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.: Il Blog di Alessandro Rizzo
Mercoledì, 2 Luglio, 2008 - 10:04

La minoranza ha il dovere di manifestare

Umberto Eco: "La minoranza
ha il dovere di manifestare"

Umberto Eco ha inviato questa lettera a Furio Colombo, Paolo Flores d'Arcais, Pancho Pardi, promotori della manifestazione dell'8 luglio in Piazza Navona.

Cari Amici,
mentre esprimo la mia solidarietà per la vostra manifestazione, vorrei che essa servisse a ricordare a tutti due punti che si è sovente tentati di dimenticare:

1) Democrazia non significa che la maggioranza ha ragione. Significa che la maggioranza ha il diritto di governare.

2) Democrazia non significa pertanto che la minoranza ha torto. Significa che, mentre rispetta il governo della maggioranza, essa si esprime a voce alta ogni volta che pensa che la maggioranza abbia torto (o addirittura faccia cose contrarie alla legge, alla morale e ai principi stessi della democrazia), e deve farlo sempre e con la massima energia perché questo è il mandato che ha ricevuto dai cittadini. Quando la maggioranza sostiene di aver sempre ragione e la minoranza non osa reagire, allora è in pericolo la democrazia.

Umberto Eco

Martedì, 1 Luglio, 2008 - 12:41

Comunicazione appello di Amnesty per affermare diritto d’asilo

Comunicazione al Consiglio di Zona inerente la richiesta e l’appello di Amnesty International agli stati firmatari di affermare il diritto d’asilo politico riconosciuto nell'art. 14 della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948

 
 
Il dato è allarmante, quello fornito da Amnesty International in merito alla tutela e applicazione del diritto d'asilo per le rifugiate e i rifugiati politici. A 60 anni dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, non si poteva che rendere la Giornata dei diritti delle rifugiate e dei rifugiati, che si è celebrata il 20 giugno, occasione politica per fare un punto e un'analisi sulla situazione in cui versano coloro che ricercano sostegno e ospitalità perchè in fuga da zone martoriate da guerre civili, disastri economici, devastazioni ambientali e climatiche e dall'assenza di risorse vitali, quali l'acqua o il cibo, sempre più carenti in diverse zone del pianeta.
147 è il numero dei firmatari della Dichiarazione e dei Protocolli seguenti per la tutela internazionale del rifugiato e del diritto d'asilo politico. Ma vengono denunciate da alcuni anni, nel rapporto dell'Alto Commissariato per i diritti dei rifugiati dell'ONU, l'UNCHR, e dalla stessa organizzazione mondiale per i diritti dell'uomo, Amnesty International, un costante inadempimento dell'attuazione dei diritti stessi. L'Italia e la Spagna adoperano e propongono metodi e provvedimenti di intercettazione, in collaborazione con gli stati frontalieri presenti nella parte meridionale del Mediterraneo, funzionali a bloccare il transito di persone le quali, tramite viaggi della fortuna e fortemente disastrati, vanno alla ricerca di un'accoglienza, abbandonando gli stati di origine dove sarebbero soggetti a torture, persecuzioni razziali, religiose o politiche, restrizioni di vario tipo, fino a giungere alla pena capitale. Sono diversi i casi, anche in violazione del diritto costituzionale, l'articolo 2, del nostro ordinamento, di persone richiedenti asilo politico rimpatriate rischiando, così, di essere soggette a pene che non sono contemplate nel nostro codice penale in quanto esterne alla cultura giuridica del rispetto della dignità dell'essere umano.
Alcuni stati come la Giordania e la Siria vedono un'esiguità di fondi per i commissariati dei diritti umani al fine di assistere i rifugiati iracheni in ricerca di tutela sanitaria. Non solo: ma molti stati, come la Svezia, che spesso si è evidenziata come nazione dell’integrazione, e che è il paese con maggior numero di rifugiati politici, sta provvedendo ad adottare provvedimenti di espulsione e di rimpatrio di civili iracheni.
Amnesty International ha emesso nella giornata internazionale del rifugiato un appello agli stati firmatari della Convenzione, unico strumento internazionale che assicura una tutela globale ai diritti dei richiedenti asilo politico, in particolare: chiede maggiore collaborazione tra Paesi ospitanti, al fine di sgravare il numero di rifugiati negli stati dove maggiore è la loro concentrazione; politiche di accoglienza, assicuratrici di un’abitazione, di un lavoro, di un’occupazione, di servizi educativi e formativi adeguati, e di assistenza sanitaria, nell’ottica del progetto di “reinsediamento” unica strada che possa determinare un riconoscimento adeguato di una collocazione stabile e durevole. Infine evitare pratiche di rimpatrio di massa, che genera pericolo per coloro che fuggono da situazioni in cui si vedono perseguitati, emarginati, sottoposti a pene capitali, a torture, soggetti a deportazioni etniche, spesso in luoghi impervi e degradati, come le popolazioni africane del Darfur costrette a essere relegate in distese desertiche privi di acqua e di cibo.
Milano è una città europea e come tale dovrebbe adeguare un progetto di inserimento e di reinsediamento funzionale a dare una collocazione stabile e durevole alle persone che richiedono asilo politico: in questi ultimi anni abbiamo visto dare soluzioni temporanee e precarie alle richieste di intervento da parte di diversi migranti. Abbiamo potuto constatare l’inadeguatezza nella nostra circoscrizione dei provvedimenti amministrativi adottati per fare fronte alla questione. Molti migranti sono ancora oggi costretti a vivere in condizioni degradanti e disumane, fortemente instabili, a tempo determinato tanto che, trascorso il periodo queste persone sono costrette a vivere in case abbandonate e fatiscenti, alla diaccio, privi di una minima assistenza sanitaria e sociale, esclusi da ogni possibilità di reinserimento. E’ con questa comunicazione che vorrei rendere rafforzativo quanto richiesto nell’interrogazione riguardante lo sgombero dell’ex scalo di Porta Romana, dove i migranti aventi diritto d’asilo sono stati destinati momentaneamente alle case di accoglienza di Viale Omero, ma in futuro sono soggetti a ritrovarsi nuovamente nelle condizioni di precarietà fino a oggi riscontrate. Vorrei che questa comunicazione, che prende in riferimento il comunicato di Amnesty International, conosciuta e autorevole organizzazione internazionale per i diritti umani, invitasse il Comune a prendere stabili provvedimenti in coerenza all’obbligo di assistere e di integrare, reinsediare, i migranti con diritto di asilo, i rifugiati, in quanto occorre ricordare che proprio quest’anno il 20 giugno è stato dedicato dall’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) al tema della protezione internazionale con il messaggio “Proteggere i rifugiati è un dovere. Essere protetti è un diritto”. Questo monito divenga riferimento di una politica più integrativa e stabile in materia di assicurare protezione e diritti a chi è costantemente vittima di soprusi e di ingiustizie.
 
Alessandro Rizzo
Capogruppo Lista Uniti con Dario Fo per Milano
Consiglio di Zona 4 Milano

Martedì, 1 Luglio, 2008 - 09:58

MILANO CITTÀ APERTA LIBERA E ACCOGLIENTE

MILANO CITTÀ APERTA LIBERA E ACCOGLIENTE
SABATO 5 LUGLIO - DALLE 15:00 ALLE 19:00
in largo Cairoli, a Milanodurante il pomeriggio sono previsti interventi e spettacoli
di Djiana Pavlovic, Mohamed Ba, Tommaso Vitale
promuovono: Arci, Camera del lavoro di Milano, Centro delle Culture, ass. Dimensioni diverse, ass. Punto Rosso, SdL Intercategoriale, Mosaico interculturale, ASMP, ass. Arci Todo Cambia, ass. Arci Zagridi, Comitato "Movimento Pais", Federacion ecuatoriana de Asociaciones, Scuole senza permesso, Circolo Arci "Blob", Associazione Antirazzista 3 Febbraio,
partecipano inoltre: Partito della Rifondazione Comunista, Partito Umanista, Ernesto Rossi pres. ass. Aven Amentza, Sinistra critica, adesioni: retemigrantemilano@gmail.com
Siamo donne e uomini, cittadini italiani e cittadini stranieri che hanno deciso di essere in piazza insieme per offrire alla nostra città una occasione di festa, di riflessione e di conoscenza reciproca. Con tante voci vogliamo rompere il silenzio pesante che da troppo tempo incombe a Milano su episodi drammatici che per decisioni del Governo ricadono su individui e comunità che nelle nostre città hanno radicato le loro speranze di una vita migliore. Retate sui mezzi pubblici, ronde notturne, espulsione dagli alloggi, campagne contro le moschee, sgomberi violenti, schedature etniche di Rom e Sinti: sono solo alcuni esempi di un crescendo impressionante che vede misure legislative e scelte governative che vogliono l'esercito nelle strade, la reclusione nei Cpt fino a 18 mesi e la criminalizzazione degli irregolari. Eppure nella nostra città la società multietnica è ormai una realtà: italiani o stranieri, cristiani, musulmani o non credenti, viviamo tutti qui, frequentiamo le stesse scuole, lavoriamo fianco a fianco e facciamo tutti la stessa fatica per tirare a fine mese.
Siamo consapevoli che Milano, come molte altre città, è attraversata da manifestazioni sempre più evidenti di disgregazione sociale che colpiscono soprattutto i quartieri periferici, ma proprio perché viviamo in questa città e ne conosciamo i problemi, siamo convinti che per farvi fronte, legalità e sicurezza non possono essere interpretate solo come controllo e repressione. La sicurezza va intesa come un sistema di garanzie per difendere i diritti umani: il diritto alla salute, all'educazione, al lavoro, alla casa, alla libertà di espressione.
La sfida è mettere in campo politiche urbane, abitative, sociali, culturali in grado di produrre solidarietà, partecipazione e rispetto dei diritti, attraverso percorsi democratici e condivisi. Ci sono molti amministratori, forze politiche e mezzi di comunicazione che oggi continuano a seminare ostilità e conflitti, indicando negli stranieri e nei poveri il capro espiatorio per tutti i problemi sociali, economici e urbani che determinano la condizione precaria di ognuno di noi, gettando un'ombra inquietante sul presente e sul futuro della nostra comunità. Una società che imbocca la strada della xenofobia e del razzismo diventerà sempre più insicura e invivibile, perché la sicurezza non può nascere dall'emarginazione, ma dall'accoglienza e dal riconoscimento dei diritti di tutti sulla base di valori irrinunciabili:
- i principi di uguaglianza, di rispetto delle diversità e di giustizia sociale, presenti nella Costituzione italiana, devono vivere concretamente nelle politiche e nelle azioni amministrative.
- non si possono imporre regole speciali che violino il principio dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alle leggi.
È necessario che si levino mille e mille voci per chiedere:
- abolizione della legge Bossi - Fini perché costringe alla clandestinità
- regolarizzazione di tutti coloro che lavorano e vivono in Italia
- tempi certi e rapidi per il rilascio dei documenti senza tassazione e con trasferimento delle competenze agli enti locali
- introduzione di una legge organica per i richiedenti asilo politico e umanitario
- superamento di forme abitative ghettizzanti e su base etnica (i cosiddetti "campi nomadi"), garanzia di condizioni abitative dignitose e non discriminanti.
- no al pacchetto sicurezza
- no al reato di immigrazione clandestina
- chiusura dei CPT  no alla schedatura etnica
Lunedì, 30 Giugno, 2008 - 15:33

Amnesty chiede agli Stati di riaffermare il diritto d'asilo

In occasione della Giornata mondiale del rifugiato, nell'anno in cui ricorre il 60° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, Amnesty International chiede agli Stati di riaffermare il diritto di ogni persona a cercare e ottenere asilo dalla persecuzione, così come riconosciuto dall'art. 14 della Dichiarazione del 1948.

Quasi due milioni di rifugiati iracheni, fuggiti per evitare di essere assassinati, rapiti o sottoposti a maltrattamenti e torture, si trovano oggi in Giordania e Siria. Nel Mediterraneo, richiedenti asilo e migranti continuano a morire nel disperato tentativo di raggiungere l'Europa. Questi sono solo due dei molti problemi riguardanti i rifugiati che il mondo è chiamato ad affrontare.

Contemporaneamente e senza clamore, le porte per i rifugiati si chiudono. Il governo giordano e quello siriano hanno imposto restrizioni all'ingresso dei rifugiati iracheni, mentre la Svezia, il paese europeo che ne ospita il maggior numero, ha cambiato atteggiamento e li sta rimpatriando verso zone estremamente pericolose dell'Iraq. Nella regione mediterranea, paesi come la Spagna e l'Italia sono coinvolti in piani d'intercettamento e di pattugliamento congiunto dell'immigrazione insieme a paesi dell'Africa settentrionale e occidentale: in questo modo, le persone possono essere rimandate indietro, esattamente nelle situazioni terribili da cui cercano disperatamente di fuggire.

I rifugiati iracheni in Giordania e Siria hanno immediato bisogno di assistenza internazionale, ma i fondi destinati alle agenzie dell'Onu che si occupano di loro risultano inadeguati. A maggio, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati ha nuovamente chiesto di colmare la mancanza di 127 milioni di dollari, senza i quali i programmi di assistenza sanitaria e alimentare in Iraq sarebbero stati ridotti, spingendo altri iracheni nell'indigenza assoluta e aumentando le probabilità di più elevati tassi di malnutrizione e dell'aumento del lavoro minorile.

Sono 147 gli Stati parte della Convenzione del 1951 relativa allo status di rifugiato o del suo Protocollo, i principali strumenti del diritto internazionale per la protezione dei rifugiati.

Amnesty International chiede ai governi di assicurare che la loro azione e le politiche da essi adottate non pregiudichino la protezione offerta dalla Convenzione e da altri strumenti internazionali. Secondo l'organizzazione per i diritti umani, inoltre, gli Stati non solo dovrebbero proteggere i diritti dei rifugiati all'interno della propria giurisdizione, ma dovrebbero anche aiutare altri paesi nei quali il numero dei rifugiati ha assunto grandi dimensioni.

Amnesty International chiede all'Unione europea di rispettare interamente i suoi obblighi nei confronti dei rifugiati, assicurando che i controlli alle sue frontiere non costringano, direttamente o indirettamente, i richiedenti asilo a rientrare nei paesi di transito, in cui potrebbero andare incontro ad arresti arbitrari, espulsioni collettive o rimpatri verso paesi, come quelli dell'Africa settentrionale e occidentale, dove rischierebbero la tortura o l'abbandono nel deserto, senza acqua né cibo.

L'organizzazione per i diritti umani chiede all'Unione europea di assicurare anche che, nello sviluppo di un sistema comune in materia d'asilo, tutti i richiedenti asilo sotto la giurisdizione degli Stati membri abbiano accesso a una procedura d'asilo equa e soddisfacente a prescindere dal paese d'origine o di transito, e che sia posta fine a procedure accelerate, che risultano inadeguate.

Amnesty International sollecita gli Stati a puntare maggiormente sul reinsediamento, che è uno dei mezzi con cui può essere esercitata la responsabilità comune di assistere gli Stati che ricevono rifugiati e può essere fornita a questi ultimi una soluzione durevole. Per molti rifugiati, il reinsediamento è l'unico modo per avere accesso a diritti umani fondamentali come l'educazione, le cure mediche e un'abitazione dignitosa. Lo stesso vale per i rifugiati ammalati, diversamente abili o traumatizzati dalla propria esperienza, che possono non trovare adeguata assistenza nei paesi di asilo.

Sono nove i paesi tradizionalmente all'avanguardia nei programmi di reinsediamento, cui si sono recentemente aggiunti paesi in via di sviluppo come Brasile, Burkina Faso e Cile, che hanno iniziato a reinsediare piccoli gruppi di rifugiati. Amnesty International chiede ad altri Stati di aggiungersi all'elenco.

Infine, Amnesty International sollecita gli Stati a collaborare con l'Alto commissariato Onu per i rifugiati, per sviluppare modalità efficaci di condivisione delle responsabilità in caso di ampi arrivi di rifugiati.

La risposta a questo tragico problema non può essere quella di respingere la sofferenza umana e voltare le spalle a persone che si trovano in circostanze drammatiche. La risposta dev'essere quella di assumere maggiori responsabilità, rispetto a un problema globale, trovando un modo globale per risolverlo.

FINE DEL COMUNICATO                                                      Roma, 20 giugno 2008

Per ulteriori informazioni, approfondimenti e interviste:
Amnesty International Italia - Ufficio stampa
Tel. 06 4490224 - cell. 348-6974361, e-mail: press@amnesty.it

Lunedì, 30 Giugno, 2008 - 14:13

Abbattiamo il muro!

Questa piazza è pronta a far sentire alla nazione il suo urlo indignato per gli omicidi, violenze, stupri, aggressioni, discriminazioni che tutti i giorni dobbiamo subire?
Sì io credo che sia pronta!!!
E’ anche pronta a rispondere adeguatamente al ministro Carfagna, che dopo aver negato che vi sia un’emergenza omofobia, l’altro giorno ha cancellato i finanziamenti previsti dalla precedente ministra Barbara Pollastrini per la prima ricerca nazionale dell’Istat sulle discriminazioni ai danni delle persone lgbt. Che dire? Vergona Crudelia Carfagna!!!
E’ sicuramente pronta a ricordare ora, con un minuto di silenzio i 14 omicidi di persone trans, gay e lesbiche degli ultimi due anni. Le migliaia di angherie a cui siamo stati sottoposti!
Ma questa piazza e tutto il popolo lbgt italiano non si fermano davanti al dolore, alla sfiducia, alla sopraffazione. Noi dobbiamo compiere un’opera talmente grande che non ci spaventerete mai!
Mai ci farete arretrare, mai ci indurrete a tornare nella clandestinità, al vostro silenzio!
Ed è per questo che ti chiedo popolo lesbico, gay, trans, transgender, libertario che sei qui oggi, di far sentire la tua voce!
Noi siamo un uragano d’amore che travolgerà i paurosi e rinsecchiti gerarchi cattolici, la timorosa e complice classe politica di questo paese, la sudditante intellighenzia che non ha mosso un ditto in nostro aiuto!
Siamo qui per dire che il tempo della nostra gentilezza è finito! Che sappiamo cosa fare! Riprendiamo le nostre vite, i nostri corpi, le nostre idee e le mettiamo al servizio di un nuovo inizio.
Basta con le cautele, basta con le deleghe, basta con le finezze e le divisioni ideologiche: la saggezza dell’amore lgbt deve pervadere tutto il paese.
Tocca a voi, a noi, dare un segnale forte e questo segnale si chiama soggettività politica e  sociale dirette ed autogestite!
Costruire in tutto il paese, in ogni città, in ogni posto di lavoro, in ogni scuola, in ogni dove, gruppi, cooperative, reti, servizi, quartieri, lesbici, trans e gay.
Deve scendere in campo un nuovo forte potere sociale: noi!

Solo noi, insieme alle donne, ai movimenti di liberazione, di solidarietà, possiamo abbattere il muro dell’odio! E noi questo muro lo vogliamo e lo dobbiamo abbattere, come ricorda una stupenda canzone dei Pink Floyd.
Perché noi vinceremo, otterremo i nostri diritti, la nostra dignità sociale e cambieremo questo paese, solamente quando tutte e tutti i gay, le lesbiche, i/le trans si assumeranno la responsabilità diretta, personale di cambiare la loro!
Quindi la lamentazione è finita; siamo qui per stringere un patto fra noi: torneremo nelle nostre città e daremo battaglia, parleremo a chi è sfiduciato e lontano e gli diremo: sveglia è giunta l’ora che ti occupi di te, di tutti e tutte noi, perché la nostra vita non sia costretta alla rinuncia, alla clandestinità, all’incertezza!
Ascolteremo le parole delle istituzioni, del parlamento, del governo, quando mai arriveranno, ma è cambiata la musica anche per noi: nessuna concessione, nessun ripiegamento, nessun timore reverenziale: noi siamo milioni di cittadine e di cittadini italiani pretendiamo dignità, rispetto, parità di diritti e di doveri!
Perché se non si esce dal tunnel, allora conviene arredarlo!

Le offese e le stupidaggini della Carfagna, di altri ministri, dei tanti politici che per avere un po’ di visibilità ci insultano ogni giorno, ci lasciano indifferenti. Ora abbiamo un compito da portare avanti, e non ci facciamo distrarre dal teatrino, dai salotti televisivi, dagli opinionisti. Una corte vomitevole di persone, tra cui tanti omosessuali repressi e servitori dei potenti, con cui non vogliamo confonderci!
Solo se saremo tante e tanti, solo se ci vedranno in ogni dove, saranno costretti a darci i diritti che ci spettano da secoli!
E, infine, daremo presto segni tangibili che la festa per gli omofobi italiani è finita. Vi chiedo come primo appuntamento di dare vita alla più grande celebrazione di matrimoni lgbt mai vista in Italia, il 18 e il 19 ottobre in tutte le città migliaia di coppie si uniscano e diano vita al Registro nazionale dei matrimoni gay. Quando saremo decine di migliaia nessuno potrà più ignorarci! Nessuno potrà più dire che non esistiamo!
Popolo lgbt ti chiedo di sollevarti, di prendere in mano la bandiera della libertà e di far sentire dalle Alpi alla Sicilia il tuo potente e tuonante messaggio d’amore. Dammi la forza, diamoci la forza per cambiare questo stupendo e disperato paese.
Abbattete il Muro!!!
Bologna, 28 giugno 2008
Aurelio Mancuso - Presidente nazionale Arcigay

Lunedì, 30 Giugno, 2008 - 14:08

POLITICI AL GAY PRIDE DI NEW YORK

POLITICI AL GAY PRIDE DI NEW YORK

Evidentemente i politici italiani si credono troppo importanti per partecipare

30 giugno 2008

 

Valerio Bartolucci

 

Gay Pride di New York. Sul palco, una drag queen accoglie i personaggi famosi che partecipano all'evento. Applausi scroscianti per il sindaco di NY City, il miliardario indipendente repubblicano Michael Bloomberg e la portavoce dell'assemblea comunale Christin Queen, ma quando la signorina in drag ha annunciato il nome di David Patterson, si e' levato dalla folla dei partecipanti un uragano di applausi. David Patterson, democratico nero, e' il Governatore dello stato di New York, e primo governatore a marciare al suo Gay Pride.

Nel suo discorso, Patterson ha detto di aver partecipato al Pride nel 1976, per insistenza di un amico gay, ma che era rimasto dietro al corteo. Ora si e' reso conto che e' molto piu' figo (cool) stare davanti, perche' si puo' ascoltare della bella musica.

Patterson, sposato e padre, ha dichiarato pochi giorni dopo la sua elezione, che a volte lui e la moglie si concedono qualche avventura extraconiugale, poi ha emanato una circolare che costringe lo stato di New York ad accettare i matrimoni omosessuali celebrati negli stati in cui e' permesso sposarsi. Inoltre sta facendo il possibile per inserire l'omomatrimonio nella prossima legislazione.

David Patterson e' ormai stato assunto al ruolo di Icona Gay insieme a tante altre star etero v icine a noi come Judy Garland e Bette Midler.

dagli USA Valerio Bartolucci

Sabato, 28 Giugno, 2008 - 12:55

29 giugno, manifestazione al Parco Nord, Monumento al deportato

29 giugno, manifestazione al Parco Nord, davanti al Monumento al Deportato

http://anpicinisello.blogspot.com/

MANIFESTAZIONE AL PARCO NORD: DI PROTESTA E RICORDO DELLA DEPORTAZIONE OPERAIA

Il Comitato Antifascista di Milano, riunitosi straordinariamente il 19 giugno, a seguito dell’atto vandalico ai danni del Monumento al Deportato, indice per:

DOMENICA 29 GIUGNO 2008 alle ore 15.30
davanti al Monumento al Deportato

accesso da via Clerici
una manifestazione di protesta e di risposta a questi vili e gravi sfregi alla memoria di coloro che, per la libertà di noi tutti, hanno pagato anche con la propria vita.

Presiede:
Antonio Pizzinato, Presidente ANPI Lombardia

Intervengono:
Gianfranco Maris, Presidente ANED, a nome delle Associazioni dei deportati e partigiani
Tiziana Scalco, Segretaria C.d.L Milano, a nome delle Organizzazioni CGIL-CISL-UIL
Gianfranco Massetti, Sindaco di Paderno Dugnano, a nome dei Comuni


COMITATO PERMANENTE ANTIFASCISTA PER LA DIFESA DELL’ORDINE REPUBBLICANO
ANPI – FIAP – FIVL – ANPPIA – ANED – ANEI
PD – PRC – SDI – PdCI – SD - VERDI - IdV
CGIL – CISL – UIL – ACLI – CENTRO PUECHER - IpR
Hanno aderito i Sindaci dei Comuni di:
Sesto San Giovanni, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Cormano, Nova Milanese, Cusano Milanino, Paderno Dugnano

Tutti sono invitati a partecipare a questa iniziativa di mobilitazione democratica, in difesa di una storia che ci appartiene e che ci ha insegnato i valori della pace, della tolleranza, della solidarietà, contro ogni discriminazione politica, culturale, religiosa e razziale.
L’A.N.P.I. di Cinisello Balsamo aderisce all’iniziativa e sarà presente con una delegazione.

Nella notte tra il 13 e il 14 giugno, ignoti hanno profanato il Monumento al Deportato eretto su una collinetta del Parco Nord nel Comune di Sesto San Giovanni.


Il Monumento, realizzato su progetto dello Studio BBPR di Lodovico Barbiano di Belgiojoso, è dedicato alle centinaia di lavoratori delle fabbriche dell’area industriale di Sesto San Giovanni, arrestati dai nazifascisti e deportati nei Lager per aver aderito agli scioperi del ’44, in pieno regime fascista, per rivendicare i propri diritti e per la libertà.

Mani ignote hanno imbrattato con vernice rossa un massello e con grossi sassi hanno distrutto i cristalli che ricoprono cinque delle sei teche, contenenti le ceneri provenienti dai Lager nazisti.

Un gesto inqualificabile, che sarebbe riduttivo definire vandalismo. Lo spregio, che si è voluto dimostrare profanando le ceneri di chi si è sacrificato per ridare libertà agli italiani, è inaccettabile.

 

 

 

 

 

 

 

 


Il Deportato è rappresentato da una figura stilizzata che affonda i piedi nei sassi e che ha altri massi al posto della testa.

Questa figura ha un doppio significato: da un lato l’espressione massima dello sfruttamento dell’uomo nel Lager, dalla testa ai piedi investito dal lavoro disumano e sovraumano che ne determina un rapido decadimento fisico e poi la morte; dall’altro i sassi al posto della testa rappresentano il massimo della spersonalizzazione, della dignità di un uomo: il deportato non doveva pensare, ragionare, ma eseguire solo ordini.

Alla base del monumento sono posti due grandi catini contenenti sassi provenienti dalle cave di pietra di Gusen e di Mauthausen e sei teche con le ceneri e le terre dei Lager di Gusen, Mauthausen, Dachau, Auschwitz, Ravensbrueck e Hartheim, dove furono deportati i nostri lavoratori.

Intorno alla stele sono stati collocati 30 masselli di porfido, disposti a semicerchio, su cui sono stati incisi i 563 nomi dei deportati deceduti e sopravvissuti.

Sabato, 28 Giugno, 2008 - 12:26

Undici tesi dopo lo tsunami

Undici tesi dopo lo tsunami

Ultima modifica: mercoledì 25 giugno 2008
Centro per la Riforma dello Stato
1. Aprile 2008: va rilevato il tratto di discontinuità, forse di salto. Non si può riprendere il discorso dall’heri dicebamus. Occorre un cambio di passo, nella ricerca e nell’iniziativa. Non stava scritto che la transizione si chiudesse a destra. Ma così è avvenuto. E tuttavia non è la sorpresa il sentimento dominante: i segni c’erano, nel paese, e anche a Roma. Perché non siano stati letti, è il problema. D’altra parte, non è la paura il sentimento che ci deve dominare. Non c’è Annibale alle porte, non ci sarà un passaggio di regime. C’ è una nuova destra, di governo, e di amministrazione, da sottoporre ad analisi e da contrastare nella decisione, con uno scatto di pensiero/azione.
2. Si conferma il dato, che viene da lontano, di una maggioranza di centro-destra nel paese reale. Negli ultimi quindici anni, l’opinione di centro si è avvicinata all’opinione di destra. Se la Dc era un centro che guardava a sinistra, Forza Italia è un centro che guarda a destra. Questo ha dato l’illusione che ci fosse un residuo di centro da conquistare a sinistra. C’era, ma meno consistente di quanto si pensasse. I mutamenti, non colti, di società, a livello di territorio, sono stati più forti dell’iniziativa politica. Sono state due le risposte a questi smottamenti di opinione: una a vocazione maggioritaria, una a vocazione minoritaria. La prima, una risposta, diciamo così, espansiva: competere al centro, per togliere al centro-destra un pezzo di consenso. Così, i Progressisti, poi l’Ulivo, poi l’Unione, poi il Partito democratico. Che quest’ultimo potesse assolvere a questa funzione da solo come un tutto, si è dimostrato un progetto, a dir poco, non realistico. La seconda, una risposta, diciamo così, difensiva: marcare una posizione alternativa, con una grande ambizione e una piccola forza. Non si può essere, troppo a lungo, anticapitalisti e deboli, antagonisti in pochi. Aprile, il più crudele dei mesi: due fallimenti, del centro-sinistra e della sinistra, del grande partito di centro-sinistra e della piccola aggregazione di sinistra.
3. Qui, un punto teorico-politico, che va affrontato. Si potrebbe chiamare l’equivoco della rappresentanza. Anzi, il rapporto tra l’equivoco della rappresentanza e quella che si dice la crisi della politica. Che cosa viene prima, una crisi di rappresentanza sociale o una crisi di proposta politica? Che cosa fa più difetto, la rappresentanza o la rappresentazione? Proviamo a rovesciare il senso comune. E diciamo così: la crisi della politica comincia non quando la politica non sa più ascoltare, ma quando la politica non sa più parlare. Certo che bisogna ascoltare, la rappresentanza è essenziale, capire la società, conoscerla, ma non è tanto la mancanza di questo che sta al fondo della crisi della politica. Il fondo della crisi della politica è nel crollo di soggettività politica, nella caduta, relativamente recente, della proposta soggettiva. La politica non sa più parlare proprio perché non sa più leggere, non sa più interpretare. E quindi non sa orientare, non sa dirigere. L’equivoco della rappresentanza è il fatto di assumere il dato così com’è, anche il dato della società, anche il dato della maggioranza di centrodestra nel paese. Se tu lo assumi così com’è, e cerchi di correggere questo, e non ti fai carico invece di una proposta politica forte, lì inneschi appunto un processo che va a finire nella crisi della politica. Prima produci l’antipolitica e poi ti fai carico di rappresentarla.
4. Quando la politica non sa più parlare, allora viene fuori un ceto politico, e un ceto amministrativo, autoreferenziale, che parla a se stesso e di se stesso, perchè non sa più parlare al paese, alla società. Questo ceto politico, impegnato a occuparsi di se stesso, entra nella logica di qualsiasi altro ceto, di qualsiasi altro corpo della società. Per garantirsi il consenso insegue le pulsioni di massa. Più le rappresenta, più vince. La politica non è scollata dalla società civile, è incollata ad essa. Se società civile è il campo degli interessi particolari e degli egoismi corporati, allora la politica di oggi non la rappresenta poco, piuttosto le assomiglia troppo. Questa politica è un pezzo di questa società, subalterna alle leggi di movimento, nazionali e sovranazionali, attraverso cui essa si autogoverna. Di qui, la crisi di senso dell’agire politico, vero e proprio fatto d’epoca del nostro tempo. Perché, compito principale della politica non è dare risposte, è fare domande. E’ la politica che deve interrogare la società, e il dato che c’è, deve appunto saperlo leggere, decifrare, tradurre, e solo dopo che lo ha interpretato, può rappresentarlo, ma mai rappresentarlo come riflesso passivo, mai specchiarlo così come si presenta oggettivamente, nel suo gioco incontrollato di forze.
5. Quale, su questo punto, la differenza tra l’adesso e ieri? In passato c’erano le grandi classi, che avevano una voce, che parlavano, esprimevano, sì, interessi, ma grandi interessi, di per sé riconoscibili. In quel caso la politica era più facilitata a rappresentare, a raccogliere, perché la voce veniva da potenti aggregati, già autonomamente, in qualche misura, organizzati. Era meno importante allora leggere e interpretare, era più possibile direttamente rappresentare. Ma quando le grandi classi si disgregano, e ti trovi di fronte a una società frammentata, pluralistica, corporativizzata, cetualizzata, anarchicamente individualizzata, quando non c’è più quindi voce sociale, aumenta l’obbligo della voce politica. Parlare a questa frammentazione, vuol dire elaborare una proposta riunificante. Il sociale ormai, nel capitalismo dopo la classe, va costruito, non va descritto. Produrre legame sociale, e produrlo attraverso il conflitto, o meglio, attraverso i conflitti, ecco il volto nuovo della Sinistra, dopo il Movimento operaio. La Destra, nemmeno la nuova destra, può e sa farlo. Il discrimine è qui. Fare società, ma con la politica: se deve esserci missione, per la Nuova Sinistra, questa è.
6. C’è un’ondata di destra, che arriva, con il solito ritardo in Europa, dall’America di Bush, proprio mentre lì va forse declinando. E’ una febbre da rivoluzione conservatrice in tono minore, che attacca i corpi malandati dei nostri sistemi politici. Lo schema è quello tradizionale: la paura come risposta al disagio. Perché la paura non è la causa scatenante, la causa scatenante è il disagio, di società, di umanità, e quindi di civiltà. La paura è un rimedio mobilitante per chi non ha difese, e dunque le cerca, per chi non ha sicurezza del futuro e dunque cerca sicurezza almeno nel presente. La destra corrisponde di più e meglio al lato oscuro dell’animo umano, e la sinistra ha i Lumi ma da tempo li tiene spenti. Una tesi politica, controcorrente, da sostenere a questo punto con buone ragioni potrebbe dire così: la destra vince perché non c’è la sinistra. E’ una tesi dimostrabile empiricamente, ultimi dati elettorali alla mano, nel paese Italia e, soprattutto, in quell’evento simbolico che è la caduta di Roma: non ha sfondato il centro-destra, è franato il centro-sinistra. La verità da cominciare a dire è che il centro-sinistra non ha futuro se non si riorganizza intorno a una Grande Sinistra.
7. C’è un retroterra di questo discorso, di cui bisogna essere consapevoli, un discorso di lungo respiro, che funge un po’ da convitato di pietra di tutti i nostri pensieri. Dice questo: la destra vince, perché il capitalismo è forte. Sta forse esaurendosi il ciclo neoliberista e sta forse riguadagnando spazio il ruolo delle politiche pubbliche, e c’è da capire dove cadrà l’accento, se sul passaggio di crisi o sul passaggio di ristrutturazione. La sfida è a livello globale, e sarebbe bene non lasciare alla destra tutta intera la denuncia degli effetti perversi della globalizzazione mercatista. Il capitalismo è forte perché riesce a tenere ancora insieme innovazione di sistema, democrazia politica ed egemonia culturale. Un blocco di potenza che ha permesso fin qui a proprio favore due, e due sole, soluzioni di governo: o un centro-destra forte o un centro-sinistra debole. La virtuosa alternanza nei sistemi bipolari o bipartitici, modello Westminster, si sappia, ha questo vizietto di fondo. In queste condizioni, non c’è spazio né per una politica di pura gestione né per una politica di mera contestazione. C’è posto solo per una guerra di posizione, di media durata. La difficile situazione economica impatterà con il governo politico della destra. E l’emergenza, che sembrava dover essere istituzionale, magari sarà di più sociale. La storia-mondo, poi, è un campo di imprevedibili eventi, se non la si guarda con la pappa del cuore, ma la si afferra con la lucida intelligenza di una politica-mondo. Qui c’è un terreno favorevole per la sinistra, se saprà essere meno Proteo e più Anteo, se saprà di meno apparire in tante forme e di più ritrovare la sola terra da cui ricava la propria forza.
8. Bisogna dire: il popolo della sinistra ha il diritto di avere, per sé, una forza politica. E poi dire: l’Italia, per stare in Europa e nel mondo ha bisogno di una sinistra. Non di una piccola sinistra, residuale, testimoniale, arroccata nei passati simboli e nelle antiche identità, ma di una Grande Sinistra, moderna, critica, autonoma, autorevole, popolare. Non si può concedere che l’anomalia italiana si ripresenti oggi nella forma dell’eccezione di un paese senza una grande forza politica che rivendichi con orgoglio questa funzione, nel nome, nei fatti, nei valori. Il problema di oggi non è: che cosa è sinistra, ma chi è sinistra. Più che conoscere, si tratta di andare a ri-conoscere il popolo della sinistra. Ma, anche qui, riconoscere non vuol dire rappresentare, vuol dire costruire, o meglio, ricostruire un campo di forze, in grado di portare un progetto di trasformazione, strategicamente pensato e tatticamente agito. Fondare un popolo: questo il Beruf - vocazione/professione - della politica, quando non è chiacchiera ma discorso, non immagine ma idea, non affabulazione ma organizzazione.
9. La nuova e antica centralità: dare forma politica al pluriverso del lavoro. Ci vuole un’idea politica di lavoro, anzi, di lavoratore. Dopo l’esperienza storica del movimento operaio, in che modo la persona che lavora, uomo e donna in modo differente, può avere in quanto tale, non solo come cittadino, una funzione politica? Come i lavoratori associati possono contare politicamente? In che modo, per quali vie, con quali forme, possono esprimere un progetto di modello sociale, di sistema politico, di egemonia culturale? E, anche qui, chi sono oggi i lavoratori? C’è questo ceto medio acculturato di massa, che è diventato un po’ la caricatura del blocco storico per il centro-sinistra: perché è isolato e lontano dal resto della società reale. Ha una parte alta, che va verso le professioni, una parte bassa che va verso il precariato, a volte le due condizioni si congiungono. E’ prezioso lavoro della conoscenza, un decisivo pezzo di lavoro immateriale, con in mano il futuro di sviluppo del paese. Va ricongiunto al lavoro materiale, al lavoro manuale, che c’è anche quando manovra le macchine, al lavoro operaio, salariato. Il lavoro sans phrase, direbbe Marx. Ma qui ne va della dignità della sinistra il farsi carico e porre rimedio a questa disperata solitudine operaia, che si esprime, come abbiamo visto in tanti modi, a volte sconcertanti, che vanno riconosciuti, non giudicati. Solo assolvendo politicamente a questo compito si può riaprire il discorso sul nuovo “mondo del lavoro”. Lavoro e sapere, si dice oggi. Più la differenza del lavoro femminile. Il lavoro autonomo, di prima e seconda generazione, che va ricongiunto al lavoro dipendente, garantito o precarizzato. Così come il centro urbano va ricongiunto alle periferie metropolitane. Non è possibile accettare come un destino il rovesciamento di consenso che si è verificato tra questi spazi di territorio e in questi luoghi del sociale. Non è possibile. O altrimenti essere di sinistra non ha più senso politico. Ecco la vera missione di un forte partito della sinistra: recuperare il senso della propria funzione, nel “fare popolo” come “soggetto politico”. Ricongiungere, riannodare e stringere il nodo tra campo sociale e forza politica.
10. Diceva Brecht: sul muro sta scritto “viva la guerra”/ chi l’ha scritto, è già caduto. Adesso si dice: non si può tornare indietro. Chi lo ha detto, ha già messo un piede nel vuoto. Il nuovo a tutti i costi restaura il vecchio che avanza. Abbiamo avuto a nostre spese, qui e ora, una lezione da manuale. Calcoliamo bene le mosse, prendiamoci il tempo necessario. Ma non escludiamo a priori il fatto che a volte è necessario fare un passo indietro per saltare in avanti.
11. Intendiamoci su questo. Non si tratta di mettere insieme i pezzi della vecchia sinistra. Sarebbe un’operazione fuori tempo e senza spazio. Il vecchio bisogna sempre che sia quello dell’avversario, mai il nostro. Tutte e due le tradizioni, quella comunista e quella socialdemocratica, sono esaurite. Ma non si creda che sia allora viva, per i bisogni della sinistra, la tradizione liberaldemocratica. Il partito del popolo della sinistra è oltre tutta intera questa storia. Le componenti popolari si sono sfaldate, ma le loro culture in senso lato, cioè le tracce di civiltà, che esse hanno depositato nella storia del nostro paese, sono lì, in attesa di essere riconosciute,valorizzate, riorganizzate e riunificate con le nuove culture, con i nuovi grumi di civiltà: le esperienze di organizzazione con le esperienze di movimento, il socialismo con il femminismo, il cattolicesimo sociale con i diritti della persona, il lavoro salariato con l’ambientalismo politico, la cultura del conflitto con la cultura della pace. Tutto questo, insieme, è popolo della sinistra. E può diventare partito del popolo della sinistra. Non è un blocco, è un campo. Non si comporrà da solo. Bisogna comporlo. Ci vuole decisione politica e pensiero forte. Ma, ecco: non si deve scherzare con i propri riferimenti, pratici e teorici. Altrimenti si diventa un’altra cosa.
Venerdì, 27 Giugno, 2008 - 18:56

Mario Tronti: «La sconfitta di aprile può essere benefica"

Rinascita politica
Intervista a Mario Tronti: «La sconfitta di aprile può essere benefica. E spingere a un processo aggregativo»
Andrea Fabozzi
Il Manifesto 26 giugno 2008

Attenzione a non confondersi dietro Berlusconi. L'avvertimento di Mario Tronti arriva alla vigilia dell'assemblea del Crs nel momento in cui torna alto l'allarme di tutta l'opposizione per le iniziative del premier e anche il Pd che si era aperto al dialogo strilla al «ritorno del caimano». Tronti obietta: «Non ci sarà un passaggio di regime. Berlusconi è sempre lo stesso, le sue iniziative fanno molto rumore però poi vengono recuperate nell'andamento lento delle cose, il problema è non confondersi, è capire bene cosa è questa nuova, antica destra che si afferma in Europa».
Non c'è un caso italiano?
In Italia abbiamo di fronte questo personaggio con i suoi interessi personali, ma quando il ceto politico si misura soltanto sulla sua persona ci fa perdere di vista l'analisi di fondo. Berlusconi è un animale politico di una certa capacità intuitiva e ha improvvisamente tagliato i ponti con Veltroni per tornare sul terreno che predilige. Se non ci fosse questo antiberlusconismo enfatizzato fino al limite del dramma italiano la sua figura verrebbe ridimensionata e probabilmente verrebbe fuori un discorso di destra più profondo che potrebbe persino emarginarlo.
Destra italiana senza Berlusconi?
La destra è un dato organico che adesso si trova a una svolta. Il ciclo neo liberista è arrivato a conclusione e torna una destra più tradizionale, neoconservatrice. E la destra italiana si sta compattando. Ha molte delle caratteristiche della destra mondiale, a prescindere da Berlusconi. Una delle spie è la personalità di Tremonti. La destra sociale che pensavamo fosse una piccola porzione post fascista diventa invece una caratteristica della destra nel suo complesso. Di fronte a questa destra profonda c'è una sinistra leggera, dunque non c'è partita.
E gli operai votano Lega?
Su questo ho sentito troppi ragionamenti semplificatori. Come se il problema fosse quello di capire e non di spostare il voto di questi operai. La politica, dicono tutti, deve ascoltare, capire. Seconde me deve soprattutto parlare, dare risposte e intervenire. Se non lo fa la società si autogoverna ed è tanto peggio per chi vuole cambiarla.
Guardare al sociale è però uno slogan molto in voga nella sinistra uscita con le ossa rotta dalle elezioni. E anche il Pd vuole «tornare al territorio».
Il Pd e le formazioni che gli sono alla sinistra hanno peccato della stessa mancanza di iniziativa, sono stati incapaci di far parlare la politica. Sono rimasti chiusi in un'idea passiva della rappresentanza che magari era possibile quando avevi già nella società le grandi classi con una loro sostanza strutturale e dunque grandi interessi. Si possono rappresentare solo i grandi interessi, i piccoli bisogna orientarli e correggerne il particolarismo. Tornare al territorio è una scappatoia nel senso che non si tratta di rispondere ai singoli territori ma di riacchiappare tutto interpretandolo creativamente.
Un partito nazionale che sappia far parlare la politica con un'idea precisa della società. Vasto programma di fronte alle macerie elettorali.
Paradossalmente è un momento favorevole. Sono cadute le due illusioni che hanno dettato l'ordine del giorno della politica di sinistra negli ultimi venti anni. E' caduta l'illusione delle terza via tra sinistra e destra, con il suo ideatore Blair ma anche con il suo epigono tedesco Schroeder. L'idea che la sinistra dovesse farsi centro per gestire il ciclo neoliberista meglio della destra mi pare esaurita anche negli Usa, Obama non è Bill Clinton. Anche lì finisce la competizione al centro e le primarie indicano una polarizzante divaricazione.
Destra e sinistra categorie «emergenti»?
Per questo il partito democratico in Italia è arrivato fuori fase. Quando la fase in cui poteva essere protagonista è già passata e questo è il motivo per cui il progetto non marcia, anzi mi pare di vederlo già al capolinea.
L'altra illusione crollata?
E' finita la fase neomovimentista. Durante la quale l'egemonia culturale nella sinistra radicale era esercitata dal movimento no global. E' finita proprio perché è finita la fase neoliberista e la contrapposizione tra movimenti e grandi organismi economico finanziari mondiali non si ripropone. Anzi, ora c'è di fronte una destra neo conservatrice che torna a fare politica, contesta lei stessa l'autorità di questi organismi internazionali, torna protezionista.
Se è così, e se davvero il Pd è al capolinea, si può ipotizzare una ricomposizione a sinistra?
Si riapre un tema grande. Perché in questo paese non c'è più una forza che si dichiara di sinistra? L'anomalia italiana del più forte partito comunista dell'occidente finisce nel suo contrario. E' un problema che devono porsi tutti, sia quelli che stanno nel Pd sia quelli che stanno alla sua sinistra. La soluzione non può essere rimettere insieme i pezzetti di una piccola sinistra, ma ricomporre una forza politica a vocazione maggioritaria.
Cioè tu dici che dalle elezioni è uscita sconfitta l'illusione del fare da soli, non solo del Pd ma anche della sinistra di alternativa?
La sinistra alternativa non può concedersi il lusso di essere minoritaria. Tra l'altro è contro la nostra tradizione vorrei dire bolscevica. E non serve a fare gli interessi della nostra parte, l'operaio è costretto a votare per la Lega.
Ma l'idea di ricomporre la sinistra con un pezzo del Pd pare fuori dall'orizzonte politico. Anche i meglio disposti tra i democratici - D'Alema è annunciato all'assemblea del Crs - non si spingono oltre l'auspicio di nuove alleanze.
Non è un processo di breve periodo e per il momento credo sia giusto passare da una fase di aggregazione della sinistra, giusto incoraggiare chi ci sta tentando come Vendola dentro Rifondazione. Ma io credo che sarebbe sbagliato considerare questo soggetto unitario della sinistra come autonomo per i prossimi decenni di fronte a un Pd centrista. Questa nuova formazione di sinistra dovrebbe invece avere un ruolo per spostare gli equilibri interni del Pd in modo tale che si riapra il processo. E' una prospettiva, lo ripeto, che non esclude affatto che intanto si componga un soggetto di sinistra. Ma non bisogna considerarlo un approdo definitivo. Sarà quello che è oggi il Pd, una tappa. APPUNTAMENTO
A ROMA
L'assembela annuale del Centro Riforma dello Stato si tiene domani, dalle 9,30 alle 14,00, a Palazzo Marini, via Poli 19.
Introdotta dalle «11 tesi dopo lo tsunami» (pubblicate dal manifesto lo scorso 11 giugno), quest'anno ha un titolo esplicito: «Fare società con la politica». Una lettura della crisi italiana chiarita dall'intervista qui a fianco di Mario Tronti, che introdurrà i lavori.
PIENO
A DESTRA
«La destra italiana si sta compattando. Ha molte delle caratteristiche della destra mondiale, a prescindere da Berlusconi. Una delle spie è la personalità di Tremonti. La destra sociale che pensavamo fosse una piccola porzione post fascista diventa invece una caratteristica della destra nel suo complesso».
VUOTO
A SINISTRA
«Perché in questo paese non c'è più una forza che si dichiara di sinistra? E' un problema che devono porsi tutti, sia quelli che stanno nel Pd sia quelli che stanno alla sua sinistra. La soluzione non può essere rimettere insieme i pezzetti di una piccola sinistra, ma ricomporre una forza politica a vocazione maggioritaria».

Venerdì, 27 Giugno, 2008 - 18:13

Tettamanzi: "Un errore militarizzare le città"

«Militarizzare le città serve solo ad aumentare il senso di smarrimento e la paura. Perché la paura non passa per decreto legge». Guarda dalla finestra del suo studio, il cardinale Dionigi Tettamanzi, e vede una piazza Duomo affollata di milanesi che la attraversano di corsa per spostarsi da un ufficio all´altro, ma anche di immigrati che si incontrano, bevono, bivaccano, litigano. «Non sempre - dice l´arcivescovo di Milano - affacciandomi vedo il cuore della mia città. Molto più spesso vedo piazza Duomo come il teatro in cui tante, troppe solitudini si sfiorano». Perché questo è il punto: «È la solitudine, causata soprattutto dalla privatizzazione dei tempi e degli spazi e dal conseguente calo della qualità della socializzazione, ad aver generato le paure della gente. Sono soli tanti anziani. Soli troppi giovani. Soli molti adulti, anche con posizioni sociali prestigiose. La solitudine causa ulteriore sfiducia verso l´altro e genera la paura dell´incontro. Le parrocchie e il volontariato, non solo cattolico, sono delle oasi di relazioni».

Quali risposte devono dare le istituzioni a questo disagio?
«Guardiamo in avanti, non speculiamo sulla paura. Da sempre il forestiero desta sospetti e pregiudizi. Ma nel passato Milano è stata capace di rimettere in discussione la propria identità per ridefinirla insieme ai nuovi venuti. Penso alla migrazione dal Veneto o dal Mezzogiorno che ha raddoppiato in pochi decenni il numero di abitanti di Milano e decuplicato la popolazione dell´hinterland. Sono stati processi non privi di fatiche e ferite. Il principio che ha portato alla costruzione del volto sintetico della città è stato il forte senso di solidarietà che la animava. Una forza inclusiva che si è indebolita».

Sì, ma come si spiegano alla gente i valori dell´accoglienza e della solidarietà, in una città dove si susseguono i reati, perfino i più odiosi come le violenze sulle categorie più deboli?

«Milano saprà trasformare tutti suoi abitanti, anche gli immigrati, in cittadini. È per il bene, la sicurezza, l´arricchimento di tutti che dobbiamo compiere questo sforzo. Barricarsi in casa, criminalizzare alcune categorie di persone, presidiare militarmente le città, sono gesti che aumentano il senso di smarrimento e solitudine. La solitudine cessa se si sperimenta la bellezza dell´incontro. Chi ne è deputato faccia rispettare la legge per impedire quegli atteggiamenti che rendono spiacevoli o pericolosi questi incontri».

Legalità, appunto. È - dicono il governo e le istituzioni locali - il perno intorno a cui far ruotare le politiche sulla sicurezza e l´immigrazione.
«Non è mio compito promuovere o bocciare le leggi dello Stato. Papa Benedetto XVI ai vescovi italiani ha chiesto di non chiudere gli occhi di fronte alle povertà, rispettando le leggi. Sia all´interno dello Stato che nei confronti di chi vi giunge dall´esterno. Solidarietà, rispetto delle leggi e accoglienza devono coniugarsi. Da anni a Milano promuoviamo il "patto di legalità" con chi chiede di vivere da noi. Le istituzioni devono far rispettare le leggi e creare le condizioni affinché siano rispettate e gli immigrati non siano risucchiati dall´illegalità. Carità e legalità non sono mai in contrapposizione: gli immigrati, prima di essere tali, sono persone. Chi delinque sia affidato celermente alla giustizia. Ma il rispetto della dignità delle persone non può mai essere omesso».

Di recente la Curia ha sottolineato che in alcuni casi, per esempio lo sgombero del campo rom della Bovisasca, si è agito sotto i livelli minimi di rispetto della dignità umana. Ne è nata una polemica con il sindaco di Milano, Letizia Moratti.
«Quando il vescovo interviene lo fa a partire dal Vangelo e per ricordare a tutti che esistono valori umani così alti che esigono di essere non solo proclamati ma rispettati, sempre».

Lei pensa che i blitz all´alba nei campi rom, le schedature, i controlli a tappeto sui mezzi pubblici, gli slogan "zero campi rom", la carcerazione dei clandestini abbiano effetti positivi e siano compatibili con il rispetto della dignità delle persone?

«Che beneficio portano certi metodi? Servono veramente a risolvere il problema, a rassicurare adeguatamente la gente contro la paura, oppure corrono il rischio di rivelarsi tentativi effimeri? Ho la sensazione che causino l´effetto contrario a quello sperato...».

Cardinal Tettamanzi, l´Expo a Milano è un´opportunità o un rischio?
«È un´opportunità grande e un motivo di orgoglio. Mi piace lasciarmi guidare da una suggestione, dal significato del nome della nostra città. Milano rimanda a Mediolanum, ad una terra che "sta nel mezzo". Un luogo dove si converge, ci si incontra, si dialoga. Che opportunità l´Expo se - già da oggi - permette a Milano di essere sempre più città dell´incontro. Tra religioni e culture differenti, tra collocazioni sociali diverse, tra chi è cittadino a tutti gli effetti e chi lo vorrebbe diventare, tra età della vita distanti, tra chi ha un lavoro e chi l´ha perso o non l´ha mai avuto, tra chi è sano e chi è malato...»

Come giudica lo sviluppo urbanistico di Milano? Interi pezzi della città stanno cambiando volto.
«Occorre che la città diventi "bella". Bella nella sua dimensione più interiore, spirituale. Mi hanno incuriosito e affascinato i progetti da realizzare per il 2015. Abbiamo bisogno di questo e di molto altro splendore: una città "bella" nella sua architettura rende migliori anche i suoi abitanti. Occorre porre da subito l´uomo al centro della Milano che sarà, con i suoi bisogni. Anche spirituali: dove sono gli spazi per vivere questa dimensione? Progettando, pensiamo al 2015 ma anche e soprattutto ai cittadini di Milano nel 2016, quando i visitatori se ne saranno andati. Sento un gran discutere di grattacieli, finanziamenti, deleghe... Ma del bellissimo tema al centro di questa Expo "Nutrire il pianeta, energia per la vita" qualcuno se ne sta occupando?»

Ma lei preferisce i grattacieli dritti o quelli storti?
«E lei? Difficile dire in assoluto se siano più belli dritti o curvi. Ciascuno giudica secondo i suoi criteri estetici. Ma se devo proprio dire la mia opinione, io li preferisco dritti».

In definitiva, cardinale, che Milano vede dalle sue finestre? La Milano ricca metropoli internazionale proiettata nel futuro o la Milano metropoli delle diseguaglianze, dell´intolleranza e del disagio sociale?
«L´unico mio giudizio su Milano è l´amore per questa città e per i suoi abitanti. Sono fiero di essere milanese. È un amore che mi spinge ad appassionarmi a questa città e ai suoi abitanti, specie quando le circostanze ne causano la sofferenza. Più che di giudicarla, sento il bisogno di amarla».

(21 giugno 2008)

fonte
La Repubblica

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