 2010
 
Questo anno la commemorazione degli operai e degli impiegati deportati dai nazifascisti nei campi di concentramento nel 1943 assume un significato particolare.
Come tutti sapete la INNSE è stata teatro di un lungo, accanito braccio di ferro fra padroni speculatori che volevano chiudere la fabbrica e gli operai che si sono opposti con tutti i mezzi per impedirlo.
Alla fine la resistenza degli operai ha vinto. La fabbrica è stata rimessa in moto con un nuovo padrone e noi a fare ancora gli operai ma con una rinnovata, antica determinazione: resistere alle ingiustizie, alla prepotenza, alla miseria dei licenziamenti non solo è possibile ma soprattutto è necessario.
In questo senso ci sentiamo legati idealmente agli operai ed agli impiegati di questa fabbrica che resistettero al nazifascismo e per questa scelta pagarono con la vita, più di cinquanta anni fa.
La resistenza della INNSE di oggi è stata possibile grazie al sostegno di tanti altri operai, studenti, pensionati e vogliamo siano ancora al nostro fianco in questa commemorazione, per questo invitiamo tutti a partecipare all’iniziativa che si svolgerà il giorno 23 Aprile alle ore 15.
L’appuntamento è davanti alla portineria di Via Rubattino, 81.
 
 
La RSU della INNSE                                                                                    Milano 15 aprile 2010

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