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Il Blog di Alessandro Rizzo | www.partecipaMi.it
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Mercoledì, 9 Aprile, 2008 - 12:53

Obbiettivo raggiunto per la legge sul disarmo nucleare...

Obbiettivo raggiunto per la legge di iniziativa popolare sul disarmo nucleare
sabato 29 marzo 2008

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Il 28 Marzo 2007 sono state depositate alla Camera dei Deputati 67.248 firme valide per la proposta di legge "Un Futuro senza Atomiche".
Le firme raccolte sono in realtà molte di più: ad oggi oltre 70.000 e continuano ad arrivare.
La Campagna, iniziata nell'ottobre 2007 per promuovere una legge di iniziativa popolare che dichiari l'Italia zona libera da armi nucleari, intanto continua: Non appena si saranno insediate le nuove Camere uscite dall'elezione di aprile la nostra proposta di legge sarà protocollata con un nuovo numero e comincerà il suo percorso. Inoltre verrà inviata una lettera individuale a ciascun parlamentare e ogni comitato potrà contattare gli eletti della propria zona, rafforzando la richiesta di sostegno alla legge.

Altre informazioni nel sito: www.unfuturosenzato miche.org

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gruppo umanista davanti ambasciata USA a Milano presidio fatto nel 2007.

Mercoledì, 9 Aprile, 2008 - 11:44

C'è solo un voto utile contro le opere inutili

C'è solo un voto utile contro le opere inutili

di Vittorio Agnoletto
08 aprile, 2008
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Ci voleva Celentano per rompere l’idillio bipartisan che si è creato intorno all’assegnazione a Milano dell’Expo 2015. Esprimendo timori più che fondati, il “molleggiato nazionale” ha dato voce a centinaia di associazioni, comitati locali, centri sociali e singoli cittadini che da sempre si opponevano alla candidatura del capoluogo lombardo e che oggi, a scelta avvenuta, continueranno nella loro opera di controinformazione sugli enormi rischi che l’evento comporta. Rischi di finire con il vivere in una città priva di anima. In primo luogo, esiste un serio pericolo per l’ambiente e il territorio: a dispetto di quanto crede Al Gore, sponsor d’eccezione della candidatura milanese che vede nella città un modello di virtù ecologiche,  Milano è una delle capitali più inquinate d’Europa. Quella che ha meno investito negli ultimi decenni sull’ambiente e sulla sostenibilità, sia con l’amministrazione Albertini (1997-2006) che, oggi, con il sindaco Moratti. Undici anni targati centro destra, che tra l’altro governa anche in Regione dal 1995.
Basta fare un confronto con le altre grandi metropoli del vecchio continente. Barcellona, ad esempio, ha 400 metri quadrati di aree pedonalizzate ogni mille abitanti; Milano ne ha 100. La raccolta differenziata non arriva al 30 per cento dei rifiuti smaltiti in città. La rete delle piste ciclabili è inesistente: 5 metri e mezzo ogni 100 abitanti, mentre la media europea è di 56. A Berlino sono stati installati 21.200 Kw di energia solare su edifici pubblici, dalla Madonnina non si vede neanche un pannello solare sui palazzi del centro storico di proprietà statale. Il famigerato Pm10 ha superato il livello consentito dalla normativa vigente per 132 giorni l’anno scorso: il valore più alto in Europa per le polveri sottili. Abbiamo anche la maglia nera per quanto riguarda i consumi idrici e le zone a traffico limitato.
Dunque è evidente che fino ad oggi è mancata la volontà politica di invertire la rotta e risolvere i problemi ambientali di Milano. Ma ecco che, con l’Expo, gli stessi politici che hanno governato la città senza muovere un dito per la qualità del territorio e di conseguenza la salute e il benessere dei cittadini sono diventati ad un tratto paladini della causa verde.
C’è però almeno un retroscena che contraddice l’impegno a parole della Giunta Moratti in vista dell’evento del 2015: lo scorso luglio il Comune di Milano ha infatti siglato un accordo con il Gruppo Cabassi, proprietario di una porzione dell’area agricola dove si realizzerà l’Expo, per poter appunto avere a disposizione quei terreni per tutta la durata della manifestazione e costruirvi i capannoni e i padiglioni previsti. Ebbene, al termine dell’evento i terreni torneranno ai loro proprietari, che hanno ottenuto “in cambio” la variazione della destinazione d’uso dell’area. Con un indice di edificabilità pari al 60 per cento dei terreni, e il solo limite di non poter installare attività produttive insalubri, si stima che un terreno agricolo che oggi vale 2,55-3,06 milioni di euro ne varrà 30 dal 2016.
E questa sarebbe una strategia finalizzata a fare dell’Expo un evento a impatto zero?
Il pericolo concreto è che Milano diventi un enorme cantiere per sette anni e che l’Expo sia l’espediente per realizzare grandi opere inutili, come nuove autostrade, tangenziali, terze piste a Malpensa.
A tutto ciò si aggiunga che i 70mila posti di lavoro previsti sono una chimera: chi garantirà che saranno impieghi in regola e non precari, magari giusto per il tempo dello svolgimento della kermesse? Tutti i milanesi sanno che i cantieri della Fiera fino ad oggi sono stati proprio il regno del caporalato, del lavoro in nero subappaltato a imprese che sfruttano i lavoratori, spesso immigrati, con un alto numero di incidenti e violazioni dei principali diritti degli operai e dei muratori occupati nell’edilizia.
Infine, siamo di fronte all’ennesima grande opera calata dall’alto sulla popolazione, che non è mai stata consultata in merito alla candidatura di Milano ad ospitare l’Esposizione Universale. Nessun progetto è stato presentato ai territori che ospiteranno il mega evento. E nessuna procedura di valutazione di impatto ambientale è stata quanto meno predisposta affinché i comuni e le istituzioni locali potessero selezionare le opere con i criteri secondo loro più sostenibili.
Eppure la sicurezza dei cittadini dovrebbe passare innanzitutto per la sicurezza del territorio e la difesa del suolo dagli appetiti speculativi. È questa la convinzione de La Sinistra l’Arcobaleno che, non a caso, ha messo al centro del suo programma ambientale la “democrazia ecologica”, da promuovere “attraverso una corretta pianificazione pubblica e una legge che garantisca la partecipazione dei cittadini alle scelte”.
Le grandi opere di cui il Paese ha bisogno non sono il Ponte sullo Stretto, la TAV in Val di Susa,  il Mose a Venezia o l’Expo a Milano. Sono quelle che hanno l’obiettivo di migliorare i servizi ai cittadini e alle cittadine, che restituiscono qualità alle nostre città e una occupazione buona e duratura.
Fra queste ci sono:
• “la messa in sicurezza dal rischio sismico e idrogeologico”;
• “un’altra politica dei rifiuti con al centro la riduzione dei rifiuti prodotti, sistemi capillari di raccolta differenziata, rispetto degli obiettivi di riciclaggio”;
• “un piano per migliorare il trasporto dei pendolari: almeno 1.000 treni per i pendolari nei prossimi 5 anni, investire sulle reti ferroviarie urbane e su nuove linee metropolitane e tranviarie”;
• “un grande piano per l’adeguamento e la sicurezza delle strade statali”;
• “il sostegno, nel campo del trasporto merci, con regole, tariffe ed incentivi, allo sviluppo delle vie del mare, dell’intermodalità e del trasporto ferroviario”.
Ma di queste priorità poche o pochissime faranno parte del progetto Expo 2015. Perché sono obiettivi che stanno fuori dall’immaginario “sviluppista” sia del PD che del PDL. Per noi de La Sinistra l’Arcobaleno costituiscono invece l’unico programma possibile.
Un programma che necessita di un voto utile contro opere inutili, in favore di una “riconversione ecologica della società e dell’economia”.
Mercoledì, 9 Aprile, 2008 - 11:17

Pensiamoci - Rossana Rossanda - Il Manifesto 7 aprile

Pensiamoci
Rossana Rossanda
A una settimana dal voto, tutto è stato detto dai leader. Dai microfoni su piazza e in tv. Tutto di basso profilo, qualche bugia, qualche furberia ma il quadro è chiaro. È il momento di pensare da soli, elettori maschi e femmine e giovani che avranno la scheda per la prima volta. Non affidiamoci agli umori, quelli che piacciono ai sondaggi. Come è successo al tempo del «Silvio facci sognare», lo slogan più scemo del secolo. Siamo alfabetizzati, abbiamo non solo speranze e delusioni ma comprendonio e memoria.
Gli elementi per valutare a chi dare il voto ci sono tutti, nel presente e nel passato prossimo. Facciamo parlare i dati di fatto. 1. L'ultimo, arrivato fresco fresco dal Fondo Monetario Internazionale è che l'Italia è a crescita zero (0,3). E non è la crescita zero preconizzata dagli ecologisti, cioè una selezione degli investimenti che protegga e risani l'ambiente. È crescita zero nell'insieme caotico dell'attuale modello, crescita zero nell'occupazione, crescita zero del potere d'acquisto. Sarebbe utile che si incazzassero i candidati premier di fronte alle loro trovate, tipo: con me, mille euro mensili a ogni precario. Ottimo. Chi li paga? L'azienda che lo ha assunto per dodici giorni al mese? Gli intermediari, Adecco o Manpower? La cooperativa fasulla che lo costringe a essere socio-lavoratore o niente? Lo stato? E da dove fa entrare i soldi? Visto che nessuno propone di accrescere le tasse. Eppure si dovrebbe almeno redistribuirne i carichi, toglierli ai ceti più deboli, aggravare quelli più forti, bastonare un po' le operazioni finanziare - ma tutti sono contro. E poi la Banca centrale europea di una sola cosa ha paura - che il potere di acquisto aumenti e si riaffacci l'inflazione... chi mangia poco continui a digiunare, per favore.
Nell'ultima settimana si sono ventilati ottocento o mille euro minimi di pensione al mese. Sette anni fa Berlusconi ne aveva promessi mille. Poi s'è visto che ne avevano diritto solo quelli in tardissima età e condizioni più disastrate. L'estate scorsa tutti salvo l'abominevole «sinistra radicale» hanno strillato che l'Inps era in deficit, e sulla parola di Epifani i pensionati hanno votato in massa come se fosse vero. E intanto né Berlusconi né Veltroni né Casini accennano a mettere un tetto alle pensioni superiori a una certa cifra - tipo Banca d'Italia e altre. Forse redistribuire non basta, ma sarebbe una misura di decenza.
2. La recessione è in arrivo. Già imperversa sugli Usa, la Fed riduce i tassi, tutti sono preoccupati salvo Repubblica, quotidiano di Veltroni, che ha pescato a Cernobbio quattro persone (per la verità tre e mezzo, Spaventa è più cauto) disposte all'ottimismo. Sta arrivando in Europa e che significherà per l'Italia? Berlusconi, in un sussulto di sincerità, ha promesso lacrime e sangue - a tutti, meno ai ricchi cui ridurrà le tasse. Ma che significa l'arrivo d'una recessione su un paese che è già a crescita 0,3? In un'Europa a crescita 1,3 se va bene?
Fra poco nessuno sarà in grado di pagare quel che importa e di farsi pagare quel che esporta. Per quale altro motivo la Cina sostiene il dollaro? In questo quadro l'occupazione - che per salire avrebbe bisogno almeno d'una crescita del Pil attorno al 3% (dieci volte di più dell'attuale in Italia) - non crescerà. Già gli occupati dichiarati dalle statistiche erano per almeno un quarto fasulli, mezzi-posti o quarti di posto del precariato, forma di disoccupazione travestita. Ormai trentenni già diplomati, laureati o dottorati, (se non in qualche disciplina scientifica per la quale c'è sbocco fuori dall'Italia) , figurarsi i non diplomati, sono ancora in cerca dell'impiego per il quale hanno studiato, pesano sui genitori, e non pochi si accingono a montare un bar o un'impresina del genere, perlopiù in subappalto, per rendersi indipendenti, sposarsi, fare un figlio. E poi ci si duole che le intelligenze se ne vadano e la natalità resti bassa.
3. Dagli anni '90 tutti i partiti, eccentuata Rifondazione e pochi altri, hanno piegato la testa al vecchio diktat liberista: lo stato non metta il becco in economia. Capitali e lavoratori, vanno lasciati al mercato e al suo occhio invisibile. Ah sì? Oggi l'occhio del mercato ha come minimo la congiuntivite acuta. Se no non saremmo a questo punto (dovrei scrivere «nella merda»). Anche gli europei lo sono, appena un po' meno la Germania perché ha difeso la qualità del prodotto e la Francia perché al mercato sottrae ogni tanto qualcosa. Ma la Commissione Ue strilla subito al protezionismo (sottace soltanto l'uso degli Stati Uniti delle spese militari a mo' di enorme offerta). E infatti il miliardario indiano Mittal s'è mangiato l'acciaio francese, non perciò pagando i lavoratori indiani come in Francia, ma proprio perché li paga quattro volte di meno. Da noi, i liberisti si rallegrano che l'Italia debba lasciare l'Alitalia a Air France-Klm, i sindacati sembrano accorgersi solo ora della gestione sciagurata dell'azienda della quale sono i soli a pagare il prezzo, la destra sanguina per l'«italianità» perduta, Berlusconi tira fuori conigli dal cilindro per far voti, l'insieme fa pena.
Non solo. Lo stato non ha da metter becco nell'economia, ma soldi nelle imprese sulla semplice fiducia che creeranno nuovi posti di lavoro. Così i furbetti prendono i soldi, alzano capannoni e se la filano senza aver assunto nessuno o licenziando subito. Non ci sono controlli. Ma non impossibile a sapersi: ce lo dice Report, cifre, nomi, luoghi, anni - ma anche noi telespettatori siamo strani, non so, non ho visto, se c'ero dormivo. L'Italia ha smesso di avere industria pubblica per dare i quattrini ai privati, che li prendono e scappano.
Quanti? Vorrei saperlo, e anche perché, invece che spendere a destra e a sinistra senza controllo, lo stato non ha a suo tempo raddrizzato Alitalia. Non mi si dica che è colpa dei sindacati che non accettavano 2000 «esuberi». Se Air France la può comprare, come ha già fatto con la compagnia olandese, perché non lo ha fatto la nobile imprenditoria italiana? E magari, ahinoi, lo stato di cui sopra? Alla sottoscritta di una compagna di bandiera non importa niente, dei suoi lavoratori molto. Perché devono subire e pagare per le nefandezze di chi li ha gestiti? Il loro paese li deve difendere, e così i loro sindacati. Ma come possono farlo senza discutere la strategia dell'impresa? Se l'ideologia oggi in voga dice che proprio non si può, perché i leader della destra e del centro non dicono al microfono: «Lavoratori! Cavatevela! Noi sulle scelte delle imprese non siamo in grado di interferire! Né lo vogliamo!». Almeno così l'elettore lo sa. E' vero che potrebbe saperlo lo stesso, siamo nell'epoca della comunicazione totale, e rammentarlo al leader del Pd quando questi gli predica con voce commossa che padroni e dipendenti pari sono e hanno lo stesso identico interesse.
4. Ci dicono che bisogna tagliare la spesa pubblica. Dove? La teoria liberista dice che lo stato deve intervenire solo dove il privato non arriva. Ebbene, si diano ai privati scuole e sanità, e più o meno sottobanco i soldi per gestirseli da aggiungere ai costi che il cittadino deve pagare. Erano diritti? Ebbene, prendiamoli come semplici raccomandazioni. Non che in Italia sia enunciato così chiaro, ma largamente praticato. Due giorni fa il presidente francese Sarkozy ha deciso di «modernizzare» lo stato, cioè ridurne energicamente le spese, ogni due funzionari che se ne vanno, se ne prende uno solo. Peccato che la maggioranza dei funzionari siano nella scuola. Si dimezzino lo stesso. E poi a Lisbona hanno detto e sottoscritto che educazione e formazione sono l'asse della nuova Europa.
Da quel che si capisce, soltanto le spese militari aumenteranno. L'Europa avrebbe finalmente il permesso degli Stati Uniti per fare la sua forza di difesa da aggiungere, si suppone, alle «missioni», parola con cui si nascondono le partecipazioni alle imprese belliche di Bush. Ecco un intervento statale ammesso: servono anche per dare impieghi, contratti detti condizioni di ingaggio, che stanno diventando sempre più strani. Vedi l'ammazzamento di Calipari.
5. Non dimentichiamo la sicurezza. Gli italiani sono buoni ma non amano essere assillati tutti i giorni dall'extracomunitario - pardon anche dal comunitario romeno - appena mettono il naso fuori di casa. Per la sicurezza sono disposti a spendere, gli elettori di nove decimi dell'arco politico, quel che non vogliono più spendere in beni pubblici o in solidiarietà - diciamo che la sicurezza è il solo bene pubblico da privilegiare. E i candidati premier di destra e di centro e democratici non se ne privano. A Milano si fanno i pogrom contro i campi nomadi, e quella illuminata città non fa una piega. Da Roma Veltroni ha ottenuto in 48 ore non solo una calata di polizia contro un insediamento romeno, ma una legge che facilita le espulsioni, e sarebbe peggiore se la sinistra «estremista» non l'avesse parzialmente corretta.
La sicurezza è un tema imbroglione. Perché chi immigra è perlopiù un marginale e quindi malvisto. E come no? Chi viene senza un contratto di lavoro - ma come farebbe ad averlo da fuori, da lontano, senza appoggi perché si muovono i più disgraziati - si deve poter mandar via, perché se non ce la fa si muove sull'orlo della legalità, e magari ne esce, e alimenta la microcriminalità. Di chi sono piene per due terzi le italiche galere? Di immigrati. I quali servono, e come, alle imprese, anche se in nero, per cui il cavaliere ha pensato persino di dargli un voto amministrativo - arretrando subito davanti alla Lega su tutte le furie. L'attuale società afferma di essere per i diritti umani, ma produce marginalità, la sbatte in galera, produce crisi e bisogni crescenti nel resto del mondo e però tenta di bloccare l'immigrazione.
Intanto l'occidente abbassa di anno in anno i già modesti aiuti che davano ai paesi di provenienza.
6. I costi della politica. Ecco un punto che unifica, a quanto sembra, gli italiani: la politica costa troppo, ma soprattutto gli addetti alla politica trovano il modo di compensarsi troppo. Falso? No,vero. Da quando? Dagli anni Settanta in poi, per salari da capogiro da una legislazione all'altra. Meno i politici sono stati apprezzati, più sono stati pagati. Facciamo l'esempio che conosco: il mio. Per essere stata cinque anni deputata (1963-1968) ricevo un vitalizio che oggi è di 2.162 euro netti. Si chiama vitalizio perché non si sommino due pensioni - la mia dell'Inps è 850 euro. Non so come sarei vissuta senza, ma ammetto che se me lo togliessero non oserei aprir bocca. Ma, negli anni Ottanta sono stati in molti a sostenere che se un deputato non veniva pagato bene, si sarebbero candidati solo i miserabili. No, la retribuzione per l'incarico politico, elettivo o no, ha da essere decente ma commisurata al tenore di vita medio del paese, non della sua parte privilegiata. Ma questa verità, che Salvi e Villone avevano scritto per primi, ma nessuno ha ascoltato finché non l'hanno ripetuta quelli del Corriere della Sera - non può servire da grimaldello per cambiare le Costituzione, perché diciamola tutta, quando Veltroni e Berlusconi litigano o si accordano per le riforme delle istituzioni, non intendono solo la legge elettorale né che si tratti di abbassare i costi delle Camere e dei ministeri. Si tratta di andare verso una repubblica presidenziale. Ci sono riforme e riforme: quando si sente la parola, bisogna chiedere: Scusi, precisiamo?
7 e finale. Ecco dunque altri sei punti, oltre quelli trattati finora dal povero gatto del lunedì - su cui ci sono state più oscurità che chiarezze nella campagna elettorale. O qualche chiarezza, se c'è stata, fa paura. Chi legge, ci pensi. Siamo a una svolta della storia italiana, vorrebbe esser la conclusione del 1989. Tabula rasa della sinistra.
Per conto mio, tanto perché sia chiaro, voterò Bertinotti. So bene che la Sinistra Arcobaleno non ha dato tutte le risposte, ne ha date, siamo sinceri, solo alcune. Ma è la sola ad avere posto questi problemi. Ed è per questo che la si vuole cancellare dalla scena politica. Il più accanito sembra il Pd, come succede quando si ha che fare con il proprio passato, che non si riesce a elaborare e si vorrebbe liquidare. Bisogna essere ben obnubilati dalla passione, e forse da una certa angoscia, per accusare Bertinotti di aver «segato» l'albero di Prodi. Come fosse stato lui ad averlo fatto cadere, invece che Mastella, Dini e soci.
Lasciamo andare. Io voto Bertinotti perché voglio che una sinistra seria e non pentita resti su piazza. E perché la Sinistra Arcobaleno intende rielaborare tutto quello di cui sopra, e prima, e altro. Non sarà semplice, non dovranno essere loro soli. Tutti portiamo qualche livido addosso. Ma non siamo morti, né staremo zitti.
Mercoledì, 9 Aprile, 2008 - 10:15

APPELLO AL VOTO PER LA SINISTRA L’ARCOBALENO

APPELLO AL VOTO PER LA SINISTRA L’ARCOBALENO
Aumenta, oggi, una conflittualità e una divisione tra una minoranza di potenti e arroganti e una moltitudine che vive “all’inferno”, in una precarietà esistenziale permanente, oltre che lavorativa, sociale, impossibilitata a raggiungere la fine del mese, che vive in condizioni ambientali e urbane insostenibili, conseguenze di uno sviluppo drogato e irresponsabile che produce emarginazione e  discriminazioni etniche, sessuali, religiose, politiche.
Nonostante questo esiste una forte delusione nel Paese: è un sentimento diffuso tra coloro che avevano riposto aspettative di cambiamento e di trasformazione nelle elezioni del 2006, sostenendo il governo Prodi e il centrosinistra, fiduciosi in una politica di redistribuzione del reddito, delle ricchezze, in una energica e ferma opposizione e contrasto della precarietà lavorativa, in una estensione convinta e universale dei diritti civili e delle pari opportunità tra generi e orientamenti sessuali e di un contrasto al sistema di guerra.
Esiste il rischio, voluto e auspicato da molti, di un processo di marginalizzazione di una sinistra di alternativa possibile e necessaria.
Ma di sinistra a Milano, in Lombardia e in Italia c’è bisogno, perché c’è bisogno di un altro modello di sviluppo, umano e sostenibile, dove giustizia sociale, eguaglianza, pari opportunità, difesa della dignità di ogni essere umano, liberazione ed emancipazione sociale siano valori affermati e attuati in un’ottica di democrazia progressiva.
Per questo esiste una forte attesa per un processo di un’unità a sinistra partecipata, coinvolgente, costruita non solo per necessità elettorale, ma per un lungo percorso culturale di rinnovamento.
Per questo occorre un processo di coinvolgimento e di partecipazione orizzontale e non soltanto verticale dove partiti, la cui presenza è condizione necessaria ma non sufficiente, associazioni, movimenti, comitati, singole persone senza tessera, si confrontino, lavorino insieme e costruiscano proposte e progetti di alternativa in un clima di pari opportunità e uguale dignità e titolarità alla partecipazione di un progetto della costituzione di un soggetto unitario della sinistra.
Già due anni fa, alle elezioni amministrative, avevamo proposto ai partiti e alle soggettività sociali e civili, che avevano sostenuto la candidatura di Dario Fo alle primarie per l’elezione del candidato sindaco del centrosinistra per Milano, di unirsi in un’unica lista della sinistra milanese, evidenziando la deriva neocentrista di gran parte del centrosinistra, oggi confluito nel Partito Democratico. Questo obiettivo non è tramontato, ma ritorna oggi più che mai attuale.
Proprio per questo come Lista Uniti con Dario Fo per Milano siamo convinti di poter portare, oggi e dopo il 14 aprile, un forte valore aggiunto, forti di quel legame di rappresentatività rinnovata di una sinistra diffusa, critica e responsabile, quella che si identifica nei tanti comitati e nelle numerose associazioni denuncianti quotidianamente uno sviluppo liberista, individualista e affarista della città, impresso dalle politiche del centrodestra di privatizzazione e di emarginazione.
Per dare voce e rappresentanza a questo è fondamentale e importante che La Sinistra L’Arcobaleno si affermi non solo elettoralmente ma anche politicamente, a livello istituzionale e sociale.
Votare La Sinistra, L’Arcobaleno risulta oggi quanto mai utile e importante in quanto non venga cancellata un’appartenenza culturale e ideale di parte, di prospettiva e di cambiamento, dove la politica sia autonoma da ingerenze esterne dell’economia e dei poteri forti.
Basilio Rizzo, Paolo Cagna Ninchi, Alessandro Rizzo

Martedì, 8 Aprile, 2008 - 20:10

PLAZA DE MAYO La battaglia per i diritti umani di ieri e di oggi

Amici, amiche, compagni, compagne.

Vi scrivo per darvi notizia della prossima iniziativa del Circolo Carlo Rosselli, organizzata in collaborazione con la Lidu (Lega Italiana per i Diritti dell'Uomo) e con la Società Umanitaria.

Si tratta di un incontro con Vera Vigevani Jarach, una delle fondatrici del movimento delle Madres de Plaza de Mayo.

L'iniziativa - che si svolge sotto il patrocinio del Consolato Generale della Repubblica Argentina a Milano - avrà luogo venerdì 18 aprile 2008 alle ore 21.00, presso la Sala degli Affreschi dell'Umanitaria, in via Daverio, 7 a Milano (MM 2 Crocetta).

Il titolo è il seguente:
PLAZA DE MAYO.
La battaglia per i diritti umani di ieri e di oggi.
Incontro con VERA VIGEVANI JARACH (delle Madres de Plaza de Mayo - Linea Fundadora).
Interverrano - oltre a Vera Vigevani - i seguenti relatori:
Felice Besostri,già membro della commissione diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa;
Marcello Gentili, avvocato di Parte Civile nei processi italiani per i crimini della dittatura militare argentina; 
Morris Ghezzi, del comitato direttivo nazionale della Lega Italiana per i Diritti dell'Uomo;
Jorge Ithurburu, presidente del comitato promotore per i processi ESMA in Italia; 
Pia Locatelli, presidente dell'Internazionale Socialista Donne;
e Moni Ovadia, scrittore e uomo di teatro.
L'incontro sarà presieduto dal sottoscritto (in qualità di presidente del Circolo Rosselli).
Ci tengo a sottolineare che si tratta di un'iniziativa importante e significativa, con una vera e propria "militante della memoria", che dopo aver vissuto nel modo più doloroso il dramma dei "desaparecidos" e gli orrori della dittatura militare argentina degli anni 1976-1983 , ha saputo rendersi protagonista di una coraggiosa, giusta e luminosa battaglia in difesa dei diritti umani e della memoria delle vittime di quella e di tutte le dittature. 
Per questo mi permetto di rivolgervi un caldo invito non soltanto a partecipare e ad intervenire, ma anche a diffondere il più possibile la notizia dell'inziativa.
A tale riguardo, mi permetto anzi di inviarvi in allegato il volantino dell'invito (che, se lo ritenete, potreste diffondere a vostra volta ai vostri conoscenti). 
Grazie, e cordiali saluti
Francesco Somaini (presidente Circolo Carlo Rosselli - Milano).
Martedì, 8 Aprile, 2008 - 16:55

Solidarietà a Punto Rosso contro un vile attacco

Ricevo il comunicato stampa di Punto Rosso, dove si denuncia l'oltraggio che è avvenuto questa notte nella sua sede. Esprimo solidarietà alle compagne e ai compagni di Punto Rosso, considerando questo un nuovo attacco vile e violento contro un'associazione che da sempre si mobilita per iniziative di spessore, valore culturale alto e nelle campagne e manifestazioni di denuncia nei riguardi di uno sviluppo iniquo e ingiusto, iperliberista.

Un cordiale saluto
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
La Sinistra, L'Arcobaleno
Consiglio di Zona 4 Milano

Comunicato stampa

Associazione Culturale Punto Rosso e Vittorio Agnoletto

Milano, 8 aprile 2008. Nella notte tra lunedì 7 aprile e martedì 8 aprile, ignoti hanno scassinato una porta di ferro con danni alla muratura e hanno fatto irruzione negli spazi dell'Associazione Culturale Punto Rosso, la cui sede ha alcune vetrine che danno su via Guglielmo Pepe e su via Carmagnola, a Milano. Hanno rubato tre computer, rispettivamente appartenenti a
Giorgio Riolo, presidente dell'associazione, alla segreteria del Punto
Rosso e allo staff di Vittorio Agnoletto, eurodeputato.
Tutti computer con dati sensibili e documenti di vario tipo. Hanno scaraventato a terra raccoglitori con documentazione, fogli etc, hanno
messo sottosopra l'intera sede.

Sicuramente hanno potuto contare su informazioni in loco, nel caseggiato. Ma il tutto avviene in una fase politica e in un momento particolari. È un atto politico grave nei confronti di un'associazione che opera a Milano e in
Italia come spazio politico e culturale della sinistra, operando nel
movimento altermondialista. L'Associazione Culturale Punto Rosso è tra
i promotori de La Sinistra L'Arcobaleno.

Già nel dicembre 2006 l'associazione milanese ha subito un altro furto, nel corso del quale furono rubati i computer dello staff di Agnoletto, altri pc e materiale.

Stamattina è stata sporta denuncia presso le autorità competenti.

Martedì, 8 Aprile, 2008 - 16:48

Difendiamo il Monzino in Zona 4

VENERDI' 11 APRILE dalle ore 17 al campetto di basket in Via Serrati di Ponte Lambro incontro con il candidato alla Camera nella lista La Sinistra, L'Arcobaleno, Pasquale Brunacci

La politica sanitaria della attuale Giunta Regionale di centro-destra (Formigoni) è da tempo impegnata nel favorire la sostituzione dell'assistenza pubblica con quella privata (CERBA, Humanitas, S.Raffaele, Policlinico S. Donato, Multimedica e molti altri) e a lasciare meano libera ai privati nella organizzazione territoriale dell'assistenza. In particolare due istituti pubblici (Istituto Tumori e Istituto Besta) saranno spostati fuori Milano nella periferia tra Novate Milanese e l'Ospedale Sacco anche il centro cardiologico Monzino verrà spostato al CERBA (parco Sud) lasciando sguarnita la zona est di Milano ed impoverendo un quartiere già marginalizzato.
Le forze di centrosinistra presentando la candidatura di Veronesi (CERBA e IEO) si apprestano a proseguire imperterrite nella stessa politica.

all'incontro interverranno
Erminia Empirin, Senatore Commissione Sanità Sinistra Arcobaleno
Luciano Muhlbauer, Consigliere Regionale Sinistra Arcobaleno
Luigi Tranquillino, Consigliere Provinciale Sinistra Arcobaleno
Antonio Barbato, Portavoce Nazionale SdL
Ugo Cerchiari, fisico Istituto dei Tumori di Milano
Alessandro Rizzo, Consigliere Zona 4, La Sinistra, L'Arcobaleno

Musica del Gruppo BABONZOS
seguirà buffet

tutta la cittadinanza è invitata a partecipare e sarà gradita ospite

dalle 19,30 in piazza Duomo chiusura campagna elettorale de La Sinistra, L'Arcobaleno con FABIO MUSSI

Martedì, 8 Aprile, 2008 - 12:52

Pubblici e precari: in sciopero

Pubblici e precari: in sciopero
Decine di presidi, venerdì, per la mobilitazione nazionale degli «atipici» del pubblico impiego
Francesco Piccioni
da Il Manifesto del 6 aprile

Scomparsi presto dalla compagna elettorale, i precari sono tornati a farsi vivi nell'unico luogo in cui sono presi sul serio: le piazze. Quelli al lavoro da anni nella pubblica amministrazione - nel più incredibile dei luoghi, per contratti del genere - hanno dato vita ad uno sciopero di 8 ore nella giornata di venerdì. Come sempre accade quando i precari entrano in lotta, i numeri sono difficili da dare (basti dire che gli stessi enti della pubblica amministrazione non riescono a mettersi d'accordo neppure sul numero di lavoratori con contratti atipici). Meno contestabile, invece, la presenza in pazza per le iniziative convocate dalla RdB.
Il fenomeno ha assunto negli anni proporzioni colossali (le stime variano dai 300 ai 600mila «atipici»), grazie alla stupidissima norma che ha stabilito il blocco del turnover. Chi va in pensione non può essere sostituito. Naturalmente questo apriva «buchi» d'organico spaventosi, specie là - come nei servizi sociali di assistenza diretta, come asili d'infanzia e sanità, ma anche nella burocrazia propriamente detta - dove meno evidente era il «sovrannumero» di addetti rispetto al lavoro da fare.
Torino è stata la città che ha fatto registrare la presenza più massiccia, con delegazioni di un po' tutti i settori (compresi i ricercatori dell'università). A Roma si è invece tenuta un'assemblea presso l'ospedale L'Addolorata, cui hanno partecipato anche diversi consiglieri e assessori regionali (Battaglia, Nieri, Mariani, Tibaldi). In questa regione, del resto, si è fatto più strada nel percorso di «rientro» dalla precarizzazione nel pubblico, con l'apertura di tavoli di trattativa seri.
All'origine della mobilitazione non c'è solo il proseguire di una situazione difficile, ma soprattutto l'aggravamento introdotto dall'ultima legge finanziaria e dal «decreto milleproroghe». I quali costringono le amministrazioni a bloccare i rinnovi dei contratti precari dopo soli tre mesi. Una soluzione che «elimina la precarietà» licenziando dipendenti in servizio magari da anni, invece di assumerli.
Un esempio, raccontano i manifestanti, viene dal Comune di Firenze. Che ha aperto una gara d'appalto per la gestione delle Piscine comunali, dove lavorano da anni parecchi «co.co.co». Il privato che vincerà la gara potrà inserire al lavoro chi vuole,mettendo così fuori gli «storici». A Palermo, invece, i «lavoratori socialmente utili» hanno iniziato lo sciopero della fame. Una piccola - e del resto obbligata - deroga è arrivata fin qui soltanto per le maestre d'asilo (almeno fin quando non sarà terminato l'anno scolastico). Margine regolamentare esiste anche nella sanità, dove i direttori possono - per mantenere i livelli di assistenza» - derogare, entra certi limiti, dall'applicazione della circolare. E proprio nella sanità risulta che l'agitazione abbia prodotto i risultati tangibili più evidenti, con il blocco di alcune attività (senza peraltro mettere mai in discussione le «emergenze»).
La preoccupazione dei lavoratori è abbastanza chiara: nessuno si fida delle «promesse» sparate in campagna elettorale da entrambi i partiti principali. «Chi da anni vive in mancanza di certezze e di estrema ricattabilità vuole risposte concrete ed è pronto a mobilitarsi ancora». E ciò basta a spiegare perché le iniziative siano riuscite, forse più dello sciopero, in senso stretto.
Martedì, 8 Aprile, 2008 - 12:50

Caro Walter, ora basta con le accuse alla sinistra

Lasciamo le polemiche al dopo elezioni, cerchiamo di riportare un certo flair play, un certo gentelman agreement: ma credo che questa ipotesi di comportamento sia solamente valida per La Sinistra, L'Arcobaleno che non ha mai offeso ma solamente difeso una propria autonomia e una propria progettualità politica, a volte denunciata ingiustamente di essere stata la causa della crisi di governo: una crisi non compresa dalle nostre elettrici e dai nostri elettori, che hanno votato nel 2006 contro una destra irresponsabile e impresentabile, a favore di un cambiamento possibile e necessario; una crisi voluta a tavolino, artatamente preparata nei salotti e nei trasatlantici di Montecitorio, come la sfiducia espressa dal senatore Dini, oppure data alle stampe in una conferenza tenuta a Palazzo Chigi dall'allora ministro Mastella.
La sinistra non può, però essere accusata di avere fatto cadere il governo, ora, da parte del candidato premier del maggiore partito contendente la guida del Paese, fino a ieri al governo e in maggioranza e oggi, invece, in un'operazione di restailing presentatosi come novità unica, pur avendo condiviso le responsabilità politiche e le scelte della maggioranza uscente di centrosinistra. Questa affermazione è una falsità ed è anche un po' disonesta intellettualmente, deformante.
Caro Walter la Sinistra non ha concorso a "segare" l'albero del governo Prodi, non si è ripetuta la situazione del 1998, seppure ti ricorderei che esisteva già da allora un dibattito interno alla sinistra chiaro e trasparente, sull'opportunità di dichiarare la sfiducia al governo, e sebbene i rapporti tra Rifondazione, la massima rappresentanza della sinistra, e L'Ulivo erano puramente elettorali di accordo tecnico e non programmatico, come è stato nel 2006.
La sinistra, i ministri che esprimevano la sinistra del centrosinistra, non hanno mai dichiarato alle stampe, con un atto alquanto discutibile e indegno, il voler "staccare la spina" al governo: la sinistra ha semplicemente detto nel dicembre 2007 che era giunto il momento di cambiare rotta, tornando ad impegnarsi a proporre e attuare i punti programmatici scritti, ripeto scritti, nelle pagine del programma di governo: la lotta alla precarietà, superando la legge 30 e la stessa legge Treu; un'azione di redistribuzione del reddito e non di semplice, seppure necessario, risanamento economico; l'esigenza della politica dei due tempi e prevedere un dilazionamento delle misure, urgenti e importanti, di ristabilimento dei conti pubblici; la definizione dei criteri di elargizione delle entrate superiori alle previsioni previste nel tesoretto (che fine ha fatto, seppure si è consapevoli che esista?); una politica di ritori progressivo delle truppe dall'Iraq e dall'Afghanistan; una politica di abbassamento e contenimento dei prezzi dei beni di consumo e un miglioramento dei salari; una politica di estensione dei diritti civili universali, senza discriminazioni e differenzazioni derivanti da scelte di orientamento sessuale.
Tutto questo era previsto come "cahier de doleances" e come proposte di politica di respiro fortemente riformatore nella lettera che i quattro ministri nostri avevano inviato al governo e al Presidente Prodi, chiedendo che nel febbraio 2008 fosse avviato un processo di verifica di governo per cercare di definire collegialmente le nuove linee politiche coerenti con il programma sottoscritto da tutte le forze sostenitrici L'Unione. Ripeto tutte le forze politiche, nessuna esclusa: neppure le forze che hanno dichiarato alla stampa la loro uscita dalla maggioranza, o hanno espresso il proprio voto di sfiducia al governo, decidendo questa mossa nelle salette appartate dei gruppi palramentari.
Non solo: si accusa Bertinotti di avere dichiarato il 4 dicembre scorso alla stampa che la stagione del governo stava volgendo alla conclusione, fonte, si pensa, di un inizio di crisi. Non è assolutamente vero, se si legge l'intervista pubblicata su Repubblica: la volontà era quella di dire al governo di andare avanti su un'altra strada, che non fosse quella di risanamento economico, di compiacimento, spesso avvenuto, degli interessi di certa imprenditoria. La volontà era quella di dire cambiamo rotta e proseguiamo sul cammino che avevamo proposto alle elettricie  agli elettori nel 2006 tramite un lungo e ricco programma di trasformazione sociale, civile e culturale. Le risposte? Il programma si fa solo per le elezioni, poi si modifica nel proseguimento della legislatura. Come dire: vi abbiamo chiesto il consenso in base a delle promesse che, poi, avremmo disatteso ed evaso. Il programma si stila collegialmente se si è in coalizione per approvarlo e attuarlo.
Ma vorrei anche dire, a chi critica e accusa la sinistra di avere "segato" l'albero del governo, che qualche settimana prima, a pochi giorni dal consenso ampio che Veltroni aveva avuto con le consultazioni delle primarie del Partito Democratico per la carica di segretario, lo stesso Veltroni, fresco di nomina, disse che era possibile prevedere in futuro un'ampia autonomia delle forze politiche, in primis il neonato PD, di correre da sole, sperimentando, poi, quello che è avvenuto successivamente, ossia il non accettare nessun tipo di accordo programmatico o tecnico di alleanza con la sinistra, correndo da soli. Si può fare dice Veltroni e il suo slogan impreversante nella campagna elettorale: il problema è che ciò che si può fare oggi nella propaganda si poteva benissimo fare prima, essendo al governo e sostenendo l'impulso riformatore che quel governo aveva potenzialmente. Ma dov'eri Walter prima della caduta del governo? Sostenevi il governo o eri impegnato a trattare una nuova legge elettorale sentendo prima il centrodestra e accreditando come interlocutore di eccellenza Berlusconi, anzichè cercare di lavorare a una maggiore coesione programmatica e politica del centrosinistra?
E poi, veramente, è giunta l'ora di dire che nessun ministro della sinistra è sceso in piazza per criticare positivamente certe scelte che erano state prese, spesso, senza investire su quel rapporto di rappresentatività rinato con la parte sana del Paese, pieno di fiduciosa speranza di rinnovamento politico e sociale, culturale, civico, dopo 5 anni di governo Berlusconi e di crisi delle coscienze, come scriveva il noto giurista Franco Cordero su Repubblica.
Per onestà intellettuale, almeno. Qualcuno, invece, c'era al "family day", tanto osannato dalle truppe formigoniane, oggi in pectore, se malauguratamente vincesse la destra berlusconiana, ed era un qualcuno che non poteva essere considerato come un "qualsiasi attivista cattolico": era il ministro Fioroni, della pubblica istruzione, oggi nelle fila del PD, che manifestava contro un progetto di legge di proposta ministeriale del proprio governo, di cui era componente, riguardante l'attuazione dei DICO. Perchè non riportare un clima di fair play e di onestà intellettuale: almeno prima delle elezioni, a pochi giorni dall'apertura dei seggi. E' ancora possibile avere un confronto laico, aperto e rispettoso, senza accusarsi reciprocamente di avere tolto la spina al governo, già molto precario nella sua stabilità, a causa di una legge porcata varata dal centrodestra?

Alessandro Rizzo

Martedì, 8 Aprile, 2008 - 12:17

Appello autocritico al Voto di Bertinotti

Appello autocritico
Fausto Bertinotti
La campagna elettorale si è ormai consumata. In essa si sono sovrapposti due piani.
Il balletto insopportabile della politica separata, ridotta al confronto tra due soli contendenti che si assomigliano nel linguaggio e nelle proposte.
E' la pulsione neocentrista come esito della transizione irrisolta della crisi sociale, economica e politica.
E' l'esito su cui esplicitamente puntano i centri di comando dell'economia, della finanza, dell'informazione e dei poteri forti. Una camicia di forza sull'intero sistema politico per rendere le istituzioni impermeabili alle istanze sociali e al conflitto democratico.
Realizzare questo esito comporta l'eliminazione definitiva di quella che è stata chiamata l'anomalia italiana, ovvero la presenza di una sinistra politica, sociale, del mondo del lavoro, radicata nella società, rappresentata nelle istituzioni, influente nelle assemblee elettive.
Solo così si può comprendere l'apparente paradosso di una crisi, esplosa nel ventre molle del centro moderato e pagata, invece, con una rottura con la sinistra.
Si vuole arrivare allo splash down: la cancellazione della sinistra come strumento per la normalizzazione del caso italiano. Un obiettivo di fase che sta dentro un processo di americanizzazione di più lunga lena di cui va colta l'ispirazione di fondo: il conflitto di classe è ineliminabile ma da esso può essere cancellata la rappresentanza politica e negata la politicità. Esso può esprimersi anche in forme radicali e diffuse ma senza che possa avere la capacità di scalare il livello della proposta generale di cambiamento. Esso va, quindi, sterilizzato dal punto di vista della possibilità di incisione nelle scelte di società.
C'è stata un'altra campagna elettorale, quella che abbiamo vissuto come Sinistra L'Arcobaleno, fatta di mille incontri, dibattiti, comizi. La campagna elettorale vissuta come l'aggiornamento dell'inchiesta sullo stato del paese reale.
Questa ci restituisce l'immagine di un paese sospeso tra ansia di cambiamento e sfiducia. Due facce anche qui che si sovrappongono. Nulla è semplice o può essere semplificato: questa rappresentazione doppia è dentro il corpo vivo e ferito del popolo della sinistra.
Non possiamo rivolgerci a questo popolo senza una autocritica sul tempo breve della crisi e sul processo di lungo respiro della ricostruzione della sinistra.
Non possiamo rivolgerci ad esso senza un bilancio di verità sui due anni di governo in cui la sinistra ha assunto ruoli importanti di responsabilità di governo e istituzionale.
Nei fatti, è stata smentita l'idea della permeabilità di quel governo da parte dei movimenti. Esso è stato assai più permeabile ai poteri forti che ne hanno condizionato le scelte attraverso la penetrazione dentro le principali forze che lo sostenevano: sulla redistribuzione del reddito, sulla lotta alla precarietà, sull'estensione dei diritti civili e così via. Così è ripiombato nella logica dei due tempi.
Abbiamo colto il senso di quell'esito.
La Sinistra si presenta autonomamente alle elezioni. Non è una condizione a tempo. Sarà autonoma ugualmente dopo il voto.
Al popolo di sinistra, ci rivolgiamo con l'avvio di un nuovo processo di aggregazione.
Il progetto che la sinistra italiana presenta alla prova elettorale, ovvero la Sinistra L'Arcobaleno, è quello necessario. Ma non è ancora sufficiente.
La questione decisiva si ripropone e chiama in causa la capacità di tutti e di ognuno, a partire dai gruppi dirigenti degli attuali partiti, di mettersi in discussione dentro un processo partecipativo. Il vero punto di applicazione del processo unitario è, quindi, quello di aprirsi alla partecipazione, di cessare di essere vissuto come elemento proprietario dei partiti che chiamano associazioni e singoli ma non li rendono protagonisti a pari titolo.
Concludo con due argomenti che sono anche l'assunzione di una responsabilità solenne.
La sinistra italiana ha una grande tradizione: dalla storia del Partito Comunista, alle esperienze socialiste e alle altre forze della sinistra politica che hanno fatto la storia e costruito la democrazia di questo paese, alle organizzazioni del lavoro e del conflitto di classe, a quella sinistra sociale e dei movimenti che ha innervato il tessuto partecipativo più attivo, a quelle culture politiche di trasformazione, dal femminismo all'ambientalismo critico, al pacifismo che sono fondative della nuova sinistra. Il movimento altermondialista, la sua domanda di un altro mondo possibile, ne hanno riaperto la strada per il futuro. Ci vuole il nostro, il vostro concorso perché si concretizzi, perché si riprenda il cammino. Ci vogliono sentimenti caldi, passione, emozione. Dobbiamo metterli in opera.
Non si illudano: l'anomalia del caso italiano non sarà cancellata. Questo è il voto utile che chiediamo a tutte le donne e gli uomini di sinistra.
Qualsiasi esito del voto, non metterà in discussione il processo unitario in atto.
Abbiamo la forza di innovarci e cambiare per reggere la sfida di oggi, invertendo il processo di divisione e frantumazione. La Sinistra L'Arcobaleno è questo progetto, non è l'espediente per l'oggi ma l'investimento per il futuro.
Il 15 aprile parte il processo costituente della nuova sinistra. Fausto Bertinotti
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