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Il Blog di Alessandro Rizzo | www.partecipaMi.it
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Venerdì, 6 Giugno, 2008 - 10:36

La difficile scelta di Mr. Obama

La difficile scelta di Mr. Obama
Marco d'Eramo
da Il Manifesto del 5 giugno 2008

Se a novembre Barack Obama non vincesse le elezioni, sarebbe una tragedia per tutti noi. Non che si possano riporre speranze vertiginose nel senatore dell'Illinois. Ma una sua sconfitta significherebbe che la democrazia parlamentare occidentale non è in grado di sanzionare nemmeno un'amministrazione, quella di George W. Bush, che in otto anni ha commesso innominabili abomini: un milione di iracheni e 4.500 soldati Usa morti per nulla, le garanzie costituzionali gettate nelle discariche, l'habeas corpus abrogato, la tortura legittimata, l'ambiente devastato, la gestione cinica dell'economia, i regali ai ricchi, l'inflazione mondiale, il prezzo delle derrate alimentari, tutti fenomeni riconducibili alle politiche dell'ineffabile coppia Bush-Cheney.
Però la strada si presenta ardua per Obama. Soprattutto, sarà necessario per lui tornare a fare politica, qualcosa cioè che nell'epica battaglia con Hillary Clinton era scomparso. Finora la dimensione identitaria ha offuscato gli argomenti che stanno a cuore agli elettori: la propria vita, il proprio benessere, un ragionevole accordo con la propria coscienza. Il titanico scontro tra «la donna» e «il nero» nascondeva una più prosaica verità: su tutti i problemi concreti, le differenze tra i due sono marginali e spesso le loro posizioni indistinguibili. Paradossalmente, è stato molto più politico il processo di selezione repubblicano che ha scelto in McCain una sorta di anti-Bush di destra e che ha puntato a cambiare le gerarchie del proprio blocco sociale riducendo la prominenza del fattore religioso.
In campo democratico invece si è parlato finora di quel che i sociologi chiamano «gruppi primari» e i sei mesi di primarie non hanno fatto altro che evidenziare le molteplici fratture che spaccano il blocco sociale democratico secondo linee etniche, razziali, generazionali, di classe: ispanici, bianchi poveri e incolti, donne bianche e anziani dal lato di Hillary; bianchi agiati, neri, giovani, strati culturalizzati per Barack. La riprova più paradossale si è avuta pochi giorni fa a Portorico, la cui popolazione è a stragrande maggioranza costituita da ispanici neri: ebbene, nelle primarie, i portoricani hanno deciso di essere ispanici con Hillary contro il nero Obama.
È per queste fratture che il silenzio di Hillary Clinton sulle proprie intenzioni incombe grave sui democratici. In fondo la senatrice di New York ha ottenuto più (o altrettanti) voti popolari di Obama, ha dalla sua tutti i grandi stati (New York, California, Massachusetts, Texas) e ha conquistato gli stati oscillanti, quelli che potrebbero dare la vittoria a novembre (Ohio, Florida, New Mexico, West Virginia). Insomma Hillary rappresenta metà del partito non solo per genere o per consenso popolare, ma per struttura sociale.
Obama si trova perciò in una tenaglia. Se non imbarca Hillary nel proprio ticket, si aliena metà dei propri probabili elettori e il 4 novembre sarà una gara a chi subisce meno astensioni, di bigotti per John McCain, di donne, ispanici e bianchi poveri razzisti per Obama. Ma se imbarca Hillary come vicepresidente, Obama fa il pieno dell'ostilità repubblicana per un nero e per una donna, ottenendo «l'intersezione del consenso e l'unione del dissenso». Ecco perché la risposta che Obama e la leadership democratica debbono dare al problema Hillary non può essere funzionale, ma deve essere politica, perché politico è il problema.
Venerdì, 6 Giugno, 2008 - 10:30

Sapienza, il rettore con gli studenti

Sapienza, il rettore con gli studenti
Renato Guarini incontra una delegazione universitaria e conferma le critiche al convegno sulle foibe
Nell'autorizzazione concessa a Forza nuova da Pescosolido ci sarebbero vizi di forma: giovedì la discussione in senato accademico. E oggi assemblea dei collettivi
Giacomo Russo Spena
Roma
Il Manifesto 4 giugno 2008

Una vittoria, almeno a sentire gli studenti. Il rettore della Sapienza Renato Guarini, di ritorno dal quel convegno a Mosca che gli ha fatto saltare una settimana turbolenta per il suo ateneo, ieri mattina ha ricevuto una delegazione dei collettivi universitari. Per fare chiarezza sui fatti. L'incontro, durato mezz'ora, ha toccato i punti che hanno «acceso» l'università nei giorni scorsi: il convegno di Forza Nuova, la successiva aggressione e, per il futuro, la condotta da seguire.
«E' stato un incontro positivo - afferma Francesco della Rete per l'autoformazione - Guarini ha confermato tutte le posizioni prese da Frati». D'altra parte era prevedibile che le parole del prorettore di questi giorni fossero concordate con il suo «superiore» da Mosca. Ma forse il rettore si è spinto anche oltre. Nella discussione con gli studenti, Guarini avrebbe condannato il fatto che il convegno sulle foibe organizzato da Lotta Universitaria (sigla di Forza Nuova), e autorizzato dal preside di Lettere Guido Pescosolido, fosse tutto «esterno» all'ateneo, non essendo coinvolti nel dibattito docenti della Sapienza. Sugli episodi dello scorso martedì mattina il rettore avrebbe poi confermato le posizioni espresse da Frati, non parlando di rissa tra gruppi, ma attaccando gli atteggiamenti violenti dei forzanovisti contro studenti regolarmente iscritti. E per questo Guarini, secondo l'impressione percepita dagli studenti, sarebbe piuttosto orientato nell'evitare eventuali future concessioni ad iniziative di Fn. Nessuna parola invece sulla decisione di costituire l'università parte civile al processo: se ne discuterà giovedì mattina in senato accademico, in presenza di tutti le istituzioni dell'ateneo.
Ma a sorpresa il rettore si sarebbe soffermato su alcuni vizi di forma di cui soffriva l'autorizzazione di Pescosolido. Il primo: il forzanovista ventunenne Andrea Fiorucci, ora a giudizio per «rissa aggravata», che aveva presentato domanda per il convegno sulle foibe, risulta iscritto a Scienze Politiche e non a Lettere, condizione necessaria per ottenere la disponibilità di un'aula della facoltà. A questo proposito i collettivi si interrogano sul «perché il ragazzo di Lotta Universitaria sia andato proprio a Lettere a chiedere l'autorizzazione». «Forse - malignano - ha visto in Pescosolido l'unica sponda istituzionale possibile». Molto più probabilmente si tratta della facoltà migliore per la riuscita di una provocazione studiata ad hoc. Ma i vizi di forma riscontrati da Guarini non sono finiti: il regolamento dell'ateneo prevede, infatti, che in caso di invito di un parlamentare, e Roberto Fiore lo è, è necessaria la «codecisione»: rettore e preside decidono insieme. Regolamento che Pescosolido avrebbe violato. Tali questioni verranno discusse in senato accademico con il rappresentante dei collettivi Francesco Brancaccio che presenterà un'interrogazione.
Nell'incontro Guarini non ha però voluto parlare delle minacce che Pescosolido avrebbe ricevuto da uno studente di sinistra: sulla questione, si sarebbe limitato a dire il rettore, la procura ha aperto un fascicolo, bisogna ora attendere che la giustizia faccia il suo corso. Rinviati invece al mittente gli attacchi della destra sull'«anomalia della Sapienza» e sull'idea di «ingovernabilità» dell'ateneo. «Abbiamo avuto parole confortanti sulle nostre pratiche di partecipazione - riferisce la delegazione studentesca - Guarini ha rimarcato la via del dialogo».
Intanto i collettivi per oggi pomeriggio lanciano un'assemblea pubblica dal titolo «La verità sotto sequestro», con l'intento di fare chiarezza sui fatti. «Non abbiamo minacciato proprio nessuno - si difendono - chiediamo la liberazione di Emiliano Marini, quel giorno siamo stati aggrediti». E per pagare le spese legali stanno organizzando una festa il 19 giugno a Lettere. Poi confidano sul senato accademico di giovedì: «Speriamo si faccia chiarezza e l'ateneo prenda una posizione ufficiale sull'aggressione di Forza nuova».

Giovedì, 5 Giugno, 2008 - 14:52

Cinema - Dream Boy

da NoirPink
http://noirpink.blogspot.com/

Fine anni Settanta. Nathan, un adolescente sognatore, timido, un po' imbranato e gay, si trasferisce in uno sperduto villaggio della Louisiana, nel grande e vuoto sud agricolo degli Stati Uniti. E da qui in poi è abbastanza inutile proseguire nel raccontare la storia di “Dream Boy”, film del regista e sceneggiatore americano James Bolton, tratto da un omonimo romanzo del 1995 del cupissimo scrittore Jim Grimsley.
Come avrete già potuto immaginare, Nathan è vittima di violenze da parte del padre, incontrerà il suo primo amore (il biondino Roy), i due innamorati dovranno scontrarsi con il clima oppressivo della cittadina, fino a un finale ovviamente tragico, causato, altrettanto ovviamente, da un omosessuale represso e omofobo, roso dall'invidia, dalla paura e dal disprezzo interiorizzati.
Una storia già sentita, già letta e già vista per un numero tale di volte che non è più possibile tenerne il conto. Insomma, una trama che di nuovo non sa dirci nulla, se non ripeterci per l'ennesima volta la storia del Giovane Gay Timido che Finirà Male.
Ma se, dal punto di vista della storia che racconta, “Dream Boy” risulta sostanzialmente inutile, qualcosa di buono riesce comunque ad offrire.
Offre una qualità tecnica certamente più alta della media, anche se non riesce mai ad emozionare realmente. Offre anche giovani attori (Stephan Bender, già visto nei panni del Clark Kent adolescente di “Superman Returns”, e Maximillian Roeg, che tanti cuori ha infranto nel pubblico) con notevoli capacità interpretative, anche se non sfruttate appieno. E poi si tratta di un film abile nel raccontare i ritmi lenti e i rumori ovattati di una comunità rurale, il senso di soffocamento che una piccola cittadina, una famiglia e una parrocchia riescono a trasmettere, mostrando semplicemente la loro cupa “normalità”, senza ricorrere a forzature o a iperboli. Ed è delicato e dolce, ma mai sdolcinato, il racconto dell'esplorazione del corpo dell'altro, dei primi baci, delle prime carezze, delle prime esperienze sessuali.
Ma l'aspetto più interessante e sorprendente è la decisione di raccontare l'orrore della violenza (familiare e non) contaminandosi con il linguaggio, i colori, le musiche e le inquietudini del genere horror. Per ricordarci che i fantasmi in circolazione in questo mondo sono davvero tanti e di molti tipi diversi. Uno appare anche nel finale, di una dolcezza un po' stucchevole, ma che, in fin dei conti, non stona in un film adolescenziale.

Il film è stato presentato alla Berlinale a febbraio e al Festival Mix di cinema gaylesbico e queer culture di Milano a giugno (http://www.cinemagaylesbico.com/).

Martedì, 3 Giugno, 2008 - 10:17

Invito al confronto - Pridemilano08

INVITO
   
... ma non togliamo il disturbo!
il Pride, e oltre...
Lesbiche, gay e trans si confrontano
sul Pride del 7 giugno a Milano
e sulle proposte per il futuro del movimento LGBT
milanese e lombardo
Martedì 3 giugno 2008
dalle ore 20,30
Spazio Morigi
via Morigi, 8 - Milano
Lunedì, 2 Giugno, 2008 - 16:12

«Basta leggi speciali e razziste»

«Basta leggi speciali e razziste»
A 10 anni dalla Turco-Napolitano e dall'apertura dei Cpt, tutti hanno accettato l'idea spaventosa di una detenzione separata per gli stranieri Intervista a Pietro Massarotto, avvocato e presidente del Naga. Il pacchetto sicurezza, la follia dei Cpt, l'ideologia sicuritaria sedimentata nel sentire comune, l'urgenza di ricominciare a «razionalizzare» da sinistra
Luca Fazio
Milano
Il Manifesto 31 maggio 2008

A Pietro Massarotto, avvocato e presidente del Naga, storica associazione che a Milano si occupa della salute e dei diritti dei migranti, è tornata la voglia di fare politica, fuori dai partiti, cercando sponde non istituzionali per tornare a far circolare un po' di razionalità.
Un tribunale per la prima volta ha applicato l'aggravante di clandestinità. Che ne pensi?
L'aggravante specifica è del tutto estranea alla forma reato. E' oggettiva, cioé senza colpa né dolo: non indica la volontà di delinquere. Quindi presenta rilevanti profili di incostituzionalità, insomma è una ulteriore discriminazione, l'ennesimo tassello della costruzione di un diritto separato e dedicato agli stranieri. In parte è già così: la normativa sui trattenimenti nei Cpt è già speciale, perché questo tipo di limitazione della libertà non si applica agli italiani.
Tanto più che oggi si prefigurano 18 mesi di detenzione, un'autentica follia.
La Corte costituzionale non considera il Cpt un carcere poiché il tempo di trattenimento è stato definito limitato, mentre portarlo a 18 mesi significa di fatto imprigionare un soggetto per una sanzione di tipo amministrativo. E' un tempo spaventoso e ingiustificato: se non si riesce ad eseguire un'espulsione in 2 mesi, a cosa serve detenere una persona un anno e mezzo? Oggi, il Viminale stesso dice che si riesce ad eseguire solo il 45% delle espulsioni. Inoltre, non capisco come si combini il reato di immigrazione clandestina con il Cpt: se viene istituito un nuovo reato, il colpevole deve andare in carcere. Ho letto i disegni di legge e fatico a capire, allora dicano che vogliono trasformare i Cpt in vere e proprie carceri; in più, per mantenere lo stesso numero di «trattenuti» per 18 mesi bisognerebbe costruirne nove volte tanti.
Non sento proteste.
La valanga è cominciata nel 1998 ai tempi della legge Turco-Napolitano, dopo dieci anni la detenzione separata è stata metabolizzata da tutti. Ricordiamoci che in Italia il reato di clandestinità c'è già, perché la seconda espulsione è già reato: ora si vuole solo sdoganare una misura che in seconda battuta era già prevista. E' inaudito perché l'Italia non ha una normativa che permette un accesso regolare, e infatti il 93% di incremento degli stranieri sul territorio è dovuto a sanatorie, per cui l'irregolarità è strutturale, è come dire che tutti gli stranieri sono criminali. Detto questo, ormai gli italiani se la prendono anche con i regolari, basta guardare cosa sta accadendo ai rom, che sono quasi tutti comunitari (e negli ultimi 5 anni, a Milano, non sono aumentari: sono sempre 5.000!)
La caccia è anche sui tram...
Particolarmente odioso, perché è un'azione che non tende a colpire i potenziali delinquenti ma tutti coloro che usano i mezzi pubblici, e tendenzialmente sono lavoratori e lavoratrici, badanti, muratori, magari in nero. I vigili di Milano, comunque, da anni svolgono ruoli di polizia, più o meno da quando i sindaci sono stati eletti direttamente. Da quel momento si sono sentiti tutori in prima persona dell'ordine pubblico, e oggi assistiamo a un'escalation.
Come si può ripartire, di questi tempi, con una mobilitazione antirazzista?
Credo che una risposta immediata sul territorio oggi sia molto difficile, in altre parole si rischia il flop, anche se in questi casi sarebbe doveroso. Penso a un'azione di lunga durata di tipo più strutturale, andare nei quartieri, rimettere in connessione soggetti e associazioni che non si parlano più. Il problema sono gli italiani, che in larga parte condividono le misure repressive. Bisogna riportare la razionalità nelle strade, anche a costo di prendersi qualche insulto, prevedo tempi lunghi ma ormai non possiamo fare altro. Un presidio di protesta, con dieci o venti persone, lo si può anche organizzare, ma servirebbe più che altro per farsi vedere da giornali e televisioni.
Facciamo finta che da oggi il pacchetto sicurezza di Maroni è legge per come lo conosciamo attraverso le indiscrezioni. Cosa accadrebbe nella realtà?
Ho l'impressione che ancora una volta si tratti di un intervento simbolico per sfruttare il miglior capro espiatorio che ci sia, l'immigrato. Non sarà molto effiace, sarebbe come cercare di colpire uno sciame di api impugnando il bazooka, le poche che prendi le sfracelli, ma il «problema» rimane. Diverso è l'impatto culturale di questa deriva sicuritaria, la quale, se ancora fosse necessario, fomenta ancora di più i peggiori istinti razzisti. Ma, concretamente, facciamo due conti. Negli ultimi cinque anni, tra respingimenti alla frontiera e espulsioni, in Italia abbiamo cacciato più o meno 100 mila persone all'anno, quindi per rendere applicabile la pena per il reato di clandestinità bisognerebbe raddoppiare in un anno la popolazione carceraria. Diventerebbe il maggiore di tutti i reati commessi, per non parlare dei costi...
Gli stranieri che contatti sono preoccupati più del solito?
Le persone che telefonano al Naga hanno paura, sono semi-clandestini, con alloggio e lavoro. Per i colloqui, abbiamo cominciato a dare i numerini.

Lunedì, 2 Giugno, 2008 - 10:16

CONTRO LE RONDE DEI VIGLIACCHI E IL SILENZIO DEI FARISEI

CONTRO LE RONDE DEI VIGLIACCHI E IL SILENZIO DEI FARISEI

UNA CAMPAGNA PER UNA COMUNITÀ CIVILE E ACCOGLIENTE

Il rogo dei campi rom a Napoli, le molotov contro i campi di Pavia, i raid contro attività commerciali di extracomunitari, le sprangate a un militante gay di Roma, la sassaiola contro una madre e una bambina sinte di Brescia, l’immigrato morto per mancanza di soccorso nel CPT di Torino, mentre le città d’Italia sono percorse da ronde di tutti i colori, sono solo alcune delle tante e diverse punte dello stesso mostruoso iceberg che avvelena il nostro Paese: l’insofferenza diffusa contro il diverso, l’immigrato, lo zingaro  ha assunto i connotati espliciti della xenofobia e del razzismo.

Questo è il portato di campagne elettorali tutte all’insegna di una insicurezza costruita gridando a un lupo senza denti, che scarica sul più debole il malessere di una società percorsa da un disagio sociale e morale profondo, grande responsabilità del quale tocca a una politica che rinuncia al compito di educazione civile per seguire gli istinti peggiori in un perverso circuito vizioso: la politica, con il coro condiscendente dei media, alimenta la paura dei cittadini che premiano con il voto questa politica.

Questa nuova Italia che criminalizza per decreto la povertà, l’Italia della violenza contro gli ultimi, del pregiudizio elevato a verità (gli zingari rubano i bambini), della giustizia fai da te dovrebbe invece far riflettere sul lungo decorso della malattia della nostra società e sulle preoccupanti prospettive del suo futuro. Non si può non legare i Maso, le Eriche e gli Omar, che uccidono i genitori per denaro, ai ragazzini che violentano e uccidono una coetanea, al branco che uccide un diverso da loro a Verona, al bullismo nelle scuole, alla violenza praticata nelle famiglie.

L’angoscia che ci prende di fronte a questo scenario e al clima che ci riporta all’ancora recente passato della nascita, della vita e della morte apparente dei regimi fascista e nazista è dovuta anche al silenzio farisaico di chi sottovaluta questi processi o addirittura pensa che bisogna assecondarli  per recuperare un consenso politico perduto per ben altre ragioni. Ma soprattutto ci pesa vedere il volto vile di un paese malato. Coloro che aizzano i cani, lanciano molotov e sassi, percorrono in ronde minacciose le città, i sindaci che annunciano nei cartelloni luminosi dei loro borghi che “i clandestini possono stuprare i tuoi figli” sono il volto vigliacco di chi non è capace di guardare al male che porta dentro di sé, di chi rifiuta di affrontare la camorra che a Napoli controlla i rifiuti e organizza i roghi dei campi rom, la mafia che controlla la vita e il voto dei siciliani, l’andrangheta che non solo è padrona del territorio calabrese ma di interi quartieri di città come Milano.

Noi riteniamo decisivo che qui, il territorio che con il rogo di Opera ha inaugurato la caccia al rom e la sua contropartita politica, ci sia una risposta di mobilitazione contro questa degenerazione. Una risposta che avvii il lungo e difficile lavoro per riportare nella città e nei quartieri il senso di una comunità che considera la legge uguale per tutti e protegge chi cerca accoglienza e dignità. Un percorso da costruire insieme con tutti coloro - forze politiche e sociali, cittadini, senza pregiudizi di schieramento - che ritengono necessario riportare il dialogo nelle realtà concrete del malessere, non lasciare soli gli ultimi della terra, confrontarsi con le radici del disagio sociale e insieme costruire le ragioni e i valori della cittadinanza per tutti.

Paolo Cagna Ninchi, Dijana Pavlovic

Per adesioni: dijana.pavlovic@fastwebnet.it

 

 

Domenica, 1 Giugno, 2008 - 13:57

Appello per chiusura CPT

APPELLO
SOSTIENI LA CAMPAGNA PER LA CHIUSURA
DEI CENTRI DI PERMANENZA TEMPORANEA (CPT) PER MIGRANTI IN EUROPA
FIRMA LA PETITIZIONE
Il tema dell'immigrazione è al centro del dibattito delle istituzioni comunitarie. Il Parlamento Europeo sta discutendo la proposta di direttiva per istituire "norme e procedure comuni per il rimpatrio degli immigrati illegali" nell'Unione Europea.
La proposta di direttiva riguarda i cittadini di Paesi terzi che soggiornano illegalmente, all'interno di uno degli Stati membri, indipendentemente da quali siano le ragioni della presenza irregolare.
Dall'impianto della proposta emerge che la Commissione intende disciplinare il "fenomeno immigrazione" esclusivamente sotto il profilo repressivo, ovvero, come lotta agli irregolari.
La proposta di direttiva contiene molti punti criticabili.
In particolare ci sta a cuore sottolineare l'istituzionalizzazione a livello europeo della detenzione amministrativa in centri di permanenza temporanea per la durata massima di sei mesi.
  • I centri di detenzione amministrativa sono del tutto simili, se non peggio, a delle prigioni. In questi luoghi, inumani e degradanti, spesso vengono violati i diritti umani, le  libertà individuali e vengono commessi abusi e violenze, così come è stato denunciato da moltissime organizzazioni non governative, agenzie internazionali, delegazioni parlamentari e giornalisti in occasione della loro visita in queste strutture.

  • La detenzione amministrativa è un'aberrazione giuridica, poiché impone per una violazione amministrativa - come l'ingresso irregolare in un Paese o la semplice scadenza del permesso di soggiorno - una sanzione carceraria.
  • La detenzione temporanea - che potendo prorogarsi per sei mesi, certamente, non può ancora definirsi temporanea - è uno strumento notoriamente incapace di fungere da deterrente all'immigrazione irregolare ed è, altresì, inefficace per procedere all'identificazione dei migranti.
  • Questi luoghi continuano ad essere strutture poco trasparenti, con limitazioni d'accesso nei confronti delle organizzazioni che si occupano di difesa dei diritti umani e dei migranti. La direttiva prevede che l'accesso a tali strutture sia subordinato all'autorizzazione preventiva delle autorità governative.
All'interno dei venticinque paesi membri esistono 174 strutture di detenzione amministrativa (http://www.no-fortezza-europa.eu/showPage.jsp?ID=3), altre sono state costruite in paesi candidati e limitrofi.
In occasione del dibattito parlamentare, vogliamo costruire, insieme alle organizzazioni e persone sensibili a queste tematiche, una campagna europea per la chiusura di tutti i centri di detenzione amministrativa d'Europa.
Per costruire insieme la campagna o semplicemente per aderire (organizzazioni o singoli), completate il form.
Le adesioni raccolte attraverso questo sito saranno portate all'attenzione dei governi degli Stati membri dell'Unione Europea e della Commissione Europea per mostrare la volontà di persone e della società civile per la chiusura dei Centri di permanenza temporanea.
 
Le vostre firme saranno aggiunte alla lista dei firmatari, consultabile alla pagina  "View current signatories" (http://www.no-fortezza-europa.eu/showPage.jsp?ID=2512&PR=0&AREA=2504&GRP=0&SITE=0&CH=1&TYPE=0&FILENAME=showPage.jsp&INTERNAL=1&ISSUE=0&POPUP=0)

(Lista dei Firmatari) su questo sito. Vi preghiamo di notare che  i vostri indirizzi email non saranno mostrati su tale pagina, né saranno fatti circolare o distribuiti  in nessun modo.

per firmare accedi all'URL:
http://www.no-fortezza-europa.eu/showPage.jsp

Domenica, 1 Giugno, 2008 - 13:55

Un atto di discriminazione: le retate sui mezzi ATM

Da tempo si è dato avvio a una caccia alle streghe, come se di nuovo si fosse piombati nell'oscurantismo medioevale più cupo, quello dei tempi dell'inquisizione. Le streghe, individuate come capri espiatori delle disgrazie sociali, sono i nomadi, dapprima, i migranti, ora, chissà quali altre categorie in futuro, non tanto remoto.
Il vicesindaco sceriffo Decorato ha palesato zelo nei riguardi della sua maggioranza nazionale, dando attuazione anzi tempo a un decreto che deva ancora essere discusso e deliberato in Parlamento: il pacchetto sicurezza, che prevede la penalizzazione e la perseguibilità del reato di "clandestinità".
I cascami e le conseguenze gravose derivanti dal futuro disegno di legge sono già ampiamente sperimentati nella città meneghina, in questi casi posta all'avanguardia di un provvedimento che soffre, come palesato da diversi paesi europei e dalla stessa Unione Europea, di eccezioni di illegittimità e di contrasto con la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, della Carta Europea dei Diritti Umani, delle Convenzioni internazionali in materia di difesa del diritto d'asilo politico.
La Giunta di Milano prosegue imperterrita sulla strada della sicurezza senza se e senza ma, divenendo laboratorio, nonostante il significato nobile del termine, di pratiche quotidiane di repressione poliziesca. Addirittura un reato amministrativo, quello di clandestinità, diventa condizione per porre in limitazioni severe di libertà persone di diverse etnie, detenendoli in Centri di Permanenza Temporanea, dove diversi soprusi e diverse angherie sono state documentate e registrate da ispettrici e ispettori europei, del Parlamento Europeo, italiano, della Commissione UE.
Da qualche giorno alle fermate dei mezzi pubblici abbiamo una pletora di controllori ATM affiancati dalla Polizia Locale, i consueti vigili urbani, oggi dotati di manganello e di pistola, che controllano i "non italiani" per verificarne il possesso del permesso di soggiorno e, in caso di assenza, caricarli su appositi mezzi, sempre disposti dall'azienda dei trasporti, che li traghetteranno in Questura e, infine, nei CPT in attesa di essere ricondotti nei paesi di provenienza. Non importa la causa della loro fuga da situazioni di alta tensione bellicosa o di disperazione economica, non importa se soggetti di diritto di riconoscimento dell'asilo politico, istituzione internazionalmente tutelata, ma elusa dall'Italia: è importante eliminare il "criminale potenziale" individuato nell'"extracomunitario" di turno che deve essere allontanato perchè mette in pericolo la sicurezza civile della quotidiana vita ed esistenza di una città asfissiata dall'individualismo e dalla grettezza.
E' veramente singolare l'utilizzo della Polizia Locale in una funzione che non è propria di questo corpo e che non coincide con l'obiettivo della loro istituzione come vigili del traffico e delle infrazioni varie e molteplici esistenti a livello di codice della strada .
Ma è anche fortemente grave che esistano delle retate sui mezzi pubblici e che si consideri la clandestinità come reato. La clandestinità è una condizione sociale ed esistenziale non solo precaria ma fortemente tragica, drammatica, di chi vive in condizioni disumane, di disagio estremo, di non vivibilità, di esclusione da processi, di non riconoscimento di diritti sociali e di garanzie, spesso vittime di un mercato che tende a schiavizzare e a sfruttare senza garanzie e tutele la forza lavoro a basso costo.
Molte e molti clandestini oggi presenti in Italia lavorano e si sono perfettamente integrati in un sistema complessivo che richiede il loro ricnoscimento come risorse: vedo ragazze e ragazzi a vendere in modo ambulante, si considera abusivo, che sono persone con alta formazione professionale e che, se diversamente canalizzati, potrebbero garantire una ricchezza per la nostra società, non solo economia, come alcuni industriali tendono a minimizzare.
E' assurdo che un'azienda dei trasporti adotti pratiche di controllo altamente discriminatorie e dia supporto a una disposizione, non discussa in consiglio comunale, quindi inficiata per le modalità e la procedura di eseguibilità da vizi di procedura democratica, assolutamente repressiva, fortemente limitativa dei diritti umani, gravemente condizionata da una logica generalizzante e massificante del concetto di "reato e infrazione", come avviene per i nomadi che vengono perseguiti solamente perchè appartenenti a un'etnia e a una cultura. Le disposizioni che prevedevano un'applicazione massificata e generalizzata, disposte ad hoc per un intero popolo, una intera categoria, sono le disposizioni che sospendono e si antempongono a uno stato di diritto e che propendono per il pregiudizio rendendo il sospetto, fondato su irrazionali motivazioni, come base giustificante un procedimento di sospensione di garanzie e di tutele.
Sono preoccupato e chiedo all'amministrazione il motivo delle disposizioni, quale sia stata la procedura che ha avviato questa disposizione, quale siano gli effetti e le conseguenze derivanti, sospendendone immediatamente l'attuazione per palese violazione dei diritti umani, per atttribuzione di competenze escluse dalle funzioni istituzionali dei corpi della vigilanza e della Polizia Locale, per eccesso di potere, per assenza delle motivazioni di urgente applicabilità, per possibilità di rendere il Comune e la sua amministrazione passibile di procedure di infrazione di disposizioni internazionali in materia di diritti umani e di tutela e riconoscimento del diritto di asilo politico, estremo, questo, già presente nella non assicurazione di alloggi per i migranti eritrei presenti per diversi mesi in condizioni di disumano
degrado, obbligati a vivere nell'ex caserma dell'aviazione di Viale Forlanini.
Milano ritorni a essere la città cosmopolita della tolleranza e della giustizia sociale, della multietnicità, dell'integrazione, quale sempre stata nel suo passato, e quale oggi rischia di non diventare in modo sempre più repressivo e regressivo.

Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano

Domenica, 1 Giugno, 2008 - 11:39

Una chiamata per tutti

Gay Pride
Una chiamata per tutti
Aurelio Mancuso
da Il Manifesto 31 maggio 2008

Cosa accade a Roma? Quello che si percepisce con diverse intensità in tutto il paese: il clima dopo le elezioni politiche è sensibilmente peggiorato. Se sabato prossimo nella capitale il Pride cittadino non potrà concludersi in Piazza San Giovanni, significa che si sollecita lo scontro diretto tra chi rappresenta istanze sociali di libertà e la destra politica e sociale. A Milano che nelle stesse ore si terrà il Pride cittadino, per ora non ci sono novità.
Non così per il Pride regionale di Biella previsto il 14 giugno, dove il Prefetto si è lasciato andare a dichiarazioni stupefacenti, sul diritto di chi fa shopping di non essere costretto a vedere manifestazioni magari non condivisibili. Insomma tra realisti più del re, funzionari zelanti che pensano di interpretare il pensiero dei nuovi «padroni» e, probabilmente qualche suggerimento politico, i Pride rischiano di diventare la prima trincea difensiva della sinistra sociale italiana. Uso il termine «rischiano», perché non ci teniamo che la natura, la storia, le nostre pratiche, siano travolte da uno scontro che non abbiamo cercato e che non vogliamo. Forse dovevamo attenderci, dopo che l'ondata di razzismo e di omofobia, che da tempo si è abbattuta sul nostro paese, si è trasformata in vero e proprio tzunami, i Pride sarebbero diventati facile bersaglio di un sentimento per troppi anni sopito nelle frange della destra clericale e fascista, dei gruppi estremisti.
Ora bisogna tenere duro, e non cadere nelle evidenti provocazioni che provengono da troppe parti. N'è cosciente il Comitato Organizzatore di Roma, di cui è capofila il Circolo Mario Mieli, lo sanno bene tutte le associazioni lgbt che stanno organizzando le altre iniziative, che convergeranno nel Pride nazionale di Bologna del 28 giugno. Il nostro popolo vive il Pride come un'occasione di liberazione collettiva festosa, colorata, musicale e, in nessun modo trasformeremo, come qualche esponente della nuova maggioranza, e purtroppo anche dell'opposizione, in una parata listata a lutto, cupa, preoccupata. Le ragioni del nostro stare in strada sono identiche dalla nascita del movimento, perché né la destra né la sinistra hanno fornito risposte adeguate. Viviamo in un paese lontano dall'Europa, impaurito ad arte rispetto le differenze, alle altrui libertà civili e sociali, dove crisi economica e baratro valoriale hanno contribuito al trionfo di una destra, che oggi si fa più accorta, ma che non ha cambiato la sostanza del suo pensiero escludente.
Allora se le sinistre e il centro sinistra, vogliono dare un segnale concreto non sono sufficienti i soliti consunti attestati di solidarietà e di impegno generico. Vedremo le persone in carne ed ossa, di Rifondazione, Verdi, Sd, Comunisti Italiani, Socialisti, Democratici con noi? Non sono necessarie bandiere, sono sufficienti le nostre dell'arcobaleno della felicità e della libertà. I vostri corpi saranno uniti ai nostri, capaci di mettersi in sintonia con le nostre modalità, con le nostre pratiche non violente, per essere finalmente a sostegno di una delle vere rivoluzioni sociali e culturali mai ancora realizzate in Italia, anche a causa dell'arretratezza culturale dei gruppi dirigenti politici? Siamo consapevoli che è assolutamente necessario ricercare unità di intenti tra diversi movimenti, primo fra tutti quello delle donne, per attivare nuove aggregazioni, nuovi percorsi sociali e culturali. Roma, Milano, Biella, Bologna, Catania, sono le città dove per un mese troverete la comunità lgbt in piazza, diamoci l'occasione per ripartire con il piede giusto.
Aurelio Mancuso

Sabato, 31 Maggio, 2008 - 18:02

La Regione aumenta gli affitti ALER

La Regione Lombardia palesa una contraddizione assurda nelle politiche riguardanti l'edilizia pubblica e la tutela dell'inquilinato delle case popolari. L'ALER gestisce come propria proprietà 105000 delle 170000 alloggi popolari presenti nel contesto regionale, molti dei quali a Milano. Ricordiamo a proposito che Milano vede la presenza di cinque contratti di quartiere, ossia quelle realtà convenzionali che vorrebbero definire programmi e progetti di intervento per la riqualificazione urbana, sociale e culturale delle zone a edilizia popolare, con forte densità di stabili popolari. In zona 4, la zona dove sono consigliere, ci sono ben 3 di questi 5 contratti e, si spera, tra pochi mesi, si aggiungerà un quarto contratto di quartiere, il contratto di quartiere 2 bis, riguardante una zona finora non riconosciuta come realtà beneficiante di un progetto concordato di riqualificazione complessiva, il quartiere Salomone.
Da una parte, a urne chiuse, la maggioranza di centrodestra ha scelto di provvedere a tagliare il 75% dei fondi destinati a provvedimenti di manutenzione e interventi di edificazione riguardanti la residenza pubblica. La giustificazione del provvedimento consiste nel fatto che si voleva risparmiare perchè le casse regionali soffrivano, mentre qualche mese dopo si verifica la disposizione in bilancio di una cospicua somma, 470 milioni di euro, per dare avvio al progetto di intervento per il nuovo polo regionale amministrativo. La contraddizione è evidente: tagliamo un capitolo a beneficio delle classi più indigenti e, dall'altra parte, rimpinguiamo i fondi per interventi di edilizia roboanti e mastodontici.
Non solo: dopo alcuni giorni dalle ultime elezioni la Giunta Formigoni decide di aumentare il canone di affitto per gli inquilini delle case popolari. Questo tema riguarda anche Milano per i motivi sopra esposti. L'aumento è stato consistente e concerne un incremento in percentuale molto elevato rispetto ai precedenti anni. La giustificazione di questo provvedimento è stata data dall'assessore alla casa della Regione Lombardia, il quale ha detto che per limitare situazioni di privilegio si è ipotizzato fosse importante avviare questo strumento di deterrenza. Mi domando quali siano le condizioni di privilegio per migliaia di nuclei familiari che si trovano ogni mese oberati da spese indirette e comuni che aumentano a dismisura e in modo esponenzialmente insostenibile. Mi riferisco, in primis, alla "tassa sui rifiuti", il cui canone risulta essere maggiore rispetto allo stesso affitto. Ma mi riferisco a diverse voci di spesa irrazionali e non comprensibili, decretate dall'ente gestore ALER, senza che vengano assicurati servizi opportuni e utili, nonchè funzionali ed efficienti per la vivibilità di interi isolati dimenticati dalle amministrazioni comunali, soprattutto a Milano.
Mi viene anche il dubbio che l'ALER palesi una gestione poco trasparente e soggetta a incomprensibili sperperi, data la non comprensibilità di diverse voci di spesa gravanti sulle famiglie dei quartieri popolari.
I sindacati degli inquilini da tempo chiedono un incontro con l'assessorato e l'amministrazione regionale, ma niente è stato assicurato, nèrisposta alcuna è stata data a questa richiesta, nonostante ci sia stata in aprile una manifestazione davanti al Pirellone per denunciare la politica dell'aumento degli affitti delle case popolari.
A Milano vediamo sempre di più l'assenza di un progetto qualificato e completo di intervento nelle zone dove alta è la densità di quartieri popolari. Spesso gli interventi e i progetti che vengono deliberati, con copiosa somma per il finanziamento e la copertura spese, vengono descritti come inutili da parte della maggioranza degli inquilini, non coinvolti e non resi partecipi, spesso neppure informati, dell'entità del progetto e della sua elaborazione,delle conseguenze che da esso deriverebbero profuturo.
Occorre invertire la dimensione politica in merito all'edilizia popolare, alla manutenzione e alla edificazione di nuovi comprensori, al coinvolgimento della cittadinanza residente in progetti di intervento di riqualificazione non solo superficiale delle "facciate dei condomini più esposti", ma di natura sociale, civica, culturale e aggregativa, affinchè diventino zone vivibili e sostenibili.
Non si può proseguire in una pratica del non ascolto dei comitati degli inquilini e dei sindacati stessi, da parte della Regione Lombardia, che pecca di autoreferenzialismo, come denuncia giustamente il consigliere di Rifondazione , Luciano Muhlbauer, e di un Comune spesso assente e poco propenso a una riqualificazione ampia e partecipata dei cinque, tra poco sei, quartieri beneficiati dai contratti.
Un cordiale saluto
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4
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